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L’ULTIMO CONCERTO DEI QUEEN

9 agosto 1986 – I Queen tennero a Knebworth l’ultimo concerto con il loro leader Freddie Mercury, ancora in vita durante il Magic Tour, per promuovere l'album A Kind of Magic. La performance dei Queen si aprì con “One Vision”, singolo pubblicato nel 1985. Il gruppo era all’apice della fama, ovunque andasse registrava il pienone; e per questo fu deciso di aggiungere al calendario del tour la data a Knebworth. Si stima una presenza di almeno 120mila persone, anche se secondo molti gli spettatori furono quasi 200mila, inclusi i tanti fan accampati davanti all’ingresso del parco fin dalla vigilia dell’evento.
Nonostante il solito look spavaldo, da qualche tempo Freddie Mercury accennava a una sorta di stanchezza, dovuta forse all’avanzare dell’età. Lui soleva dire: « So che ci sarà un momento in cui non potrò più correre sul palco, perché sarà ridicolo». L’AIDS gli fu diagnosticato solo l’anno successivo, nel 1987.
La conclusione del concerto fu trionfale. Dopo 2 ore di musica e calore, la band attaccò ‘We Are The Champions’, il singolo del 1977 tratto da ‘News Of The World’, seguito a dall’inno britannico ‘God Save the Queen’, tradizionale conclusione di ogni loro concerto, prolungato il più a lungo possibile dalla chitarra elettrica di Brian May.

Freddie Mercury si spegneva a Londra il 24 novembre del 1991. Ventiquattro ore prima di morire, rilasciò un comunicato stampa, che recitava così: «[…] Desidero confermare che sono risultato positivo all'HIV e che ho contratto l'Aids. Ho ritenuto opportuno mantenere questa informazione privata per proteggere la riservatezza di chi mi circonda. Tuttavia è giunto il momento che i miei amici e ammiratori in tutto il mondo sappiano la verità, e spero che voi tutti vi uniate a me nella lotta contro questa terribile malattia».
“The show must go on”, cantavano i Queen nell’album “Innuendo” 1991) e le parole di Mercury sottintendevano anche questo, al di là del significato espresso. Ha voluto calare il sipario al momento giusto, quando moriva anche la sua presenza sul palcoscenico, la dimora delle aspirazioni nutrite per una vita.
«Can anybody find me somebody to love?» (Qualcuno può trovarmi qualcuno da amare?) cantava Freddie in “Somebody to love” (1991). Lui di certo l’ha trovato in quell’applauso mondiale che in molti gli hanno dedicato e che può sentire ancora, ovunque si trovi.

Freddie Mercury, note biografiche

Freddie Mercury è nato nell'isola di Zanzibar, in Tanzania, il 5 settembre del 1946. Dal 1955 al 1963 ha frequentato una scuola privata in India. Nel 1964, lui e la sua famiglia si trasferirono in Inghilterra. Nel 1966 ha iniziato la sua formazione all'Ealing College of Art, dove si è laureato nel 1969. Amava l'arte. Al college conobbe Tim Staffell, che suonava il basso in una band chiamata Smile, dove suonavano Brian May (chitarra) e Roger Taylor (batteria).

Quando Staffell lasciò la band, nel 1970, Mercury divenne il loro nuovo cantante. Ha cambiato il nome del gruppo in Queen, che nel febbraio 1971 ha preso un nuovo bassista, chiamato John Deacon. Il loro primo album, "Queen", uscì nel 1973; ma la loro vera svolta fu con "Killer Queen", nell'album "Sheer Heart Attack", pubblicato nel 1974. Divennero poi famosi con il singolo "Bohemian Rhapsody", sull'album del 1975 "Una notte all'opera".

