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I FILM DI NATALE

Natale è ormai vicino, con tutte le sue attese. Le televisioni, come ogni anno, proporranno dei film legati alla festività tanto attesa. Ci è sembrato interessante (anche fotograficamente) ripercorrere alcuni film, visti ormai più volte; ma che hanno rappresentato il nostro tempo, tra un pranzo e l’altro, occupando persino le parentesi sonnolente dei giorni di festa. Noi non ci stancheremo mai di guardarli, anche se li conosciamo a memoria. Del resto è bello incontrare nuovamente i piccolo Kevin McCallister che, nei due mitici capitoli di “Mamma ho perso l’aereo”, concia per le feste due malcapitati banditi; o anche la coppia Eddie Murphy-Dan Aykroyd, in una commedia retta dagli equivoci: “Una poltrona per due”, un evergreen nelle TV natalizie.

Per onore di cronaca, dobbiamo ricordare i cine-panettoni, iniziati con “Vacanze di Natale” nel 1983. Calà, De Sica e Amendola recitano in una Cortina innevata. C’è anche qualche bella donna, nella trama, spesso con poco adesso. Meglio lasciar perdere. Andando indietro nel tempo, ci imbattiamo in Bianco Natale (1954). Nel film si ascolta White Christmas: la canzone più celebre delle feste e il disco più venduto di tutti i tempi. A intonarla è Bing Crosby.

A noi piace ricordare anche “Love Actually - l'amore davvero”. Siamo a Londra pochi giorni prima di Natale, dove l'amore è dappertutto. Dieci storie s’intrecciano a formarne una sola: Hugh Grant è il nuovo Premier appena insediatosi e si innamora di una ragazza del suo staff; sua sorella (Emma Thompson) è convinta di essere tradita dal marito (Alan Rickman) che in effetti è molto attratto da una collaboratrice, la stessa che aveva fatto perdere la testa ad uno scrittore (Colin Firth), il quale fugge all’estero per dimenticarla, incontrando anche lui l’amore, il sentimento che scivola ovunque nella trama. Tutto sistema, non per un miracolo, ma perché è giusto così. Il film è scritto bene.

Arriviamo in vetta alla classifica. Sì, perché tra i grandi classici del periodo natalizio c’è “La vita è meravigliosa”, diretto da Frank Capra.

Il film era stato proiettato la prima volta nelle sale americane il 20 dicembre 1946 e racconta parte della vita di George Bailey, personaggio indimenticabile al quale James Stewart, uno degli attori favoriti di Capra, avrebbe legato da allora la propria immagine. La sua esistenza è travagliata nell’America degli anni Venti e Trenta, fra la Grande Depressione e il New Deal dell’epoca di Franklin D. Roosevelt, passando per il periodo della guerra. Nel momento più buio, afflitto dalla disperazione, decide di suicidarsi. Sarà l’angelo di nome Clarence, altro personaggio ormai iconico, a farlo desistere, aprendo un sipario su una sorta di “realtà alternativa”: cosa sarebbe accaduto se lui non fosse mai esistito.
La disperazione diventa consapevolezza. George torna a casa, felice della vita; in una delle scene migliori del film: la corsa in mezzo a un viale innevato dove lui ripercorre, visivamente, la propria esistenza. Nel finale, tutti gli amici, e sono tanti, arrivano in suo soccorso: è la vigilia di Natale. Clarence, che nel frattempo ha messo le ali (la promozione per il suo operato), lascia un biglietto, con queste parole: «Caro George, ricorda che nessun uomo è un fallito se ha degli amici. P.S. Grazie delle ali! Con affetto, Clarence».

Frank Capra, l’ottimismo al cinema

Frank Capra è stato definito spesso un regista ottimista, a volte in una visione negativa. Le sue storie vivono per un buon tre quarti tra disavventure, disagi e drammi personali, per poi cambiare repentinamente rotta. Ne esce una retorica della vita, spesso condannata dalla critica, che però è messa in scena con perizia e mestiere. La sterzata verso il “lieto fine” avviene con piani sequenza prima accennati, poi travolgenti. Sono nate così inquadrature indimenticabili, che però vanno inserite nel contesto storico: la grave crisi economica e le tensioni pre-belliche. Il sogno americano non fa parte del menù: quello Frank l’ha vissuto di persona, partendo giovanissimo dalla sua Sicilia (la vi è tornato in visita nel 1977), e rendendosene conto ormai in tarda età.

