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LA FAVOLA COL CAPPELLO

Siamo ad Alessandria. Giuseppe Borsalino, nato a Pecetto di Valenza il 15 settembre 1834, inizia a lavorare giovanissimo. Coltiva sin da bambino un grande sogno: realizzare cappelli. Con l'aiuto del fratello Lazzaro, il 4 aprile 1857, inaugura l'azienda «Borsalino Giuseppe & fratello», in un cortile della città. Sarà la qualità a vincere. I prodotti Borsalino iniziarono a uscire da una piccola bottega artigiana, che col tempo diventerà una vera e propria industria.

L’investimento iniziale fu imponente, importante ai fini produttivi; ma non sarebbe bastato se non si fossero aggiunti gusto e creatività. Nei primi del ‘900 l’uso del cappello era molto diffuso e in tanti indossavano un Borsalino. Giuseppe ne aveva creato un modello particolare, di feltro a falda larga. Per venire incontro al galateo che prevedeva che l'uomo, di fronte a una signora, si levasse il cappello in segno di rispetto, lui ne rimodellò la forma, creando due fossette laterali che facilitavano la presa. Il risultato fu un incontro perfetto di curve e linee, diventato iconico.

Il successo attraversò l’oceano e il marchio Borsalino venne apprezzato anche dalle star di Hollywood. L'immagine più famosa rimane quella di Humphrey Bogart e Ingrid Bergman nell’indimenticabile scena finale di Casablanca; ma il cinema trova altri personaggi che indossavano volentieri il cappello Made in Italy: Redford e Mastroianni, tra questi; e poi anche le dive Greta Garbo e Marlene Dietrich.
Il connubio tra Borsalino e il cinema continua anche in tempi più recenti: lo indossa Jean Paul Belmondo in Fino All’ultimo Respiro, Nicole Kidman in Australia e Tony Servillo ne La Grande Bellezza, premio Oscar 2014. Soprattutto, la manifattura di Alessandria concede l’uso del proprio nome a 2 pellicole cult degli anni Settanta: Borsalino e Borsalino & Co, da un’idea di Alain Delon. La “favola” Borsalino è arrivata fino a oggi e da 160 anni è un esempio del Made in Italy: il sogno di un bambino diventato realtà.

Per celebrare Borsalino abbiamo chiesto aiuto a un’immagine di Gian Paolo Barbieri, la stessa che ci ha concesso per la pubblicazione di Image Mag. La fotografia ha evidentemente un respiro cinematografico, con dei riferimenti espliciti. Si guarda sempre volentieri.

Un incontro con Gian Paolo Barbieri

Lo studio è grande, esotico, elegante. La gentilezza che ci accoglie è di quelle importanti: più dell’individuo, che costruita. Di fronte a noi Giampaolo Barbieri, il fotografo che abbiamo sempre ammirato: non come “personaggio”, ma per le immagini che ci ha proposto, da sempre. Siamo emozionati, ecco tutto; consci come siamo di vivere un momento raro, forse irripetibile. Non sarà facile, in futuro, incontrare tanta raffinatezza, neanche quel garbo “colto” che è frutto della conoscenza: di quella ricerca incessante che porta all’autorevolezza, al senso delle cose. Su un lato dello studio vediamo le fotografie di una mostra. Riconosciamo Monica Bellucci e poi donne, tante, eleganti, inarrivabili, belle per la promessa che offrono; in una parola: seducenti. Così ci accorgiamo che le abbiamo sempre sognate, per come Gianpaolo ce le propone: da fotografi (forse), ma ancor prima come uomini. Semplicemente.
Molti dicono che le donne di Gianpaolo siano più personali che belle, e siamo d’accordo; altri le accomunano, per stile, a Cecil Beaton, ma qui dissentiamo un poco. Di Barbieri non ci colpisce la sola scenografia, bensì l’arte della seduzione. Tra l’altro, lui non arriva semplicemente a soddisfare dei desideri; ci trasporta altrove, in un labirinto complesso e variegato, dove poter dipanare un’idea, forse un sogno. Là non abita né l’ambiguità di Newton, e nemmeno il “potere” di Avedon. In quel luogo prende vita una magia antica che è della fotografia, per come tutti l’avremmo voluta: perché vera e forse, per questo, irrinunciabile.

