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[BUON NATALE]

Una fotografia d'autore ci aiuta nelle parole. Si tratta dell’albero di Natale più grande al mondo, Gubbio 2014; a firma di Giulio Andreini. Tanti auguri a tutti i lettori, agli appassionati di fotografia, ai curiosi, ma anche a molti altri: perché ogni persona fa parte di una storia da raccontare.

Buon Natale dalla Redazione di Image Mag.

[Un racconto]

[IL NATALE DI UN FOTOGRAFO DI GUERRA]

Hans abitava in una bella casa, almeno così si potrebbe credere. A guerra finita, dopo la prigionia a Forlì, era tornato in Germania, con l’intendo di continuare gli studi. Diventò medico, praticando poi la professione sino alla pensione.

Non aveva mai abbandonato la fotografia, un credo antico che coltivava sin da ragazzo; portato avanti anche durante il conflitto mondiale. Era un Caporale fotografo, attivo soprattutto lungo la Linea Gotica, quando il fronte si fermò appena giù dall’Appennino tosco – emiliano, verso Bologna.

Lo possiamo immaginare seduto alla sua scrivania enorme, illuminata da una grande lampada, con sopra gli oggetti di sempre, ordinati dall’abitudine. Della vecchia fotocamera, sempre a portata di mano, il medico riconobbe l’odore della custodia, che a lui piaceva molto. Lo respirava a lungo anche al fronte, durante la guerra, quando la paura saliva in gola e paralizzava le gambe. Per lui quello strumento profumato rappresentava un privilegio; con esso poteva guardare, capire, conoscere, far proprio il tempo.

Hans poggiò la nuca allo schienale e chiuse gli occhi.

“Che fai?”, chiese Costanza, la moglie, entrata all’improvviso. “Dormi?”.

“No”, rispose lui, “Ricordo la mia giovinezza, in Italia, sull’Appennino”.

Hans amava quell’angolo d’Appennino, lo aveva apprezzato da subito, appena arrivato. Nonostante operasse in prima linea, viveva da solo, in una stanzetta ricavata dentro una collina. Lì poteva sviluppare i negativi e anche stamparli a contatto, ma all’esterno, alla luce del sole, con un piccolo torchio.

Quando poteva affacciarsi, riconosceva una sorta di magia, soprattutto quando la guerra concedeva una pausa. Erano albe, tramonti, con anche quella luce limpida, trasparente, a incorniciare l’orizzonte.

Fotografava per l’esercito tedesco, il che non era un limite; anche se un giorno iniziò a osservare la realtà in maniera differente. I gerarchi volevano essere ritratti all’opera, così come pretendevano fotografasse solo scene di battaglia: istanti prevedibili, omologati, consueti; ma c’era dell’altro, e lui avrebbe voluto esplorarlo. Secondo il suo vedere, non esisteva un attimo più importante di un altro e la spontaneità poteva risultare più ingannevole di una fotografia costruita.

Iniziò così a chiedere delle pose, a seconda dei personaggi che aveva di fronte: un ufficiale, un soldato, il contadino a cui era stata espropriata la casa. Man mano che procedeva nel suo lavoro, ne veniva fuori un racconto, quasi un’eredità da lasciare a figli e nipoti: uno sguardo allungato. Un giorno, sullo slancio dei risultati, decise di ritrarre la “non guerra”, immagini che avrebbero significato ancora di più l’evento bellico che stavano vivendo. La pace rappresentava il contrario della battaglia ed era giusto documentarla. Ne venne fuori il paesaggio: quella luce che abbagliava le mattine e dipingeva i crinali, le case, gli alberi.

Si era spinto anche in paese, dove alle volte si viveva una normalità precaria, che comunque voleva dire guerra, paura, ansia, instabilità. Lì aveva conosciuto Angela, una ragazza del luogo. Per via della lingua, tra loro non potevano parlare; ma l’orgoglio dei vent’anni fece il resto. Fu lei a chiedergli una fotografia, e lo fece con pochi gesti: le mani tra i capelli, lo sguardo accattivante e quella gonna fatta salire con malizia sopra il ginocchio.

Hans capì. L’istante, l’argomento, l’inquadratura, spesso non bastano: occorre qualcuno che chieda la fotografia, anche solo per vanità; mettendosi a disposizione.

Arrivò il giorno di Natale. Hans lo capì dal passaparola tra commilitoni. Non riceveva missive e si sentiva solo. Il freddo tagliava la pelle e per sentire il profumo della sua fotocamera era costretto ad appoggiare la custodia al naso.

Si affacciò dalla sua postazione. L’aria era limpida, il silenzio assoluto. Durante la notte una leggera nevicata aveva imbiancato il paesaggio. Scattò qualche fotografia, per la sua “non guerra”; ma non si sentiva soddisfatto. Rimise i guanti. Il cielo era azzurro e un leggero vento sollevava dei cristalli di ghiaccio. Mancava un altro istante alla sua visione, quello degli altri. Anche loro combattevano, con le sue stesse ambizioni: sopravvivere e poter raccontare. Uscì dalla trincea con passo deciso. Dei commilitoni gli urlarono di fermarsi, ma lui continuò a camminare: voleva vederlo, il nemico; fotografarlo, raccontarlo. Su quei monti, tutti stavano scrivendo una storia: tedeschi, americani, persino Angela, che lo guardava sempre con gli occhi dolci.

Hans non vedeva nulla davanti a sé. Solo in fondo si distingueva una siepe: il resto era bianco, luminoso. Allargò le braccia, con il cuore che gli batteva in gola. Dalla mano destra pendeva la fotocamera, che adesso lui reggeva per la tracolla. Immaginò un colpo, che non arrivò; finché sentì parlare diverso. Allora si fermò. Dalla siepe uscì un soldato, che lo teneva sotto tiro; poi un altro, con un fucile puntato. Lui con la mano sinistra indicò la fotocamera, mentre i due americani si guardavano.

“Fröhliche Weihnachten”, disse Hans, col timore di non essere compreso.

“Merry Christmas”, fu la risposta.

Lentamente cercò di spiegare che voleva una foto ricordo, mimando le pose che desiderava. I due nemici si guardarono ancora, finché uno non lo imitò.

“Ok”, urlò Hans entusiasta, poi iniziò a scattare. Quello fu il momento più intenso di tutta la sua guerra, sicuramente l’istante decisivo.

Hans aprì gli occhi. Costanza stava guardando le fotografie che aveva sul tavolo.

“Chi è questa ragazza?”. “Un’italiana?”, chiese la moglie.

“Si chiamava Angela”, rispose. “Viveva a Vergato”.

“Era molto bella, ti mostra le gambe”, ribadì lei.

“Un gesto malizioso e nulla più”.

“Sì, ma anche consapevole!”.

“Era giovane, tutto qui”, disse Hans.

Costanza guardò il marito in silenzio, con fare sospetto. Lui si alzò dalla poltrona ed entrambi uscirono dalla stanza. Le fotografie rimasero sparse sulla scrivania, assieme alla fotocamera “profumata”. Si vedevano soldati, battaglie, paesaggi, nevicate e in una sola si scorgeva Angela. Per Natale le aveva regalato tutti gli scatti che la riguardavano, compreso quella nella quale mostrava le gambe.

*

25 dicembre, Natale, Giulio Andreini

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