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ANDREA BOCELLI, LIRICO E POPOLARE

Ascoltiamo volentieri la musica lirica, ma l’approccio con Andrea Bocelli è stato difficile, tormentato. Educati come puristi dalle generazioni precedenti, abbiamo sempre storto il naso quando il bel canto usciva dai luoghi sacri dell’ascolto o di fronte a esibizioni di grandi voci intente a cantare brani di musica popolare. Col tempo, e un po’ di saggezza, ci siamo convinti che sarebbe stato meglio rinnegare idee e pregiudizi. La lirica deve uscire sulle strade, usare i media più diffusi, perché rimane pur sempre un patrimonio culturale da preservare e diffondere. Le critiche, spesso eccessive, vanno lasciate nei loggioni, perché Verdi e Puccini rappresentano pur sempre un ascolto gratificante e piacevole.

Arriviamo a Bocelli. Di lui, oggi, apprezziamo il timbro vocale, rameico e colorato; in più gli attribuiamo il merito di aver reso iconici alcuni brani, riconoscibili con facilità in ogni passaggio in radio o attraverso la TV. Il successo non vogliamo misurarlo in numeri (eclatanti, peraltro), ma nell’applicazione che è stata necessaria per raggiungerlo; e qui il nostro non ha bisogno di suggerimenti da parte di nessuno. Leviamoci il cappello.

Per la fotografia, abbiamo chiesto aiuto a Guido Harari (grazie), come accade spesso. I suoi ritratti ci piacciono molto: sia quando sono stretti e intimi, ma anche se diventano ambientati. Nell’immagine che proponiamo, si respira un’aria mistica, religiosa: dove il contorno prevale sul soggetto. Bene così.

Andrea Bocelli, note biografiche

Andrea Bocelli nasce il 22 settembre 1958 a Lajatico, vicino a Pisa.
Fin da giovane era afflitto da glaucoma congenito. Ha iniziato a prendere lezioni di piano all'età di sei anni e in seguito si è avvicinato al flauto e al sassofono. All'età di 12 anni è diventato totalmente cieco dopo aver subito un'emorragia cerebrale a seguito di un incidente sul calcio. Nonostante la mancanza della vista, ha studiato legge all'Università di Pisa mentre cantava in Piano Bar e Nightclub per arrotondare le entrate. Dopo aver conseguito la laurea, si è dedicato all’attività forense per un anno prima di decidere per una carriera musicale e studiare canto con il tenore Franco Corelli.

La svolta per Bocelli arrivò nel 1992, quando la pop star italiana Zucchero Fornaciari gli chiese di registrare una demo di "Miserere", un brano destinato al famoso tenore Luciano Pavarotti, che rimase molto colpito dalla voce del cantante. I due divennero amici. L'anno successivo Bocelli registrò il suo album di debutto, Il Mare Calmo Della Sera (1994), che gli restituì le prime attenzioni in Europa. Nel 1995 ha pubblicato Bocelli, che conteneva il brano "Con Te Partirò", diventato anche un singolo, poi registrato in duo con Sarah Brightman. Entrambe le versioni raggiunsero un ragguardevole successo.
La popolarità di Bocelli negli Stati Uniti è cresciuta nel 1997 con l'uscita di Romanza, che ha raccolto le canzoni dai suoi album precedenti. Dal lavoro ne è nato uno spettacolo dal vivo: Romanza in Concert: A Night in Tuscany.

Sebbene abbia affermato come l’Opera sia il suo primo amore, Bocelli ha inserito la musica popolare sulle sue registrazioni, nel tentativo di allargare il pubblico degli ascoltatori; scelta spesso criticata da molti. Lui comunque si esibiva ne La Vedova Allegra nel 1999, cantando tre arie, debuttando più tardi nel ruolo del protagonista di Manon al Michigan Opera Theater.

Tra le prime uscite del 21° secolo di Bocelli ci sono: Cieli Di Toscana (2001); The Pop focalizzato Amore (2006), che includeva le apparizioni ospiti di Christina Aguilera e Stevie Wonder; The Holiday Collection My Christmas (2009); The Live Album Concerto: One Night in Central Park (2011). Oltre alle registrazioni, ha debuttato alla New York Philharmonic nel 2006 e alla Metropolitan Opera nel 2011.

Durante gli 2010 Bocelli ha continuato a registrare album in studio, tra cui Passion (2013), che includeva un duetto con Jennifer Lopez; Cinema (2015), una raccolta di temi cinematografici; e Sì (2018), che presentava duetti con suo figlio e Josh Groban.

