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60 ANNI FA IL VAJONT

9 ottobre 1963, sono le 22,39. Una frana si stacca dal versante settentrionale del monte Toc, cade nel bacino della diga del Vajont e produce un’onda gigantesca che supera la diga e si riversa a valle. Muoiono quasi 2000 persone.

Quel 1963 è un anno che lascerà un segno: il 3 giugno morirà Giovanni XXIII (il papa buono); il 22 novembre a Dallas, in Texas, una serie di colpi di arma da fuoco raggiungeranno, uccidendolo, il Presidente degli Stati Uniti d'America John Fitzgerald Kennedy. Di mezzo c’è la guerra fredda, il fenomeno Beatles, il “dream” di Martin Luther King: tutte ventate che soffiano altrove, percepite d riflesso.
Eppure la tragedia è lì, a pochi passi, per un monte che si muove dove non dovrebbe, e sarà vento, acqua, fango; poi silenzio, su vite e generazioni. Il dolore si schiaccia in gola, perché il rammarico non trova ideologie, moventi, politiche internazionali. Ci si potrà appellare alla superficialità, agli interessi privati, ad altro ancora; ma il fango è già rappreso, sotto le scarpe dei primi soccorritori. L’evento è più grande di loro, della memoria che porteranno, del silenzio che hanno ascoltato. E’ arrivato sino a oggi, quel silenzio; e non saremo certo noi a interromperlo. Lo facciamo per rispetto: al cospetto dei tanti che hanno urlato dentro il nulla, con poca memoria a ricordarli.

Il Vajont è un affluente del fiume Piave. Siamo in provincia di Belluno, dove il corso d’acqua, dopo avere scavato una profonda gola, detta del Vajont, fra le più belle delle Alpi, tra il monte Toc e il monte Salta, si getta nel fiume Piave nelle vicinanze di Longarone. Nell’Italia del boom economico, in quest’area viene realizzata un’opera ingegneristica imponente: una diga, la più grande d’Europa. Il cantiere è stato aperto nel gennaio del 1957 e l’inaugurazione dell’opera avvenne nel 1959. Non si tenne conto dei rischi connessi alla franosità della zona, la denuncia dei quali venne ignorata per anni. I costruttori ritennero che le eventuali problematiche non sarebbero state di estrema rilevanza.

La sera del 9 ottobre 1963 si genera una frana di alcuni milioni di metri cubi: la diga rimane in piedi, ma un vero e proprio tsumani si riversa su Longarone: la cittadina viene spazzata via con oltre duemila morti. La forza e l’urto dell’acqua è talmente forte che gran parte delle vittime vengono ritrovate senza vestiti, spazzati via dallo spostamento.

L’evento in numeri

I numeri della strage del Vajont: 1917, le persone decedute; 767 non ebbero un nome; 300 le persone che non sono state più trovate; 260 i milioni di metri cubi di terra e sassi caduti dal monte TOC; 80 milioni di metri cubi d'acqua furono sollevati dalla frana, lasciando la diga praticamente intatta; 895 le abitazioni distrutte solo a Longarone. 264,60 l’altezza della diga, iniziata nel 1959.

Il fotografo Gianfranco Moroldo, note biografiche

Gianfranco Moroldo è nato il 16 settembre 1927, a Milano. Lui è stato uno dei più lucidi fotogiornalisti italiani del suo tempo: memorabili sono i suoi reportage, realizzati nel corso di una lunga carriera come inviato del settimanale L’Europeo.
Nel 1968 si è aggiudicato il secondo premio General News Singles al World Press Photo, la prima presenza italiana tra i premiati al prestigioso e autorevole concorso internazionale del fotogiornalismo.

Ferdinando Scianna, nello staff fotografico dell’Europeo dal 1967 al 1983 ha detto di lui: «Gianfranco Moroldo non ha mai speso gran tempo a storicizzarsi, a prepararsi il monumento futuro. Per lui, giornalista fino al midollo, il discorso fotografico ha sempre avuto come scopo le pagine del suo giornale e lì si esauriva. A questa sublime noncuranza si è aggiunta l’incuria qualche volta criminale dei disordini d’archivio. Molte grandi fotografie perse, altre distrutte, come quella, indimenticabile, scattata in Vietnam, dei due soldati che si abbracciano piangendo».

Soprannominato “Il Moro”, Gianfranco Moroldo è stato un gigante del fotogiornalismo italiano, un vero e proprio mito. Il suo nome è legato alla città di Milano, dove nacque e morì, soprattutto perché la sua storia è indissolubilmente legata a quella de L’Europeo, settimanale di approfondimento del Corriere della Sera (poi mensile, dal 2001).
Dal Vietnam alle guerre africane in Congo, Somalia, Uganda, Ruanda, da Israele all’ex Jugoslavia, passando attraverso le tragedie italiane del Vajont, del terremoto del Belice, dell’alluvione di Firenze, non c’è fenomeno che Gianfranco Moroldo non abbia catturato in prima linea in oltre 40 anni di carriera. Con lui lavorarono i mostri sacri del giornalismo come, Oriana Fallaci, Alberto Ongaro, Giorgio Bocca, Mino Monicelli, Gianni Roghi ed Enzo Biagi.
Moroldo catturava la vita in scatti essenziali, schietti, immediati. Diceva «Gli occhi della gente ci parlano di cosa succede dentro l’anima, ci dicono di emozioni e pensieri che attraverso i nostri occhi che guardano prendono vita e ci commuovono, ci scuotono, ci turbano e ci fanno capire».

Gianfranco Moroldo è morto a Milano il 19 maggio 2001.

Le fotografie

I binari del treno divelti dalla forza dell’acqua. Ph. Gianfranco Moroldo
La diga del Vajont un anno prima del disastro (fonte RAI cultura)

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