IL GRANDE DITTATORE
15 ottobre 1940. In Europa c’è la guerra ormai da più di un anno. Negli USA esce “Il Grande Dittatore”, un film diretto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin: un evento straordinario. I personaggi del film sono le caricature di quelli reali, riconoscibili anche dai nomi: Adenoyd Hynkel (o Astolf Hynkel) è Adolf Hitler, dittatore della Germania; Bonito Napoloni imita Benito Mussolini, duce d’Italia. Garbitsch scimmiotta Goebbels; Herring assomiglia a Hermann Goering. La segretaria di Hynkel trae ispirazione da Eva Braun, la Signora Napoloni è Rachele Mussolini.
Il film venne vietato dal 1940 al 1945 in tutta l’Europa. La prima edizione italiana del film è del 1949, ma solo nel 2002 in edizione integrale.
Chaplin e Hitler, risonanze e assonanze.
Chaplin e Hitler sono nati nello stesso anno, pochi giorni l’uno dall’altro. Qualcosa li accomuna, quindi; e non solo l’oroscopo. Le loro carriere, le loro vite, i personaggi che hanno messo in scena (anche Hitler lo faceva) coincidono sotto molti punti di vista. Considerando il profilo estetico, entrambi furono accomunati dai baffi, anche se Chaplin li portò solo sullo schermo, liberandosene dopo aver interpretato Hitler.
Analizzando le vite dei due da piccoli, le affinità diventano ancora più stringenti. Entrambi erano asociali, incapaci di integrarsi, provenienti da famiglie disagiate. Passati dall’orfanotrofio, conobbero la fame. I due nutrivano ambizioni artistiche, inespresse per il dittatore vero (la pittura), diventate più palesi per Charlie, che come musicista creò le colonne sonore dei suoi film, con dei brani di successo (“Smile” ne è un esempio).
Nelle sue prime comiche, Charlie porta sullo schermo un personaggio aggressivo, individualista, dai modi rudi e duri. E se, nel Grande dittatore, il piccolo barbiere ebreo incarna il successore del Vagabondo, in qualche modo anche Hynkel richiama alla memoria quel personaggio, ad esempio quando usa la lingua della sua segretaria per inumidire un francobollo. Ciò che distingue Hynkel da Charlot è la parola. Il grande dittatore è il primo film in cui Chaplin parla. Anche Hitler conquistò lo schermo principalmente grazie alla parola, in veste di oratore.
(Fonte: il Cinema ritrovato)
Il Grande Dittatore, la trama.
In un paese immaginario chiamato Tomania, gli uomini partono per il fronte. Tra questi, un soldato ebreo che, un volta ferito, è colpito da amnesia. Mentre è in ospedale, un suo sosia, il dittatore Adenoid Hynkel, ha preso il potere.
Durante la convalescenza, l'ex soldato ‒ di professione barbiere‒ scappa dall'ospedale per ritornare al ghetto, dove ha lasciato i suoi amici e la bottega. Reagisce di fronte ai soprusi delle SS e viene in suo aiuto Hannah, una giovane orfana della quale s'innamora.
Nel ghetto le angherie continuano. Il barbiere è salvato dall'intervento di Schultz, un vecchio commilitone, ma poi entrambi vengono catturati e mandati in un campo di concentramento. Durante una battuta di caccia alle anatre Hynkel (Hitler, ricordiamolo) accidentalmente cade in acqua.
Nel frattempo Schultz e il barbiere fuggono dal campo nelle vesti di ufficiali e le SS scambiano il barbiere per il vero dittatore. Il nuovo Hynkel terrà un discorso alla nazione. Un attimo di esitazione, poi la sorpresa: le sue parole sono contro la dittatura e in favore della democrazia e della pace.
La scelta delle immagini
L’ultima volta che abbiamo parlato di Charlie Chaplin (aprile 2020) siamo ricorsi a un ritratto di Richard Avedon, famoso e iconico. Oggi, per cambiare, la scelta è caduta su uno scatto di Edward Steichen, fotografo poliglotta che si è distinto in tanti ambiti, anche di fronte alle celebrità.
Come seconda immagine era obbligatorio inserire una scena del film.
Il fotografo, Edward Steichen
Fotograficamente, Edward Steichen si è distinto in ruoli differenti. Durante la giovinezza è stato un fotografo di talento. Ha poi continuato ad alimentare la sua fama in ambito commerciale negli anni '20 e '30, restituendo ritratti eleganti di artisti e celebrità. Fu anche un importante curatore, organizzando tra l’altro la mostra "Family of Man" nel 1955.
