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[IL GIORNO DELLA MEMORIA]

Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa libera il campo di concentramento nazista di Auschwitz. Ricollegandosi a quella data, il 27 gennaio di ogni anno si celebra il “Giorno della Memoria”, per non dimenticare cosa sia stata la Shoah e i milioni di vittime che produsse.

“Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti.”

(Jorge Luis Borges)

All’avvicinarsi del 27 gennaio, si legge e si ascolta molto circa quella data, spesso riflettendo sul perché, quando invece occorrerebbe soffermarsi sui numeri e anche su una determinazione industriale e programmata. La memoria, comunque, siamo noi, proprio come dice Borges. E’ sul tempo passato che fondiamo esperienza, conoscenza, progresso e, se vogliamo, libertà.

Lo scorso anno celebrammo il giorno della memoria con l’aiuto di un libro: “Il Fotografo di Auschwitz”, di Luca Crippa e Maurizio Onnis (Editore Piemme, 2 settembre 2014). Il volume trattava della storia di Wilhelm Brasse durante la seconda guerra mondiale, vissuta, da detenuto, nel campo di concentramento di Auschwitz, dove fu deportato nell’agosto del 1939. Per sua fortuna, era un fotografo valente, così gli fu ordinato di ritrarre, a scopo di documentazione, i prigionieri del campo. Brasse fotografò anche gli ufficiali e i tanti esperimenti chirurgici portati avanti da medici crudeli e senza scrupoli.

Agli inizi del 1945, dopo l'entrata dei sovietici in Polonia, i nazisti ordinarono a Brasse di distruggere tutte le fotografie, con anche i negativi. L'Armata Rossa le troverà appena liberato il campo, conservandole sino a oggi.

Nel febbraio del 1945, Brasse fu trasferito nel campo di concentramento di Ebensee, dove rimase sino a quando le forze americane lo liberarono, agli inizi del maggio del 1945. Da uomo libero non scatterà più una fotografia.

Oggi celebriamo il 27 gennaio con l’aiuto di altre due fotografe: Lee Miller e Margaret Bourke White.

[La fotografa, Lee Miller]

“Credetemi, è tutto vero!“ Così scrisse Lee Miller nella busta con i rullini che spedì nell’aprile del 1945 a Vogue America. Quelle fotografie hanno rivelato al mondo l’orrore nascosto nei campi di concentramento di Buchenwald e Dachau.

Lo sguardo di Lee Miller si insinuò nei campi di concentramento senza imbarazzo. Ai corpi senza vita che le SS non avevano fatto in tempo a occultare se ne aggiungevano altri, vivi ma senza un’anima, legati alla vita da un debole battito, denutriti, oltraggiati, privati della dignità. Lee li aveva chiamati i “dead prisoners“, prigionieri morti.

[La fotografa, Margaret Bourke White]

Nell’aprile 1945, insieme alle truppe dell’esercito americano, fu tra le prime a entrare e fotografare il campo di concentramento di Buchenwald, appena liberato. Qui vide l’orrore che catturò con l’occhio freddo della sua macchina. In una delle immagini più celebri scattate in questo momento, ci mostra i volti dei prigionieri internati, i quali sono totalmente illuminati dal flash. Tutti guardano verso la fotografa e, quindi, si rivolgono direttamente a noi. Sembrano affermare con i loro occhi, con i loro corpi, con le loro mani attaccate al filo spinato, il male subito e miracolosamente scampato. La morte sembra un miraggio lontano. Ciò che stupisce, a differenza delle tante immagini che mostrano i cadaveri e lo strazio, è la forza della sopravvivenza di questi uomini finalmente liberi dall’inferno nazista. La vita è ritrovata dopo tanta sofferenza.

[Lee Miller, note biografiche]

Lee Miller nasce il 23 aprile 1907 a Poughkeepsie, New York, USA. Fotografa, artista surrealista e modella, sarebbe stata ricordata principalmente come la musa e l'amante di Man Ray se suo figlio non ne avesse scoperto e promosso l’eccezionale lavoro dietro l’obiettivo, recuperando la sua reputazione di artista a pieno titolo.

Il primo incontro di Miller con la fotografia è avvenuto tramite suo padre, Theodore. Lui, un fotografo dilettante, possedeva una Kodak Brownie e una camera oscura dove le insegnò le basi del mestiere. In generale, Miller ha avuto un'infanzia privilegiata e felice. Tuttavia, all'età di sette anni è stata violentata da un amico di famiglia, che le trasmise la gonorrea, una malattia che al tempo era trattata con procedure invasive. Come se non bastasse, suo padre ha iniziato a fotografarla – continuando a farlo fino ai vent'anni - in pose inquietanti e inappropriate, praticamente nuda. Nonostante questi accadimenti, Miller crebbe brillante e indipendente, qualità che le hanno aperto molte opportunità per tutta la vita, aiutata anche da una bellezza straordinaria.

