[MICHAEL “AIR” JORDAN]
Volava, Jordan, sospinto dal suo vento. Esitava, lassù, quando gli altri iniziavano a scendere, salvo poi decidere di “stracciare” la retina con uno schiaccione d’antologia. La sua carriera è costellata di canestri decisivi, segnati al momento giusto, quanto cioè conta per inchiodare la bara degli avversari. Jordan è un esempio di sport e di vita, sintesi pura della pallacanestro; il compagno che tutti avrebbero voluto di fianco, perché lui leggeva il momento e sapeva quando decidere sul da farsi.
Michael “Air” Jordan, nasce il 17 febbraio 1963 a New York, nel quartiere di Brooklin. La famiglia è di umili origini: il padre lavora come meccanico alla centrale elettrica mentre la madre ha un modesto impiego in banca.
Michael da ragazzo è timido, chiuso. Lo sport serve a finalizzare le sue energie. Da studente si dimostra un atleta eccezionale: nel basket, nel football, persino nel baseball (come lanciatore). Conquista in breve la fama di "dunker" (schiacciatore) e diventa subito famoso in tutto lo stato tra i migliori giocatori del campionato scolastico.
Alla North Carolina University, al suo primo anno (1981), vince il titolo NCAA segnando in finale il tiro decisivo. Abbandona presto l'università, partecipa alle Olimpiadi di Los Angeles, vince l'oro e approda all'NBA come terza scelta dei Chicago Bulls. Al termine della prima stagione viene eletto "Rookie of the year" (matricola dell'anno).
Nel 1986, dopo un lungo infortunio, durante i playoff segna 63 punti contro i Boston Celtics di Larry Bird, la sua miglior prestazione di sempre.
Alla terza stagione in NBA, vince per la prima volta la classifica marcatori con 37.1 punti a partita, una media da fantascienza nel basket. Michael fa comunque dell’altro: in stagione recupera 200 palle e assesta 100 stoppate. Nel 1987 e l’anno successivo vincerà la gara delle schiacciate all’All Star Game. Alle olimpiadi di Barcellona 1992, insieme a Larry Bird e Magic Johnson, Mike è una delle stelle del favoloso "Dream Team": vince il suo secondo oro olimpico.
Arriviamo al 1993: Michael Jordan annuncia a sorpresa il suo ritiro. Lui parla di un calo delle motivazioni, ma forse a condizionarlo è anche la morte del padre, ucciso in autostrada a colpi di pistola durante una rapina.
Nel 1994 tenta la via del baseball, un sogno che coltivava da ragazzo; ma anche in seconda divisione non riesce a primeggiare. Dopo 17 mesi lontano dai parquet, ecco il rientro nel mondo della pallacanestro. Alla stampa, durante una conferenza, farà capire le sue intenzioni: “I’m back”, sono tornato.
Arriviamo alle annate1996-97 e 1997-98, due stagioni che resteranno vivide nella mente negli appassionati di tutto il mondo. In finale NBA, per due anni, s’incontrano i Chicago Bulls e gli Utah Jazz. Da un lato vi erano Scottie Pippen e Michael Jordan, dall’altro Karl Malone (soprannominato “Il postino”, per la facilità con la quale faceva canestro) e John Stockton (detto “il geometra” per le sue qualità di play maker). In ambedue le circostanze, furono i Bulls di Jordan ad avere la meglio, con alcune tra le partite più belle nella storia delle finals. Malone ebbe sul groppone le sconfitte più brucianti. In gara-1 nel ’97, giocata di domenica, col punteggio in parità sbagliò i due tiri liberi del sorpasso a pochi secondi dal termine, con Scottie Pippen a pronunciare la famosa frase “I Postini non consegnano di domenica”. In entrambe le finali Jordan mise a segno i canestri più importanti.
Il ritiro definitivo di Michael arriva nel 2003.
Il regista Spike Lee disse di lui: "La sera prima di gara 5 della finale, Michael Jordan mangiò una pizza e si beccò una intossicazione alimentare”. “Volle scendere ugualmente in campo e segnò 40 punti; è questo il doping del campione vero, la voglia di giocare".
[Le fotografie]
Neil Leifer. Ritratto di Michael Jordan con la maglia del Team USA. San Diego, California 23 giugno 1992.
Richard Avedon. Michael Jordan, New York 22 agosto 1988.
[Il fotografo, Neil Leifer]
Neil Leifer nasce il 28 dicembre 1942 a New York. La sua carriera fotografica copre almeno 50 anni. A partire dal 1960, le sue foto sono apparse regolarmente su tutte le principali riviste nazionali, tra cui Saturday Evening Post, Look, LIFE, Newsweek, Time e, più spesso, Sports Illustrated.
