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EMOZIONI POLAROID

La bambina si era messa a piangere, la nonna con lei, pur non intuendone il motivo. La fotocamera aveva prodotto un’immagine quadrata, con la bimba vestita da fatina. L’abito lungo le copriva i piedi, che lei credeva fossero scoparsi nel nulla: ecco il motivo delle lacrime. La prima emozione Polaroid (modello Barbie) non fu felice, ma il suo ricordo aleggia ancora oggi, dopo molto tempo. Di sviluppi istantanei ve ne sono stati altri, con apparecchi diversi; e quella ragazzina, cresciuta col tempo, non ha mai rinunciato alla meraviglia di quello scatto speciale, da dedicarsi a soggetti specifici, a momenti significanti. In casa se ne trovano tanti, a sugellate un tempo solido, pieno, salvato con forza.

Oggi la fotografia a sviluppo immediato compie 77 anni. Venne presentata a New York, la sera del 21 Febbraio 1947, presso Hotel Pennsylvania. Aveva un nome, Polaroid, e un inventore, Edwin H. Land. Le cronache parlano di una giornata nevosa. Dopo lo scatto, bastava aspettare per 50 secondi e l'immagine era pronta. Forse allora i fotografi non erano ancora pronti a vivere l'emozione al momento (come invece facciamo oggi), presi com'erano a dare un senso al tempo proprio, delegando poi al futuro i sentimenti; ma la fotografia immediata (pur sempre scheggia di eternità) si sarebbe rivelata differente: più materica, scolpita, reale.

Gli oggetti collegano tempi differenti. Disegnano la traiettoria della bellezza. Ogni tanto muoiono. Ci rimangono accanto per anni: improvvisamente scompaiono dalla nostra vista. Noi non sappiamo se ci hanno abbandonato per sempre, se torneranno, se là dove sono ora mantengono qualcosa di noi. Forse quegli oggetti sono noi qualche decennio fa. Restano in disparte, nel fondo di un cassetto o nell’angolo più buio di una cantina. Da lì, silenziosamente, raccontano il mondo. Le parole che abbiamo appena letto appartengono all’introduzione del libro “Dieci splendidi oggetti morti”, di Massimo Mantellini (Ed. Mondadori Retail).

In famiglia non abbiamo usato spesso le sue fotocamere a sviluppo immediato, ma una “Pola” ogni tanto è stata spellicolata, esposta con un banco ottico 10X12. In ogni occasione l’emozione diventava imponente, con in mano una singolarità indelebile: indebolita nel tempo, ma non nell’idea.
Quella Polaroid “Modello Barbie” esiste ancora, nel cassetto buono. Racconta ancora di noi e di quella ragazza che, anni prima, piangeva di fronte a una Polaroid che l’aveva ritratta.

Non abbiamo certo celebrato il compleanno Polaroid, soffermandoci su episodi di carattere personale. Lo sviluppo immediato, col tempo, è diventato anche un linguaggio, così abbiamo chiesto aiuto a Maurizio Galimberti, interprete assoluto in materia. Lo ringraziamo per le immagini che ci ha voluto dedicare.

L’incontro con Maurizio Galimberti

Incontriamo Maurizio Galimberti in casa sua, a Milano. Ci accoglie con ospitalità. Un lungo corridoio ci conduce in una sala piena di libri. Alle pareti fanno mostra di sé alcuni suoi mosaici. Una tenda bianca si gonfia di sole e di vento. Usciamo in terrazzo, prendiamo un caffè.

Siamo imbarazzati nel parlare con lui, soprattutto perché non sappiamo da dove iniziare. Lui è il fotografo e l’artista, ma anche il pensatore che plasma le immagini con le mani, lo sperimentatore che compone e ricompone, l’interprete che fa suo il proprio tempo, allungandolo se serve. È perfino studente, quando vuole; perché è nell’applicazione che vive il suo pensiero fotografico; tante cose, troppe: difficile trovare un pertugio.

Siamo abituati a parlare con fotografi che diventano come noi quando poggiano la fotocamera sul tavolo. Lo strumento, nel loro caso, diventa elemento di coesione con il linguaggio fotografico, ma solo quando serve. Subito dopo, proprio scatola e obiettivo possono fungere da separatori: l’uomo da un lato e l’immagine da un altro. Forse stiamo esagerando, certo è che Maurizio è interprete e strumento. La fotografia vive in lui permeandosi delle sue stesse sensazioni, degli stati d’animo che lo accompagnano. Manipolazioni e mosaici rappresentano quasi un’esigenza fisica e mentale, per dare sfogo all’arte, assorbita nel pensiero fino a diventare idea.
A questo punto sarebbe facile scoprire come Cubismo, Dadaismo e Futurismo abbiano lasciato tracce importanti nell’ispirazione di Galimberti, assieme ovviamente al surrealismo e all’arte concettuale di Marcel Duchamp. È lui stesso a dircelo, e soffermandoci sulle definizioni rischieremmo di rendere più impermeabile l’anima del fotografo – artista. Lui è interprete e strumento, dicevamo; così, forse (non ce ne voglia Maurizio), la sua personalità si divide proprio durante il Click. Tutto è già avvenuto, prima; e molto deve ancora accadere. “Spellicolerà”, per guardare, solo quando vorrà, dopo un tempo necessario. Le verifiche non occorrono, perché i significati sono dentro di lui già prima e subito dopo quel Click: quando l’idea si riposa; tra lo scatto e l’artista, appunto.

Maurizio Galimberti, note biografiche

Maurizio Galimberti nasce nel 1956 a Como. Mentre frequenta l’istituto per geometri, sviluppa una precoce passione per la fotografia e partecipa a numerosi concorsi. All’inizio usa la pellicola analogica, ma ben presto passa alle polaroid, per vedere subito il risultato del suo scatto senza aspettare. La scelta della polaroid si rivela azzeccata, perché la pellicola istantanea produce dei colori magici.
Nei primi anni ’90 Galimberti abbandona l’azienda edile della famiglia per dedicarsi esclusivamente alla fotografia. Nel 1991 inizia a collaborare con la polaroid, diventandone il testimonial ufficiale. Nel 1995 esce il volume Polaroid Pro Art e nel 1997 i suoi mosaici di polaroid entrano nel mondo del collezionismo d’arte.
La tecnica di Galimberti, che risente dell’influenza di Boccioni e di Duchamp, consiste nel fare un collage di polaroid ciascuna delle quali riproduce un particolare diverso dell’immagine da ritrarre. Grazie a questa tecnica particolare Galimberti arriva al primo posto nella classifica dei foto-ritrattisti italiani della rivista Class e partecipa come ritrattista a diverse edizioni del Festival del Cinema di Venezia, immortalando i divi del cinema, come Johnny Depp. Anche alcune importanti aziende (Fiat, Caffé Illy, Lancia, Nokia) gli commissionano delle opere.

Le fotografie

Una Polaroid elaborata di Maurizio Galimberti.
Maurizio Galimberti, copertina Image Mag n°3 2017

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