In gioventù, Miller ha lottato per trovare la giusta direzione nei suoi studi. E’ passata dal teatro alla danza, ma nel 1926, all'età di 19 anni, lasciava definitivamente casa, iniziando a fare la modella mentre studiava disegno e pittura. A New York incontrava il magnate dell'editoria di riviste Condé Nast, che impressionato dalla sua bellezza, l'accolse come modella per Vogue. Miller è stata fotografata dai famosi fotografi di moda Arnold Genthe, Nickolas Muray e Edward Steichen. Tutto questo non le bastava.

Nel 1929 Miller andò a Parigi e lavorò con il noto artista e fotografo surrealista Man Ray, riuscendo a fondare il proprio studio. Divenne famosa come ritrattista e fotografa di moda, ma il suo lavoro più duraturo fu quello delle immagini surrealiste. Tornò a New York nel 1932, e di nuovo aprì un suo studio, che in 2 anni riscontrò un grande successo. Lo chiuse dopo il matrimonio con Aziz Eloui Bey, ricco uomo d’affari, col quale andò a vivere al Cairo, in Egitto. Durante una visita a Parigi nel 1937 incontrò Roland Penrose, l'artista surrealista che sarebbe diventato il suo secondo marito, e viaggiò con lui in Grecia e Romania. Nel 1939 lasciò l'Egitto per Londra poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Si trasferì da Roland Penrose e, disobbedendo agli ordini dell'ambasciata degli Stati Uniti che le imponevano di tornare in America, accettò un lavoro come fotografa freelance su Vogue.

Nel 1944 divenne corrispondente accreditata presso l'esercito degli Stati Uniti e collaborò con il fotografo di Time Life David E. Scherman. È stata probabilmente l'unica fotoreporter donna a documentare la guerra in prima linea nel continente europeo, assistendo all'assedio di St Malo, alla liberazione di Parigi, ai combattimenti in Lussemburgo e in Alsazia, alla liberazione di Buchenwald e Dachau. Si stabilì in entrambe le case di Hitler a Monaco e fotografò la sua dimora a Berchtesgaden, alla vigilia della resa della Germania. Penetrando in profondità nell'Europa orientale, ha documentato la vita contadina nell'Ungheria del dopoguerra e l'esecuzione del primo ministro Lazlo Bardossy.

Dopo la guerra ha continuato a collaborare con Vogue per altri 2 anni, occupandosi di moda e celebrità. Nel 1947 sposò Roland Penrose e contribuì alle sue biografie di Picasso, Miró, Man Ray.

Lee Miller morì a Chiddingly (Regno Unito) nel 1977.

[Margaret Bourke White, note biografiche]

Margaret Bourke-White nasce il 14 giugno 1904 a New York. Intraprende gli studi di biologia ma si laurea in arti visive, dedicandosi successivamente alla carriera di fotogiornalista. Nel 1929, si specializza nella fotografia industriale, iniziando anche a documentare le lotte sindacali, simpatizzando per la sinistra e il femminismo.

Nel 1930 ottiene un visto per l’Unione Sovietica, quando ancora nessun fotografo era riuscito ad averlo: Margaret Bourke-White è la prima fotografa ad aver la possibilità di documentare i cambiamenti in seguito alla rivoluzione bolscevica.

Margaret Bourke White sarà l’autrice della prima copertina di LIFE, il 23 Novembre 1936. Diventerà inoltre la prima fotografa a unirsi alle forze aeree statunitensi. Avrà la possibilità di documentare le atrocità della guerra e, a conflitto finito, la disumanità dei campi di sterminio nazisti.

Nel 1946 parte alla volta dell’India, che si stava in quegli anni muovendo per l’indipendenza. Riesce ad avere il permesso per un’intervista a Gandhi, che però aveva fatto voto di silenzio. Ottiene perciò il diritto a tre scatti che faranno poi il giro del mondo.

Nel 1929 Bourke-White divenne la prima fotografa impiegata dalla rivista Fortune. Alla Bourke-White dobbiamo anche la fotografia Corporate: cioè il reportage industriale realizzato su commissione.

(Fonte: Margaret Bourke-White “Il mio ritratto”. Editore: Contrasto, 2003).

[Le fotografie]

Lee Miller, Prigionieri del Campo. 1945.

Margaret Bourke-White, Buchenwald, 1945.

La fotografia di Margaret Bourke White era esposta alla mostra “Prima, donna, Margaret Bourke-White fotografa” tenutasi a Milano presso il Palazzo Reale dal 25 settembre 2020 al 14 febbraio 2021. L’immagine è stata pubblicata nel libro pubblicato da Contrasto.

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