Leifer è stato un fotografo dello staff di Sports Illustrated prima d’entrare, nel 1978, nella rivista Time. Nel 1988 è stato nominato fotografo collaboratore della rivista LIFE e ha trascorso i successivi due anni dividendo il suo tempo tra Time e LIFE. Fino al 1990 le sue fotografie erano apparse su oltre 200 copertine di Sports Illustrated, Time, e People. Neil Leifer ha ricevuto nel 2006 il prestigioso Lucie Award per il successo nella fotografia sportiva.
Leifer ha viaggiato in tutto il mondo per incarichi sportivi. Ha fotografato 16 giochi olimpici (7 in inverno e 9 in estate), 4 Coppe del Mondo FIFA, 15 Kentucky Derbies, innumerevoli partite delle World Series, i primi 12 Super Bowls e ogni importante incontro per i titoli dei pesi massimi. Ha fotografato Muhammad Ali in quasi 60 diverse occasioni, documentando i suoi più grandi combattimenti.
[Il fotografo, Richard Avedon]
Richard Avedon (1923-2004) è nato e ha vissuto a New York City. Il suo interesse per la fotografia è iniziato in tenera età e si è unito al club fotografico della Young Men's Hebrew Association (YMHA) quando aveva dodici anni. Ha frequentato la DeWitt Clinton High School nel Bronx, dove ha co-curato la rivista letteraria della scuola, The Magpie, con James Baldwin. È stato nominato Poeta Laureato delle scuole superiori di New York nel 1941.
Avedon si è unito alle forze armate nel 1942 durante la seconda guerra mondiale, come fotografo nella marina mercantile degli Stati Uniti. Come ha descritto, “Il mio lavoro era scattare fotografie d’identità”. “Credo di aver fotografato centomila volti prima che mi venisse in mente che stavo diventando un fotografo".
Dopo due anni di servizio, ha lasciato la marina mercantile per lavorare come fotografo professionista, inizialmente creando immagini di moda e studiando con l'art director Alexey Brodovitch presso il Design Laboratory della New School for Social Research. All'età di ventidue anni, Avedon ha iniziato a lavorare come fotografo freelance, principalmente per Harper's Bazaar. Ha fotografato modelli e moda per le strade, nei locali notturni, al circo, sulla spiaggia e in altri luoghi non comuni, impiegando intraprendenza e inventiva che sono diventati i caratteri distintivi della sua arte. Sotto la guida di Brodovitch, è diventato rapidamente il fotografo principale di Harper's Bazaar.
Dall'inizio della sua carriera, Avedon ha realizzato ritratti per la pubblicazione sulle riviste Theatre Arts, Life, Look e Harper's Bazaar. Era affascinato dalla capacità della fotografia di suggerire la personalità ed evocare la vita dei suoi soggetti. Ha catturato pose, atteggiamenti, acconciature, vestiti e accessori come elementi vitali e rivelatori di un'immagine. Aveva piena fiducia nella natura bidimensionale della fotografia, le cui regole si piegavano ai suoi scopi stilistici e narrativi. Come ha detto ironicamente, "Le mie fotografie non vanno sotto la superficie”. “Ho grande fiducia nelle superfici, una buona è piena di indizi”.
Dopo aver curato il numero di aprile 1965 di Harper's Bazaar, Avedon lasciò la rivista ed è entrato a far parte di Vogue, dove ha lavorato per più di vent'anni. Nel 1992, Avedon è diventato il primo fotografo dello staff del The New Yorker, dove i suoi ritratti hanno contribuito a ridefinire l'estetica della rivista. Durante questo periodo, le sue fotografie di moda sono apparse quasi esclusivamente sulla rivista francese Égoïste.
In tutto, Avedon ha gestito uno studio commerciale di successo. E’ stato ampiamente accreditato di aver cancellato il confine tra la fotografia "artistica" e "commerciale". Il suo lavoro di definizione del marchio e le lunghe associazioni con Calvin Klein, Revlon, Versace e dozzine di altre aziende hanno portato ad alcune delle campagne pubblicitarie più famose della storia americana. Queste campagne hanno dato ad Avedon la libertà di perseguire grandi progetti in cui ha esplorato le sue passioni culturali, politiche e personali. È noto per la sua estesa ritrattistica del movimento americano per i diritti civili, la guerra del Vietnam e un celebre ciclo di fotografie di suo padre, Jacob Israel Avedon. Nel 1976, per la rivista Rolling Stone, ha prodotto "The Family", un ritratto collettivo dell'élite di potere americana al momento delle elezioni del bicentenario del paese. Dal 1979 al 1985 ha lavorato a lungo su commissione dell'Amon Carter Museum of American Art, producendo il libro In the American West.
Dopo aver subito un'emorragia cerebrale mentre era in missione per The New Yorker, Richard Avedon è morto a San Antonio, in Texas, il 1° ottobre 2004.
(Fonte Avedon Foundation)
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