[IL KUWAIT DI SALGADO]

E’ il 2 agosto 1990. Saddam Hussein invade il Kuwait, rivendicandone l'appartenenza all'Iraq. L'ultimatum di ritiro dell'ONU viene ignorato e le forze USA iniziano l'Operazione Desert Storm. La guerra diventa un evento mediatico seguito dalle TV di tutto il mondo.

Ecco cosa racconta la sinossi del libro: “Kuwait, Un deserto in fiamme” di Sebastião Salgado, edizioni Taschen. Nel gennaio e febbraio 1991, man mano che la coalizione guidata dagli Stati Uniti respingeva l'esercito iracheno dal Kuwait, le truppe di Saddam Hussein risposero scatenando l'inferno. Circa 700 pozzi petroliferi e un numero imprecisato di depressioni sommerse di petrolio furono dati alle fiamme, scatenando enormi incendi divampanti; la regione fu coperta da grandi nubi nere e l'aria si riempì di migliaia di tonnellate di protossido di azoto e anidride carbonica. Mentre i disperati tentativi di contenere e spegnere le fiamme erano ancora in corso, Sebastião Salgado si recò in Kuwait per assistere di persona alla situazione di crisi. Le condizioni erano insopportabili. Il calore era tale che il suo obiettivo più piccolo si deformò. Un giornalista e un fotografo rimasero uccisi quando una chiazza di petrolio prese fuoco mentre la stavano attraversando. Rimanendo sempre vicino ai pompieri, e con la sua caratteristica sensibilità per le sorti umane e ambientali, Salgado immortalò le terrificanti proporzioni di quel "gigantesco teatro grande quanto il pianeta": il paesaggio devastato; le temperature estreme, l'aria soffocante per via della sabbia bruciata e della fuliggine; i resti ricoperti di bolle dei cammelli; le bombe a grappolo ancora sparse sul terreno; e infine le fiamme e il fumo che si innalzavano verso il cielo, impedendo alla luce del sole di filtrare e sovrastando i pompieri ricoperti di petrolio.

Sebastião Salgado arriva in Kuwait il primo Aprile 1991, inviato per il New York Times Magazine. Si trova sotto un cielo nero di polvere e fumo. Il rumore delle fiamme impedisce agli uomini di comunicare: una scena apocalittica lunga mesi e mesi che alcuni eroi tentano di arginare.

“Ricordo che il calore deformava gli obiettivi della mia macchina fotografica”, ha scritto venticinque anni dopo Sebastião Salgado sul New York Times. “Le mie mascelle erano stremate dalla tensione per essere esposti ore ed ore a quelle temperature”. “C’era rumore, c’era puzza e c’era una continua paura di una grande esplosione”. “Ho capito immediatamente che avevo bisogno di attrezzature speciali se volevo fotografare da vicino quelle persone impegnate a spegnere gli incendi”. “Per fortuna, lungo la strada ho trovato calzature e indumenti protettivi lasciati nel deserto dall’esercito iracheno in fuga”.

Sebastião Salgado

Forse con Salgado si chiude la grande scuola del reportage: quella di Robert Capa, Cartier Bresson, Werner Bischof e tanti altri ancora. Inizialmente avviato agli studi economici, inizia la sua attività di fotoreporter a ventisei anni, quando, in seguito a una missione nel Corno d’Africa, documenta la tragedia della grande carestia nel Sahel. Le sue foto vivono di una bellezza drammatica e dal primo momento fanno discutere, perché abbinano gli estremi della vita: tra estetica, carestia e disperazione. Conquistano comunque il mondo, e lo pongono alla ribalta internazionale. Salgado è stato definito un fotografo umanista, ma forse sarebbe meglio definirlo “impegnato” o quantomeno legato a quanto gli accade davanti. “Il distacco è un disastro per il fotoreporter”, ha detto in un’intervista, aggiungendo: “Si deve vivere all’interno della situazione, farla diventare vita reale personale, condividendo con le persone ciò che stanno provando”. La sua fotografia, comunque, non si è mai posta domande: neanche di natura etica. Lui non andava a prendere qualcosa, né a sfruttare qualcuno. Le immagini venivano fatte bene, ecco tutto: utilizzabili per comunicare. Nelle sue fotografie, Sebastiao ha sempre mostrato la sua incrollabile fede nell’uomo, la profonda solidarietà: senza incrinature e priva di retorica davanti al dolore.

Sebastião Salgado, 2 agosto 1990, Saddam Hussein, Kuwait, Operazione Desert Storm, New York Times



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