RENATA TEBALDI, IL DONO DELLA VOCE
Incontrare il compleanno di Renata Tebaldi (nata il 1° febbraio 1922) ci riempie di nostalgia. Ricordiamo con affetto le discussioni serali, in quell’Emilia di genitori e nonni. Già perché la lirica, a livello popolare, prevedeva le tifoserie tramandate col tempo.
Parlando di soprani, venivano richiamati i mostri sacri, in una contrapposizione da curva calcistica, che poi è quella del loggione. Renata Tebaldi è stata spesso messa di fianco alla Callas, con la stessa logica delle file teatrali di lassù, in alto. In casa si spaziava oltre, arrivando fino alla Toti Dal Monte e alla sua voce da usignolo, indimenticabile in quella Lucia di Lammermoor che gracchia nel giradischi. Alla fine arrivava la sentenza: Renata ha cantato per Arturo Toscanini. In effetti, ne ha parlato anche la stessa soprano, in prima persona: «Due giorni dopo arrivò la telefonata tanto attesa: “Lei ha conquistato Toscanini. Mai il Maestro si è dimostrato così entusiasta per una cantante giovane. È così soddisfatto che ha voluto includerla nel cast del concerto per l’inaugurazione della Scala ricostruita”. “È una piccola parte quella che le affidiamo, ma è molto importante cantare con Toscanini”». (Renata Tebaldi).
Di Renata Tebaldi è giusto ricordare la voce, il cui timbro era pieno nella sonorità. Pura e morbida, spesso regalava fraseggi ricchi di sfumature, dai toni cromatici d’ampio spettro. La stessa soprano ne era consapevole: «Io devo ringraziare Dio che mi ha dato una voce eccezionale, con un colore e una purezza unici. Bastava che aprissi bocca perché tutti gridassero al prodigio. La mia fatica è consistita solo nell’approfittare di questo dono meraviglioso». (Renata Tebaldi).
Al di là del tifo da loggione, ribadiamo come la Tebaldi venga ricordata alla stregua di una delle cantanti liriche più amate di tutti i tempi, acclamata in particolare come interprete di Verdi e Puccini. La sua carriera durò oltre trent’anni ed è bella riconoscerla nella fotografia che Giorgio Lotti ci ha concesso (grazie). La Scala è tutta per lei, loggione compreso.
Renata Tebaldi, note biografiche
Renata Tebaldi nasce il 1° febbraio 1922 a Pesaro, ma trascorre la sua infanzia a Langhirano, in provincia di Parma. Inizia gli studi di canto al Conservatorio di Parma con Ettore Campogalliani, ma deve la sua formazione soprattutto all’illustre soprano Carmen Melis, con la quale si perfeziona al Liceo Musicale Rossini di Pesaro.
Debutta il 23 maggio 1944 al Teatro Sociale di Rovigo come Elena nel Mefistofele e l’anno dopo è al Regio di Parma (La Bohème, L’Amico Fritz e Andrea Chénier) e al Verdi di Trieste (Otello).
L’11 maggio 1946 partecipa al concerto di riapertura della Scala di Milano diretto da Arturo Toscanini, che conia per il suo intervento nel Te Deum di Verdi il leggendario attributo di “Voce d’Angelo”. In quell’anno debutta alcuni suoi cavalli di battaglia, come Lohengrin (Parma), Mefistofele (Margherita, Milano), Tosca (Catania). Nel 1947 è alla Scala per I Maestri Cantori, dove tornerà in opere diverse per altre nove stagioni, sino al 1960. Debutta anche all’Arena di Verona (Faust), all’Opera di Roma e al San Carlo di Napoli (La Traviata e Tannhäuser), teatro destinato a diventare la sua autentica roccaforte per l’Italia.
Parallelamente ai titoli del grande repertorio (oltre ai citati, Falstaff, Aida, Adriana Lecouvreur, Forza del destino, Messa da Requiem di Verdi), affronta per un breve periodo diverse rarità e ruoli in seguito abbandonati, come Don Giovanni (Donna Elvira, Lisbona, 1949), L’Assedio di Corinto di Rossini (Firenze, 1949), Olimpia di Spontini (Firenze, 1950), Giulio Cesare di Händel (Pompei, 1950), Giovanna d’Arco di Verdi, Fernando Cortez di Spontini (entrambi a Napoli, 1951), Le nozze di Figaro (Contessa, Napoli, 1952), Guglielmo Tell di Rossini (Firenze, 1952), Cecilia di Refice (Napoli, 1953), La Wally di Catalani (Milano, 1953), Eugenio Onegin (Milano, 1954).