Un incontro con il fotografo Guido Harari

Abbiamo intervistato Guido Harari tempo addietro. Ecco cosa ci ha detto circa i suoi inizi con la fotografia. «Mio padre nutriva la passione per la fotografia e aveva una fotocamera a soffietto. Già l’oggetto mi affascinava, ma anche le immagini che il genitore riusciva a tirar fuori finivano per stupirmi: piene di buon gusto e ricche dell’attimo colto. Quel tempo che poteva fermarsi deve aver lasciato un germoglio “latente” nei miei desideri, perché crescendo i miei interessi si spostavano nella direzione del rock e della musica in genere: Little Richard, Elvis; e poi, i Beatles e il primo Gaber. Verso i diciotto anni, eccomi in giro per l’Italia a seguire i concerti: però, come avvicinare gli artisti? Avevo negli occhi le copertine degli LP e i libri musicali, così pensai alla fotografia come metodo d’approccio per un mondo che volevo più mio».

Guido Harari e il ritratto, le sue parole. […] «Nel frattempo avevo intrapreso la strada del ritratto. La fotografia mi aveva restituito altri interessi, volti a interpretare attori, artisti, politici, industriali, aggiungendo allo scatto un sapore musicale. Agnelli, per me, era una pop star come Bob Dylan. In fin dei conti, desideravo un ritratto diverso: pervaso da quella complicità che riconoscevo negli autori che preferivo. Generalmente i fotografi musicali erano amici dei musicisti, il che generava un pensiero unico che si estrinsecava anche nelle immagini. Io volevo la stessa cosa nei ritratti delle celebrità. Il ritratto è un po’ la mia passione. Ho cercato di affermarmi in quella direzione, interagendo anche con i giornali, ai quali chiedevo di poter incontrare personaggi diversi. Dopo è cambiato il vento: sono spuntate le veline ed anche le stesse celebrità hanno modificato il loro comportamento. Credo che in Italia il ritratto fotografico non abbia mai raggiunto uno status proprio. Forse la responsabilità è dei giornali, degli editor; sta di fatto che non esiste, da noi, un gruppo consolidato di ritrattisti. In seguito, ho iniziato a pubblicare libri e sono nati quelli dedicati a Vasco, Mia Martini, Gaber. Volevo dare valore a un archivio che era aumentato nel tempo. Sappi che ogni volume è ufficiale, pubblicato cioè col consenso dei familiari. […] Sto comunque tornando alla fotografia: alla qualità, alla ricerca».

Abbiamo chiesto al fotografo: «Fotografia o musica: quale passione prevale?». «Sono andate di pari passo; del resto entrambe vivono in simbiosi. Pensa, a tale proposito, alle foto Jazz degli anni ’50 o alle copertine dei dischi. I contenuti si rafforzano a vicenda».

Molte volte, in fotografia, sentiamo parlare di passione, ma spesso questa scalda, motiva, induce, esalta; non andando oltre. Per molti resta uno spazio invalicabile tra l’esistere e il percepire, come se il sentimento rappresentasse unicamente uno strumento da utilizzare alla bisogna. Per Guido non è così: lui della passione si nutre, vive, opera. Non a caso, le sue idee vanno oltre, anche al di là dello spazio temporale della sua vita. Ci dice che vorrebbe essere nato prima, per trovarsi “in fase” con gli anni ’60. No, non si tratta di un rimpianto, bensì di un riflesso verso uno sguardo allargato: sempre propenso all’oltre, alla scintilla che illumina l’anima.

Guido Harari, note biografiche

Guido Harari nasce al Cairo (Egitto) nel 1952. Nei primi anni Settanta avvia la duplice professione di fotografo e di critico musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico, sino ad allora senza precedenti in Italia. Dagli anni Novanta il suo raggio d’azione contempla anche l’immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale. Dal 1994 sono membro dell’Agenzia Contrasto. Ha firmato copertine di dischi per Claudio Baglioni, Angelo Branduardi, Kate Bush, Vinicio Capossela, Paolo Conte, David Crosby, Pino Daniele, Bob Dylan, Ivano Fossati, BB King, Ute Lemper, Ligabue, Gianna Nannini, Michael Nyman, Luciano Pavarotti, PFM, Lou Reed, Vasco Rossi, Simple Minds e Frank Zappa, fotografato in chiave semiseria per una storica copertina de «L’Uomo Vogue». È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André. Ha al suo attivo numerose mostre e libri illustrati tra cui Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori, 2001), Strange Angels (2003), The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori, 2004), Vasco! (Edel, 2006), Wall Of Sound (2007), Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli, 2007).
Di lui ha detto Lou Reed: “Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido”. “So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento”. “Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi”. “Considero Guido un amico, non un semplice fotografo”.

Le fotografie

Copertina del disco “Sì”, di Andrea Bocelli.
Andrea Bocelli, Roma 1999. Ph. Guido Harari

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