Dopo il grande successo negli Stati Uniti (1980) con "Another One Bites The Dust", hanno attraversato un brutto periodo. Il loro album "Flash Gordon" ha seguito le sorti dell’omonimo film, bocciato in tutti i sensi, mentre il successivo, "Hot Space", orientato alla discoteca, è stato giudicato negativamente dalla critica e dagli stessi fan. Solo la canzone "Under Pressure", che hanno cantato insieme a David Bowie, è riuscita ad emergere. Nel 1983 si sono presi un anno di pausa e nel 1984 si sono riproposti con il loro nuovo album chiamato "The Works". I singoli "Radio Ga Ga" e "I Want to Break Free" sono andati molto bene nel Regno Unito. La controversia su un video ha ridotto la visibilità della band negli Stati Uniti, il loro tour venne cancellato e durante la vita di Mercury non avrebbero più recuperato la loro popolarità.

Nell'aprile 1985, Mercury pubblicò il suo primo album da solista, "Mr. Bad Guy" meno rock e più dance, che è rimasto in classifica in UK per 23 settimane. La band è tornata insieme dopo l’esibizione al Live Aid nel luglio 1985. Alla fine dell'anno, hanno iniziato a lavorare al loro nuovo album, "A Kind Of Magic", tenendo poi ilpiù grande tour mondiale di sempre, il "Magic Tour". Hanno suonato due volte allo stadio di Wembley, esibendosi nel loro ultimo concerto a Knebworth, davanti a 125.000 persone.

Nel 1987 a Freddy fu diagnosticato l'AIDS, ma ha continuato a lavorare a ritmo serrato. In Spagna ha realizzato l’album "Barcelona", insieme a Montserrat Caballé. Lui amava l'opera ed è diventato un suo grande fan. Il disco ha rappresentato un sogno che diventa realtà. Il singolo "Barcelona" è stato anche usato come sigla per le Olimpiadi del 1992.

Dopo "Barcelona", ha ricominciato a lavorare con la band ed è arrivato "The Miracle", rilasciato all'inizio del 1989: un altro successo. A questo punto, Mercury ha detto alla band di avere l'AIDS, il che significava che un tour dell'album era fuori questione. Si è poi rifiutato di parlarne ancora, perché temeva che comprassero i suoi dischi per pietà. Voleva continuare a fare musica il più a lungo possibile. E lo fece. Dopo "The Miracle", la salute di Mercury è peggiorata. Il gruppo voleva incidere un altro album, chiamato "Innuendo". Ci hanno lavorato nel 1990 e all'inizio del 1991. Ogni volta che Mercury si sentiva bene, andava in studio e cantava.

L'ultimo video clip di Mercury, "These Are The Days Of Our Lives", è stato pubblicato nel giugno 1991 e si è poi rivelato essere la sua canzone d'addio. Si vedeva chiaramente che era malato, ma non aveva ancora parlato al mondo della sua malattia. La sua morte è stata vista come una grande perdita per il mondo della musica.

Freddie Merucury muore il 24 novembre 1991 a Kensington, Londra.

Un incontro col fotografo Guido Harari

Abbiamo intervistato Guido Harari anni addietro. Ecco cosa ci ha detto circa i suoi inizi con la fotografia. «Mio padre nutriva la passione per la fotografia e aveva una fotocamera a soffietto. Già l’oggetto mi affascinava, ma anche le immagini che il genitore riusciva a tirar fuori finivano per stupirmi: piene di buon gusto e ricche dell’attimo colto. Quel tempo che poteva fermarsi deve aver lasciato un germoglio “latente” nei miei desideri, perché crescendo i miei interessi si spostavano nella direzione del rock e della musica in genere: Little Richard, Elvis; e poi, i Beatles e il primo Gaber. Verso i diciotto anni, eccomi in giro per l’Italia a seguire i concerti: però, come avvicinare gli artisti? Avevo negli occhi le copertine degli LP e i libri musicali, così pensai alla fotografia come metodo d’approccio per un mondo che volevo più mio».

