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[NASCE TOTO FRIMA]

Toto Frima, fotografa olandese autodidatta, ha raggiunto il proprio riconoscimento negli anni '80, con i suoi autoritratti su Polaroid SX70: opere fotografiche create in proprio utilizzando un pulsante di scatto remoto. Le immagini, in forma di dittico o trittico, erano spesso cariche di erotismo e hanno catturato rapidamente l'intera Europa. Una delle ragioni del successo stava nella coerenza tra messaggio e gli sviluppi socio-culturali in atto. Negli anni '90 Frima attira l'attenzione del pubblico per la seconda volta, con le sue nuove opere in 50x60 cm Polaroid. Le nuove creazioni perdono la loro intimità, ma l'argomento rimane invariato.

Toto Frima è nata il 25 settembre 1953 ed è stato largamente influenzata dagli anni '70. La sfera dell'arte di quel periodo è stata caratterizzata dalla volontà di evolversi e rafforzarsi, come risposta ai numerosi conflitti del decennio precedente.

Ci piace però soffermarci sull’immagine che racconta chi la scatta: l’autoritratto, appunto; un po’ come ha fatto Concita De Gregorio nel suo libro “Chi sono io?” (Image Mag n°1, 2018; “La biblioteca che vorrei”), dal quale abbiamo tratto spunto.

Qui l’argomento si allarga, soprattutto in direzione della fotografia al femminile. Sì perché, nella storia dell’immagine scattata, a ritrarsi da sole sono state soprattutto le donne: Francesca Woodman, Cindy Sherman, Wanda Wulz, Dora Maar; ma anche Claude Cahun, Ilse Bing, Lisette Model, Imogen Cunningham e tante altre. Questioni di vanità? No, mai; piuttosto si trattava di un bisogno, quasi sempre rivolto a un “quando”, prima ancora che a un “perché”, a sottintendere come soprattutto il tempo faccia parte della fotografia.

Ore, minuti, secondi, scorrono senza tregua; ma è un’illusione pensare che il loro andamento sia lineare. Più spesso accelerano, rallentano, tornano indietro, confluiscono, suggeriscono, esortano, ricordano. Possono diventare un lusso o anche un’ossessione. L’autoritratto compie per questo quasi una forzatura: diventa un testacoda, un passo più lungo della gamba che torna verso l’interiorità. Per cercarla.

E allora? Ancora domande; e poi sussurri, suggerimenti, persino preghiere. “Guardami”, sembrano esortare gli autoritratti. “Siamo qui”, aggiungono; quasi cercando un dialogo. Dietro un autoritratto c’è sempre una storia, con grandi temi: la famiglia, la madre, l’infanzia, le paure, la solitudine, il tempo; un tentativo continuo per cercarsi, mancandosi a volte, comunque un’esperienza. E questo è importante: la fotografia, già disciplina di comportamento, pratica di relazione, diventa (per fortuna) modo di vivere e per vivere, terapia che sostiene, sistema più o meno ortodosso per far proprio il tempo. E spiegarlo.

La fotografie.

Self-portrait by Toto Frima.

Copertina del libro 50X60, Toto Frima

Toto Frima, Polaroid SX70, 25 settembre 1953

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