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LA SCUOLA DELL’OBBLIGO

1 ottobre 1963. Entra in vigore la legge istitutiva della scuola media statale. La frequenza è obbligatoria e gratuita per tutti. Per 15 anni, sino al 1977, l’insegnamento del latino sarà facoltativo per gli studenti di terza media. Nasce anche il doposcuola.

Cosa ricordare della scuola media? Chi scrive non ama gettare la memoria in quegli anni, perché difficili, complicati. C’era la musica (non dimentichiamolo) e poi il latino. L’incubo però arrivava con l’ora di ginnastica: la pertica era impossibile a scalarsi, figuriamoci la corda! E poi poteva capitare la cavallina, da saltare a gambe larghe: mai tentato di farlo. Il fisico adiposo di chi adesso sta ricordando certo non agevolava la mobilità, figuriamoci l’esercizio ginnico. C’era però la prof di matematica: bellissima. Un dolce ricordo in tre anni da dimenticare.

Passiamo alla fotografia: è meglio. Per simbolizzare la scuola abbiamo scelto due interpreti famosi e altrettante immagini: lo scolaro e gli scolari. Circa lo scatto di Berengo (tra l’altro, a breve sarà il suo compleanno), le parole non contano: soggetto e contesto; l’alunno guarda in camera, mentre la vita continua il suo corso. Reportage puro, bene così.
La fotografia di Doisneau è più complessa, pur nella sua dolce semplicità. Uno scolaro pensa (o è stato indotto a farlo), mentre l’altro copia con gli occhi. In quello sguardo c’è tutto il reticolo del racconto. Per il resto, la classe si perde nella sfocatura, perché non occorre identificare la scuola, ma solo simbolizzarla. L’atmosfera è d’altri tempi, esaltata però da un interprete che amava stare al di qua della vita vissuta, solo per starla a guardare. Bene così, giusto così.

Ricordiamolo: il 1° ottobre 2004 muore Richard Avedon. Di lui abbiamo parlato spesso.

Gianni Berengo Gardin, la vita

Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure nel 1930 e inizia a occuparsi di fotografia dal 1954.
Trascorre l’infanzia in Liguria, poi si trasferisce a Roma. Dopo un lungo periodo a Venezia, mette le radici a Milano, dove comincia la sua professione di fotografo. Collabora con numerose riviste tra cui Il Mondo di Mario Pannunzio e le maggiori testate giornalistiche italiane e straniere, come Epoca e Time. Si dedica in special modo alla realizzazione di libri fotografici: pubblica oltre 250 volumi, dai quali emerge soprattutto il suo interesse per l’indagine sociale. Dal 1966 al 1983, in collaborazione con il Touring Club, pubblica una serie di volumi dedicati all’Italia e ai Paesi europei.
Lavora assiduamente con grandi industrie, tra cui l’Olivetti, per reportage e monografie aziendali. Nel 1979 inizia la collaborazione con Renzo Piano, per il quale documenta le fasi di realizzazione dei progetti architettonici.

Nella sua carriera ha esposto in oltre trecento mostre personali, in Italia e all’estero, tra cui le grandi antologiche di Arles (1987), Milano (1990), Losanna (1991), Parigi (1990),New York e alla Leica Gallery (1999); tra le ultime, alla Städtische Galerie di Iserlohn nel 2000, al Museo Civico di Padova e al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 2001, alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi, alla Fondazione Forma per la Fotografia nel 2005, alla Casa dei Tre Oci di Venezia nel 2012 e a Palazzo Reale a Milano nel 2013.

Nel 1972 la rivista Modern Photography lo inserisce nella lista dei 32 maggiori fotografi al mondo. Nel 2003 è presente tra gli ottanta fotografi scelti da Cartier-Bresson per la mostra “Les choix d’Henri Cartier-Bresson”.
Nel 2013 la Leica Wetzlar lo invita a esporre nella mostra “Eyes Wide Open! One Hundred Years of Leica Photography”.
Nel 2014 e nel 2015, con il Fondo Ambiente Italiano, ha esposto a Milano (Villa Necchi) e a Venezia (Negozio Olivetti) le sue immagini sulle grandi navi a Venezia.

Oltre ai numerosi premi, nel 2008, quale riconoscimento alla carriera, gli viene assegnato il Lucie Award (ritirato dall’amico Elliott Erwitt) e nel 2009 la laurea honoris causa in Storia e critica dell’arte presso l’Università di Milano. Nel 2012 la città di Milano gli assegna l’Ambrogino d’Oro.
Nel 2015, a Roma, gli viene conferito il titolo di Architetto Onorario dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.

Robert Doisneau, note di vita

Robert Doisneau nasce a Gentilly il 14 aprile 1912. Lo abbiamo incontrato altre volte. Conosciamo la sua infanzia infelice (perderà presto la madre) e la facilità con la quale disertava la scuola. Il padre che si risposa lo allontanerà maggiormente dalla vita da piccolo borghese. Quel bambino timido e goffo, però, inizierà a osservare in maniera acuta, particolarmente nelle fughe verso la periferia: segno di disobbedienza, da un lato; ma anche dell'identificazione di quel teatro che, per tutta la vita, rappresenterà il suo territorio di ricerca fotografica.
Frequentando gli atelier di Montparnasse, Robert incontrerà la fotografia: questo nei contrasti degli “anni folli” della Parigi del tempo. Inizia così un bisogno compulsivo di fotografare, che lo porta a esplorare inconsapevolmente gli scenari visitati, anni prima, da Atget.
Gli anni 50 – 60 saranno per Doisneau quelli della consacrazione. E' una Francia “fotografica” quella che i professionisti si trovavano a disposizione. Avendo sempre privilegiato il rispetto per l'uomo a scapito della tecnica, è stato definito “fotografo umanista”. E con “il Bacio dell'Hotel de Ville” ha raccontato una storia eterna.

Riprendiamo alcune parole del fotografo: «Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere». Robert cercava un mondo dedicato a se stesso, ma non per egoismo; semplicemente perché lui aveva bisogno di quello spazio che è tra il vivere soggettivamente e vederlo fare. La sua fotografia (grande, in assoluto) brilla di una ricerca che vive in un confine dove il tempo non conta, ma solo quanto accade davanti l’obiettivo, dopo ore di attesa. Quella linea di demarcazione spesso si sposta in periferia, ma vive anche a Parigi: tra i Bistrot, i negozi, i bambini che giocano.
Robert non andava bene a scuola, preferiva in assoluto andare a pescare con lo Zio. Professionalmente, in età adulta, non si è mai legato a un lavoro stabile (Renault è stata costretta a licenziarlo per via delle assenze). Lui sentiva il richiamo dei posti che stava cercando. La sua fotografia, dolce e delicatissima, non poteva aspettare; ed era fuori, là, sul quel confine dove camminano coloro che sanno vedere l’umanità, raccontandola. Ne è nata una narrazione infinita, suggestiva, umana, che nessun altro potrà mai restituirci.

Doisneau morirà l’1 aprile 1994 a Montrouge.

Le fotografie

Gianni Berengo Gardin, Napoli 1958.
Robert Doisneau, Parigi 1956

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