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TANTI AUGURI, MAESTRO

Oggi, 29 settembre, compie gli anni Nino Migliori: non solo un fotografo, ma anche un ricercatore nell’ambito della fotografia. Parte come neorealista (e bravo, peraltro), ma poi intraprende svariate vie di sviluppo artistico, ramificate e interessanti. Lo abbiamo visto ritrarre delle persone illuminandole con un cerino, però non è stato “lo strano” a stupirci, piuttosto la volontà di sconfinare dalla fotografia all’arte, sperimentando di continuo; ecco quindi le alchimie, le prove continue per allargare le possibilità espressive dello scatto fotografico.

Nino Migliori non si accontenta dei primi successi e forse non gli servono neanche. Negli anni cinquanta frequenta il salotto di Peggy Guggenheim a Venezia ed è a quegli incontri, come quelli a Bologna con autori come Vasco Bendini, Vittorio Mascalchi, Luciano Leonardi, Manaresi e altri, che trova sostegno e affinità culturale. E’ la pittura a stimolarlo, particolarmente l’espressionismo astratto di Jackson Pollock. Lì comprende come sia possibile rompere con i luoghi comuni, quasi necessario forse. Si assume quindi dei rischi: la sua fotografia sarà di sperimentazione. Contenuti e composizioni non faranno parte delle sue immagini, tantomeno complessità estetizzanti. Sarà il senso del gesto a emergere, dove l’elemento artistico non si nutre degli orpelli tradizionalmente legati allo scatto.

Ecco cosa Nino Migliori dice di sé: «Se è ancora valida la definizione per la quale fotografare è scrittura di luce, e considerando che ho sempre cercato qualcosa di simile alla scrittura usando la luce, allora posso definirmi fotografo».

(Nino Migliori)

Un incontro con Nino Migliori, settembre 2016
Da Image Mag n° 5, anno 2016

Sovvertiamo le regole: iniziamo dalla fine. Abbiamo appena lasciato lo studio di Nino Migliori. Sull’A1, di ritorno verso Milano, incontriamo un traffico estivo, vacanziero. Lo specchietto retrovisore ci restituisce ancora San Luca e la Bologna sottostante. Aveva ragione il fotografo bolognese, quando fotografava di fronte e alle spalle: “Spesso è più interessante quanto accade dietro di noi, perché non viziato dalle nostre scelte”. Stiamo attraversando la “sua” Emilia, già raccontata negli anni ’50, e ripresa nel libro Crossroads – via Emilia (Damiani Editore, 2006). Il lavoro ci dice molto circa la personalità dell’autore e lo prendiamo ad esempio per definire i contesti nei quali si muove la sua attività artistica.

La fotografia di Migliori rompe le catene della pura rappresentazione per diventare ambito di pensiero, luogo concettuale nel quale si sviluppa il senso dello scatto e non il suo fine (il più delle volte estetizzante in un periodo neo realistico). Quando lui inizia a sperimentare, “l’Italia fotografica” è quella dei Circoli (che lui frequenterà, comunque), dove la dialettica si sviluppa tra i “toni bassi” di Monti e quelli “alti” di Cavalli. C’è una nazione da raccontare e lo faranno in tanti, ispirati dalla fotografia umanistica francese, che pure arriva da noi con Bresson che interpreta Scanno (1951) prima di molti altri.
Migliori partecipa a questo periodo, con viva originalità. I suoi piani di lettura sono differenti, come pure le composizioni: fitte di sguardi e ammiccamenti; già sperimentali, in un certo senso, come quel tuffatore ritratto sul molo di Rimini (1951), assolutamente orizzontale. Un’icona di quel tempo.

