[NASCE ELLIOTT ERWITT, RIFLESSIONI]

Elliott Erwitt nasce a Parigi il 26 luglio 1928. Non è facile parlare di lui. Abbiamo visto più volte le sue immagini, tra mostre e libri; il destino ci ha anche concesso il privilegio di stringergli la mano, ma ogni volta ci troviamo al punto di partenza. Sì perché il suo lavoro, facile a digerirsi, divertente persino, svanisce in una bolla di sapone, rilanciando significati ulteriori, allungati in idee e riflessioni.

Molti suoi colleghi ci hanno parlato di lui (anche questo ha rappresentato un privilegio). Gianni Berengo Gardin, amico di Erwitt, nonché coautore del libro “Un’amicizia ai sali d’argento”, ne riconosce il valore iconico assoluto, la capacità di indagare la persona, la sensibilità, l’ironia, la profondità del lavoro. Ferdinando Scianna, collega in Magnum, nel suo libro (un capolavoro) “Obiettivo Ambiguo”, quasi ne attribuisce un valore terapeutico. Il fotografo siciliano suggerisce di conservare un volume di Erwitt nella cassetta del pronto intervento, per i momenti bui! Subito dopo, però, ne conferma l’intelligenza, la capacità di saper far coesistere, nella stessa immagine, significati contrapposti.

Qual è la verità, allora? Perché, personalmente, di fronte alle fotografie di Erwitt ci sentiamo incompleti? Del resto sarebbe troppo semplice goderne della sola ironia, anche perché c’è molto dell’altro. Alle volte ci siamo anche commossi, esplorando Erwitt; e poi meravigliati, con un senso di sbigottimento e gratificazione.

Fotografia e ironia

Erwitt con i suoi scatti ci offre una visione del mondo molto personale, che ignora per lo più il paesaggio, per concentrarsi quasi esclusivamente su persone e animali, colti in atteggiamenti molto spesso insignificanti e a volte anche ironici, ma sempre in grado di suscitare empatia nell’osservatore. Ciò che emerge da queste fotografie sono le emozioni proprie degli esseri umani, viste e rappresentate in modo semplice e schietto, e sempre caratterizzate da un tocco di umorismo.

Erwitt ha avuto modo di dire: “Uno dei risultati più importanti che puoi raggiungere, è far ridere la gente”. “Se poi riesci, come ha fatto Chaplin, ad alternare il riso con il pianto, hai ottenuto la conquista più importante in assoluto”. “Non miro necessariamente a tanto, ma riconosco che si tratta del traguardo supremo”.

Anche qui riconosciamo il contrapporsi di due entità separate, di due sentimenti lontani, suffragati appunto dal riso e dal pianto. Il fotografo ha sempre nutrito grande stima per Chaplin, che più volte ha detto (parafrasiamo): “La felicità sta nella gioia di essere tristi”. Forse Erwitt ha condiviso con il regista la visione della vita, quella che accenna, dichiara, esige, restituisce; ma che alla fine, col passare del tempo, smussa gli angoli. La malinconia diventa così un sentimento a tendere, il risultato dei ricordi, il mescolarsi continuo di sensazioni dissimili, come appunto quelle del pianto e del riso.

La capacità di osservare

Oggi ci sentiamo tutti fotografi, solo perché possediamo una fotocamera. In realtà non è così, come del resto non basta avere una penna per sentirsi scrittori. Essere autori è un’altra cosa e richiede molto di più che non la semplice perizia tecnica. “Dire qualcosa”, suggestionare un pubblico di guardanti, trasmettere sensazioni, implica sensibilità, senso dello stile, della composizione, forse anche una buona istintività; ma al centro di tutto deve esservi la capacità di guardare le cose nel modo giusto.

Al centro della poetica di Erwitt sta proprio l’anima della fotografia, ovvero l’osservazione, l’attenta analisi della realtà che lo circonda. Questo gli ha permesso di maneggiare giocando, ma sempre in modo benigno, i difetti propri dell’essere umano, eliminando tutte le superficialità, per giungere alla vera sostanza. Nelle sue immagini difficilmente c’è spazio per la violenza, per le guerre, o le crudeltà; in esse non compaiono né quartieri degradati, né dimore sontuose, ma vivono placidamente cani, bambini e famiglie numerose. Anche le celebrità sono ritratte nella massima spontaneità. Lo spirito che muove l’artista, e che ci permette di comprendere la sua passione per la fotografia, emerge come immagini capaci di entrare in empatia con gli osservatori: nell’impatto e durante il tempo a venire. Del resto la genesi dell’icona nasce da lì: una fotografia viene vista più volte e in ogni occasione contagia e persuade. Erwitt ci ha abituato così.

Ha detto Elliott Erwitt

“Nei momenti più tristi e invernali della vita, quando una nube ti avvolge da settimane improvvisamente la visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare l’aspetto delle cose, il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me, quella in cui viene colto l’istante, è molto simile a questo squarcio nelle nuvole”. “In un lampo, una foto meravigliosa sembra uscire fuori dal nulla”.

Elliott Erwitt, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, 26 Luglio 1928



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