Nel 1955 debutta con Otello al Metropolitan di New York, dove sarà di casa sino al 1973, dando inizio alla sua importante carriera americana, che l’ha vista affrontare nuove opere destinate ad entrare nel suo repertorio, come Simon Boccanegra (San Francisco, 1956), Manon Lescaut (Chicago, 1957), Fedora (Chicago, 1960), La Gioconda (New York, 1966), La Fanciulla del West (New York, 1970). È ospite dei maggiori teatri internazionali e, nonostante i prevalenti impegni americani, torna più volte in Europa, al Liceu di Barcellona (debutto in Madama Butterfly, 1958), alla Staatsoper di Vienna, all’Opéra di Parigi, al Covent Garden di Londra.
La sua ultima apparizione italiana in un’opera è al San Carlo di Napoli nel 1968, in Gioconda, mentre l’addio alle scene avviene al Metropolitan nel 1973 in Otello. Prosegue l’attività a livello concertistico, in Italia e all’Estero. Con un recital trionfale alla Scala, il 23 maggio 1976, si congeda dall’attività artistica.
Tornata definitivamente in Italia, vive tra Milano e San Marino, dove si spegne il 19 dicembre 2004.
(Fonte: Sito Fondazione Renata Tebaldi)
Giorgio Lotti, lezioni di fotogiornalismo
L’auto procedeva a fatica. La pioggia era torrenziale, mai vista. In autostrada non c’era nessuno. A Firenze veniamo fermati da una pattuglia della polizia: “Da dove venite?”, ci chiedono con una certa meraviglia. E aggiungono: “Stiamo chiudendo entrambe le corsie”. Era il prologo dell’alluvione: quella del ’66, cinquant’anni addietro. I ricordi sono quelli di chi scrive, allora bambino. Il giorno dopo, il mondo aveva il colore del fango: tra ponti divelti, frane, case danneggiate.
Incontrare Lotti è stata un’emozione grande, perché lui, quella notte, era a Firenze, aspettando la notizia. L’Arno gonfiava e Giorgio camminava per capire, leggere, intuire. Come sempre, mentalmente stava creando quello spazio “vero” nel quale collocare le proprie immagini. Il nostro non è mai stato “cacciatore” delle proprie fotografie; probabilmente le ha attese, creandole magari: conoscendo già cosa la realtà gli avrebbe manifestato. Il servizio sull’alluvione del ’66 (del quale riportiamo alcune immagini) ne è appunto un esempio eloquente, perché sorprende per quanto c’è, ma soprattutto per quello che manca. Il racconto possiede la forza della sintassi fotografica da reportage: soggetto e contesto, verità e interpretazione, soggettività e spazio per chi guarda. Giorgio, in quegli scatti, sussurra, suggerisce, propone; offre al lettore la possibilità di afferrare il racconto, immergendovi le proprie emozioni. Questa è fotografia. Cosa manca? La retorica slavata, il clamore, la violenza che strozza il respiro e chiude gli occhi, impedendo di pensare. Questa è fotografia.
Giorgio Lotti, note biografiche
Giorgio Lotti nasce a Milano nel 1937.
Inizia a lavorare nel 1957, collaborando come free-lance per alcuni quotidiani e settimanali quali “Milano Sera”, “La Notte”, “Il Mondo”, “Settimo giorno”, “Paris Match”. Nel 1964 entra nello staff di Epoca sotto la direzione di Nando Sampietro dove rimane fino al 1997, anno di chiusura del giornale. Ha lavorato fino al 2002 a Panorama.
Nel 1973, per un reportage fatto in Cina viene insignito, dalla University of Photojournalism, Columbia, del premio “The World Understanding Award”. Ha partecipato inoltre a numerose edizioni del Sicof a cura di Lanfranco Colombo. Nel 1995, nel corso del 16° Sicof viene premiato con l”Horus Sicof 1995” per il ruolo svolto nel campo della fotografia italiana Nel 1994, a Modena, riceve il prestigioso premio letterario “Città di Modena”.
Alcune immagini sono conservate nei musei americani, di Tokio, Pechino, al Royal Vìctoria Albert Museum di Londra, al Cabinet des Estampes di Parigi, al Centro Studi dell’università di Parma, alla Galleria Civica di Modena.
Negli ultimi dieci anni si è dedicato alla ricerca fotografica nel campo del colore e dell’arte.
Le fotografie
Renata Tebaldi, Teatro alla Scala, 1974. Giorgio LottiLa fotografia in bianco e nero ci è stata concessa dall'autore, che ringraziamo. Quella a colori è tratta dalla Gallery Fotografica del Museo Renata Tebaldi.