Guido Harari e il ritratto, le sue parole. […] «Nel frattempo avevo intrapreso la strada del ritratto. La fotografia mi aveva restituito altri interessi, volti a interpretare attori, artisti, politici, industriali, aggiungendo allo scatto un sapore musicale. Agnelli, per me, era una pop star come Bob Dylan. In fin dei conti, desideravo un ritratto diverso: pervaso da quella complicità che riconoscevo negli autori che preferivo. Generalmente i fotografi musicali erano amici dei musicisti, il che generava un pensiero unico che si estrinsecava anche nelle immagini. Io volevo la stessa cosa nei ritratti delle celebrità. Il ritratto è un po’ la mia passione. Ho cercato di affermarmi in quella direzione, interagendo anche con i giornali, ai quali chiedevo di poter incontrare personaggi diversi. Dopo è cambiato il vento: sono spuntate le veline ed anche le stesse celebrità hanno modificato il loro comportamento. Credo che in Italia il ritratto fotografico non abbia mai raggiunto uno status proprio. Forse la responsabilità è dei giornali, degli editor; sta di fatto che non esiste, da noi, un gruppo consolidato di ritrattisti. In seguito, ho iniziato a pubblicare libri e sono nati quelli dedicati a Vasco, Mia Martini, Gaber. Volevo dare valore a un archivio che era aumentato nel tempo. Sappi che ogni volume è ufficiale, pubblicato cioè col consenso dei familiari. […] Sto comunque tornando alla fotografia: alla qualità, alla ricerca».

Abbiamo chiesto al fotografo: «Fotografia o musica: quale passione prevale?». «Sono andate di pari passo; del resto entrambe vivono in simbiosi. Pensa, a tale proposito, alle foto Jazz degli anni ’50 o alle copertine dei dischi. I contenuti si rafforzano a vicenda».

Molte volte, in fotografia, sentiamo parlare di passione, ma spesso questa scalda, motiva, induce, esalta; non andando oltre. Per molti resta uno spazio invalicabile tra l’esistere e il percepire, come se il sentimento rappresentasse unicamente uno strumento da utilizzare alla bisogna. Per Guido non è così: lui della passione si nutre, vive, opera. Non a caso, le sue idee vanno oltre, anche al di là dello spazio temporale della sua vita. Ci dice che vorrebbe essere nato prima, per trovarsi “in fase” con gli anni ’60. No, non si tratta di un rimpianto, bensì di un riflesso verso uno sguardo allargato: sempre propenso all’oltre, alla scintilla che illumina l’anima.

Il fotografo Guido Harari, note biografiche

Guido Harari nasce al Cairo (Egitto) nel 1952. Nei primi anni Settanta avvia la duplice professione di fotografo e di critico musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico, sino ad allora senza precedenti in Italia. Dagli anni Novanta il suo raggio d’azione contempla anche l’immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale. Dal 1994 è membro dell’Agenzia Contrasto. Ha firmato copertine di dischi per Claudio Baglioni, Angelo Branduardi, Kate Bush, Vinicio Capossela, Paolo Conte, David Crosby, Pino Daniele, Bob Dylan, Ivano Fossati, BB King, Ute Lemper, Ligabue, Gianna Nannini, Michael Nyman, Luciano Pavarotti, PFM, Lou Reed, Vasco Rossi, Simple Minds e Frank Zappa, fotografato in chiave semiseria per una storica copertina de «L’Uomo Vogue». È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André. Ha al suo attivo numerose mostre e libri illustrati tra cui Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori, 2001), Strange Angels (2003), The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori, 2004), Vasco! (Edel, 2006), Wall Of Sound (2007), Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli, 2007).
Di lui ha detto Lou Reed: “Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido”. “So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento”. “Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi”. “Considero Guido un amico, non un semplice fotografo”.

Le fotografie

Queen, Milano 1984. Ph. Guido Harari, Wall of Sound Gallery

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