Gian Paolo Barbieri, note biografiche

Gian Paolo Barbieri nasce in via Mazzini, nel centro di Milano, da una famiglia di grossisti di tessuti dove, proprio nel grande magazzino del padre, acquisisce le prime competenze utili per la fotografia di moda. Muove subito i primi passi nell’ambito teatrale diventando attore, operatore e costumista insieme al “Il Trio”, gruppo teatrale formato con due suoi amici, nel rifacimento di alcune parti di famosi film come La via del Tabacco, La Vita di Toulouse Lautrec e Viale del Tramonto. In seguito, gli viene affidata una piccola parte non parlata in ”Medea” di Luchino Visconti, con Sara Ferrati e Memo Benassi.

Il cinema noir americano costituisce una base importante per lui, cercando di capire come le attrici potessero risultare così belle illuminate da una luce tutta particolare che le rendeva ancora più affascinanti. Innumerevoli gli esperimenti con lampadine infilate nei tubi della stufa della cantina, da autodidatta, non avendo frequentato nessuna scuola di fotografia.
Il cinema gli diede il senso del movimento e l’occasione di portare la moda italiana, nata su fondo bianco in pedana, in esterno, dandole un’anima diversa.
Con l’occasione di trasferirsi a Roma, e grazie alle prime fotografie scattate in puro clima “Dolce vita”, Barbieri accetta l’offerta di lavorare a Parigi poiché definito talentuoso nella fotografia di moda. Inizia così la sua carriera come assistente al fotografo di “Harper’s Bazar”, Tom Kublin, per un periodo breve ma intenso, in quanto Kublin mancò per un ictus solo 20 giorni dopo.
Nel 1964 torna a Milano aprendo il suo primo studio fotografico, dove comincia a lavorare nella moda scattando semplici campionari e pubblicando servizi fotografici su Novità, la rivista che in seguito, nel 1966, diventerà Vogue Italia.
Da quel momento inizia la sua collaborazione con Condè Nast, pubblicando anche su riviste internazionali come Vogue America, Vogue Paris e Vogue Germania.
Personaggi della scena come Diana Vreeland, Yves Saint Laurent e Richard Avedon, fanno parte della sua storia tanto importante quanto le collaborazioni con le attrici più iconiche di tutti i tempi da Audrey Hepburn a Veruschka e Jerry Hall. Fondamentale tappa del suo percorso è l’esperienza con Vogue Italia insieme alla realizzazione delle più grandi campagne pubblicitarie per marchi internazionali come Valentino, Gianni Versace, Gianfranco Ferré, Armani, Bulgari, Chanel, Yves Saint Laurent, Dolce & Gabbana, Vivienne Westwood e tanti altri con il quale ha interpretato le famose creazioni degli anni ’80, in concomitanza con la conquista del Made in Italy e del prêt-à–porter italiano.

Gli anni Novanta portano Barbieri a compiere diversi viaggi alla scoperta della cultura senza limiti, uniti alla curiosità per paesi lontani e gruppi etnici, per la natura e per gli oggetti più disparati secondo le sue ispirazioni, dando vita poi, a meravigliosi libri fotografici in cui luoghi e realtà lontane vengono raccontati attraverso il suo impeccabile gusto.
Nonostante le foto siano in esterno e spesso immediate o fugaci, risultano talmente “perfette” da sembrare scattate in studio, unite alla spontaneità della popolazione e dei luoghi con un’eleganza ed uno stile che lo contraddistinguono sempre, riuscendo ad intrecciare la spontaneità della fotografia etnografica al glamour della fotografia di moda.

Classificato nel 1968 dalla rivista Stern come uno dei quattordici migliori fotografi di moda al mondo, oggi vince il premio Lucie Award 2018 come Miglior Fotografo di Moda Internazionale.
Barbieri continua tutt’oggi ad essere richiesto come fotografo e artista per campagne pubblicitarie e redazionali, oltre ad essere presente con le sue opere nel Victoria & Albert Museum e National Portrait Gallery di Londra, nel Kunsforum di Vienna, nel MAMM di Mosca e nel Musée du quai Branly di Parigi.

Le fotografie

Gian Paolo Barbieri per Valentino, Vogue Italia 1983.
Una scena del film Casablanca

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