Nato in Lussemburgo, il 27 marzo 1879, Steichen arriva negli Stati Uniti quando aveva due anni. Lui e i suoi genitori si stabiliscono nella piccola città di Hancock, dove il padre prestava servizio nelle miniere di rame. Quando il genitore smise di lavorare per le cattive condizioni di salute, la famiglia si trasferì a Milwaukee, nel Wisconsin, dove la madre sosteneva la famiglia lavorando come artigiana. A partire dall'età di 15 anni, Steichen ha svolto un apprendistato di quattro anni in un'azienda litografica. Durante gli anni '90 dell'Ottocento studiò pittura e fotografia, il che lo avvicinò alla corrente pittorialista. Le fotografie di Steichen furono esposte per la prima volta al Second Philadelphia Photographic Salon nel 1899, e da quel momento divenne presto una star.
Nel 1900, prima di compiere il primo di tanti lunghi viaggi in Europa, Steichen incontrò Alfred Stieglitz, che acquistò tre fotografie del giovane autore. Fu l'inizio di un’amicizia intima e reciprocamente gratificante, che sarebbe durata fino al 1917. Nel 1902 Stieglitz invitò Steichen a unirsi a lui e ad altri fotografi, nella fondazione della Photo-Secession, un'organizzazione dedicata alla promozione la fotografia come arte.
Nel 1905 Stieglitz aprì la sua prima galleria, originariamente chiamata Little Galleries of the Photo-Secession, ma meglio conosciuta come 291, dal nome del suo indirizzo al 291 della Fifth Avenue. Steichen divenne il collegamento francese della galleria. Usando i contatti che aveva stabilito in Europa, divenne il principale responsabile dell'organizzazione delle mostre di arte modernista francese che si tenevano al 291. Henri Matisse (1908) e Paul Cézanne (1910) esposero lì proprio per merito di Steichen.
La rottura tra Stieglitz e Steichen arrivò sull'orlo dell'entrata degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, forse perché Steichen era un francofilo e Stieglitz apertamente legato alla Germania; o probabilmente perché Steichen era arrivato a credere che la Photo-Secession di Stieglitz e i suoi strumenti – la galleria 291 e la rivista Camera Work - fossero diventati i veicoli per un culto della personalità.
Quando gli Stati Uniti entrarono in guerra nel 1917, Steichen si offrì volontario e fu nominato capo della fotografia aerea per l'esercito americano in Francia. La sua esperienza con le rigorose esigenze tecniche di questo lavoro ha cambiato la sua visione circa lo strumento fotografico. Dopo la guerra abbandonerà lo stile pittorialista, orientandosi verso una maggiore oggettività di descrizione e racconto.
Sempre in antitesi con gli atteggiamenti foto-secessionisti, Steichen si dedicò alla fotografia commerciale, fondando uno studio di successo, quando si trasferì a New York City nel 1923. Ha dedicato i successivi 15 anni della sua vita principalmente alla fotografia di moda e ritrattistica per le pubblicazioni Condé Nast, come Vogue e Vanity Fair. Chiuse lo studio il 1 ° gennaio 1938 e trascorse gran parte dei quattro anni successivi nella sua casa nel Connecticut, coltivando piante.
Un mese dopo l'attacco a Pearl Harbor, nel dicembre 1941, la Marina degli Stati Uniti fece di Steichen un tenente comandante incaricato di dirigere una registrazione fotografica della guerra navale nel Pacifico. Durante la seconda guerra mondiale, Steichen iniziò a collaborare con il Museum of Modern Art di New York City e nel 1947 fu nominato direttore del dipartimento di fotografia, posizione che manterrà fino al suo pensionamento 15 anni dopo. "The Family of Man", una mostra che ha curato nel 1955, è stata senza dubbio l’operazione più importante della sua lunga carriera. La mostra era basata sul concetto di solidarietà umana e Steichen ha selezionato 503 immagini da innumerevoli stampe arrivate da tutto il mondo. Si dice che la mostra sia stata vista da quasi nove milioni di persone in 37 paesi. Steichen ha continuato a curare molte mostre minori al museo, dimostrando così come volesse sostenere il mezzo fotografico per tutti i restanti anni della sua carriera. La sua autobiografia, A Life in Photography, è stata pubblicata nel 1963.
Edward Steichen muore il 25 marzo 1973, in Connecticut.
Le fotografie
Charlie Chaplin, New York novembre 1926. Ph. Edward Steichen.
Una scena del film “Il Grande Dittatore”.