Frank Capra, note biografiche

Frank Capra, il cui nome originario era Francesco Rosario Capra, nasce il 18 maggio 1897 a Bisacquino, in provincia di Palermo. A sei anni emigra con la famiglia in California, a Los Angeles, dove a 25 anni dirige un cortometraggio, il suo esordio nel mondo del cinema.
Alla fine degli anni Venti Frank dirige "Per l'amore di Mike" e gira sette film tra il 1927 e il 1928 in tempi rapidissimi (due settimane per la sceneggiatura, due per le riprese e due per il montaggio).

Arriva il sonoro, che Frank sperimenta in "La nuova generazione", con parti mute alternate ad altre registrate in presa diretta. Il suo primo film totalmente sonoro è "L'affare Donovan", una detective story del 1929. Inizia poi la collaborazione con con Barbara Stanwyck, già diretta in "Femmine di lusso": con lei gira "La donna del miracolo", "Proibito" e "L'amaro tè del generale Yen".
Nel 1933, con "Signora per un giorno" ottiene una candidatura agli Oscar per la migliore regia. La statuetta arriverà con "Accadde una notte", film premiato per la migliore regia, ma anche per il miglior film, la migliore attrice protagonista, il migliore attore protagonista e la migliore sceneggiatura.

Frank Capra tra il 1936 e il 1941 conquista trentuno candidature e sei premi Oscar con cinque film. Con l'arrivo della Seconda Guerra Mondiale si arruola nell'esercito americano, coordinando la propaganda bellica. Al termine del conflitto, il mondo è cambiato, e Frank Capra - dopo "La vita è meravigliosa", del 1946 - va incontro a un declino creativo. Si dedicherà alla Televisione, terminando la sua carriera a soli sessant’anni.

Frank Capra muore il 3 settembre 1991.

Le biografie spesso dimenticano “Angeli con la pistola” (1961), diretto da Capra quando la carriera era già in declino. La pellicola va osservata con cura, perché al suo interno vivono tutti gli stilemi che hanno reso famoso il regista italo americano. Troviamo un dramma individuale, uno sguardo su differenti ceti sociali, l’incontro, seppure comico, con la malavita. Al finale partecipano tutti: ricchi e poveri, malavitosi e politici, per una fiaba dal gusto agrodolce. Sì perché, al di là dell’happy ending, tutto tornerà come prima, e in pochi vivranno felici e contenti. Siamo negli anni ’60, ma le scene sono gestite come trent’anni prima: nelle modalità e nei tempi. I dialoghi si svolgono in inquadrature aperte, con pochi ricorsi al campo e contro-campo. I tagli del montaggio non sono veloci, come il momento storico richiederebbe, ma la visione è gradevole: una sorta di “lentezza ritrovata” che, in un dopo cena, di certo non farà male.

Il fotografo George Hoyningen-Huene

George Hoyningen-Huene era un fotografo di moda russo-americano, noto per i suoi eleganti lavori in bianco e nero. Nato barone George Hoyningen-Huene il 4 settembre 1900 a San Pietroburgo, Russia, suo padre era un nobile baltico e sua madre figlia di un diplomatico americano. Durante la rivoluzione russa, Hoyningen-Huene e la sua famiglia fuggirono a Londra prima di stabilirsi a Parigi, dopo la prima guerra mondiale. Nel 1925, il giovane artista si stava facendo strada come fotografo per Vogue francese, dove incontrò l’autore tedesco Horst P. Horst. Un decennio dopo, Hoyningen-Huene si trasferì a New York e lì firmò un contratto in esclusiva con Harper's Bazaar. Negli anni che seguirono, il fotografo si trasferì a Los Angeles per lavorare nell'industria cinematografica come consulente del colore e ritrattista di celebrità. Hoyingen-Huene morì il 12 settembre 1968 a Los Angeles, CA. Oggi le sue fotografie sono conservate nelle collezioni del J. Paul Getty Museum di Los Angeles, del Metropolitan Museum of Art di New York e del Museum of Fine Arts di Boston.

Le fotografie

“La vita è meravigliosa”, scena finale
George Hoyningen-Huene fotografa Frank Capra, 1930.

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