Dicevamo che Crossroads poteva fungere da esempio. Ebbene, il tema scelto da Migliori è quello della via Emilia e di tutta la realtà umana, urbanistica, cittadina che riguarda quel tratto di strada abbinato a un territorio. Ciò che gli interessa non è cosa viene raccontato visivamente, ma la sostanza vera del fare fotografia. Migliori si è fatto costruire un dispositivo che monta due macchine fotografiche, le quali puntano i loro obiettivi in direzioni opposte. Con un unico gesto è così possibile realizzare due scatti: uno nella stessa direzione dello sguardo, un altro esattamente sulla visuale inversa. Vengono fuori due immagini speculari che però propongono due porzioni di realtà differenti, le quali fanno riflettere il lettore sulla natura della scelta visuale dell’artista.
Viene sovvertita una regola fondamentale: la correlazione tra occhio e campo visivo. Risulta così messa in discussione la posizione privilegiata del fotografo. L’immagine non vive solo di “rappresentazione della realtà”, tantomeno della sua interpretazione. C’è molto altro da suggerire a chi guarda, al di là di stilemi abusati e consumati: occorre cambiare, sempre.

Abbiamo guardato più volte lo specchietto retrovisore. Volevamo rinfrescare ricordi e idee, come pure quelle domande alle quali il fotografo ha risposto con garbo e generosità. Ne riportiamo alcune al fine di completare lo sguardo su un autore poliedrico, complesso. Lui ha dedicato una vita alla fotografia invadendo lo strumento, analizzandolo; lungo un percorso centripeto che lo ha portato alla radice del gesto fotografico.

Nino Migliori, note biografiche

Nino Migliori inizia a fotografare nel 1948. La sua fotografia svolge uno dei percorsi più diramati e interessanti della cultura d'immagine europea. Gli inizi appaiono divisi tra fotografia neorealista con una particolare idea di racconto in sequenza, e una sperimentazione sui materiali del tutto originale e inedita. Da una parte, quindi, in pochissimi anni, nasce un corpus segnato dalla cifra stilistica dominante dell'epoca, il neorealismo: una visione della realtà fondata sul primato del "popolare", con le sue subordinate di regionalismo e di umanitarismo.

Sull'altro versante Migliori produce fotografie off-camera, opere che non hanno confronti nel panorama della fotografia mondiale, sono comprensibili solo se letti all'interno del versante più avanzato dell'informale europeo con esiti spesso in anticipo sui più conosciuti episodi pittorici. Dalla fine degli anni Sessanta il suo lavoro assume valenze concettuali ed é questa la direzione che negli anni successivi tende a prevalere. Sperimentatore, sensibile esploratore e alternativo lettore, le sue produzioni visive sono sempre state caratterizzate da una grande capacità visionaria che ha saputo infondere in un’opera originale e inedita. Migliori si trova ad essere, con Veronesi, Grignani, Munari e pochissimi altri, uno degli operatori che in Italia prosegue la ricerca delle avanguardie sul fronte della riflessione sui linguaggi iconici, con la fotografia come nodo centrale dell'immaginario e della ricerca formale contemporanei. È l'autore che meglio rappresenta la straordinaria avventura della fotografia che, da strumento documentario, assume valori e contenuti legati all'arte, alla sperimentazione e al gioco.

Oggi si considera Migliori come un vero architetto della visione. Ogni suo lavoro è frutto di un progetto preciso sul potere dell’immagine, tema che ha caratterizzato tutta la sua produzione.
Sue opere sono conservate presso MamBo - Bologna; Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea - Torino; CSAC - Parma; Museo d'Arte Contemporanea Pecci - Prato; Galleria d'Arte Moderna - Roma; Calcografia Nazionale - Roma; MNAC di Barcellona; Museum of Modern Art - New York; Museum of Fine Arts - Houston; Bibliothèque National - Parigi; Museum of Fine Arts - Boston; Musée Reattu - Arles; SFMOMA – San Francisco. e altre importanti collezioni pubbliche e private.

Le fotografie

Nino Migliori, da “ Gente dell’Emilia “, 1957
Nino Migliori, “Il tuffatore” 1951.

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