[LA REGINA DEL NEOREALISMO]
La grande Anna Magnani è l’antidiva per definizione, ma anche una figura centrale del neorealismo italiano. Nessuna come lei è riuscita a interpretare la popolana sboccata con genuinità, senza cioè costruire quella figura caricaturale tanto cara alla commedia all’italiana.
Con lei vive l’Italia dei poveri, quella che soffre; e che quindi lascia emergere comportamenti sensibili e generosi. I suoi personaggi trasudavano passione, tra rabbia e affetto; con quel tormento tipico di chi la vita la deve grattare con le unghie.
Nata a Roma il 7 marzo 1908, Anna Magnani assorbe dalla capitale passionalità e forza d'animo. Cresciuta con la nonna materna, in condizioni economiche disagevoli, studia all'Accademia d'Arte Drammatica, mentre inizia a esibirsi nei locali romani.
Nel 1934 passa alla rivista e diventa subito famosa e richiesta nell’avanspettacolo. Lavora con Vittorio De Sica e con Totò. Arriva al cinema col film "Teresa Venerdì" (1941), di Vittorio De Sica, seguito da alcune commedie leggere ("Campo de' Fiori", 1943; "L'ultima carrozzella", 1944; "Quartetto pazzo", 1945). Sempre nel 1945 arriva la sua consacrazione con "Roma città aperta" (1945) di Roberto Rossellini, con il quale vivrà un’intensa relazione amorosa. La pellicola ha una forte impronta neorealista. La scena nella quale Pina (Anna Magnami) insegue il camion sul quale viene deportato il suo uomo rimane un’icona nella storia del cinema.
Il suo è un trionfo neorealistico, dove dell’attrice emerge la figura della popolana sfacciata, volitiva, sempre sicura di sé; caratteri, quest’ultimi, che si manifesteranno anche in "L'onorevole Angelina" (1947) di Luigi Zampa, nel quale interpreta una donna di borgata "chiamata" a far politica, per difendere gli interessi della povera gente come lei.
Nel 1951 Anna interpreta un altro grande ruolo: nell'amaro "Bellissima" (1951), di Luchino Visconti. Nel film c’è la delusione di una madre di fronte ai sogni infranti per un’impossibile carriera cinematografica della figlia.
Il 21 Marzo 1956, Anna Magnani riceve l'Oscar come migliore attrice per il film “La rosa tatuata”, per la regia di Daniel Mann. E’ la prima interprete italiana a vincere la prestigiosa statuetta.
Gli anni '60 non offrono all’attrice grandi opportunità. Anche “Mamma Roma”, di Pier Paolo Pasolini, risulterà una pellicola poco riuscita. Il teatro diventa allora un’ancora di salvezza e Anna interpreta "La lupa" di Verga, diretta da Franco Zeffirelli, e "Medea" di Anhouil, diretta da Giancarlo Menotti.
Per Anna Magnani arriva anche la televisione, con tre film. “La sciantosa” è uno di questi, recitato al fianco di Massimo Ranieri. La trama si svolge durante la prima guerra mondiale. Indimenticabile è la scena durante la quale l’attrice canta 'O surdato 'nnammurato di fronte a una platea di feriti. Gli occhi di Anna parlano da soli.
La sua ultima, breve, apparizione sui grandi schermi è stata nel film "Roma" (1972) di Federico Fellini, nella parte di se stessa.
La grande Anna Magnani muore a Roma il 26 settembre 1973, all'età di sessantacinque anni, tra le braccia dell'adorato figlio Luca.
[Le fotografie]
Anna Magnani. Paolo Di Paolo, Circeo (Roma) 1955.
Anna Magnani. Richard Avedon, NY 17 aprile 1953.
[Il fotografo, Paolo Di Paolo]
Paolo Di Paolo nasce a Larino, in Molise, il 17 maggio 1925. Dal 1939 è a Roma, dove studia filosofia. Nel dopoguerra frequenterà la Capitale “colta”, tra personaggi del calibro di Giovanni Omiccioli e Mimmo Rotella. La fotografia inizia a entrare nei suoi interessi, per diletto (come dice lui). Intanto si avvicina al mondo dell’editoria e approderà, felicemente, al Mondo, un settimanale creato e diretto da Mario Pannunzio, ben abitato da firme quali Moravia, Sciascia, Scalfari. I più giovani penseranno al successivo periodico di economia, che però era un’altra cosa. Il periodico di Pannunzio si distingueva anche per via delle fotografie, stampate in grande formato e disgiunte dai testi; in pratica, non illustravano la notizia, ma vivevano di un loro valore narrativo. Quando il periodico chiuse (siamo nel 1966), per Di Paolo fu un brutto colpo e scrisse queste parole al suo ex direttore: “Per me e per altri amici muore oggi l’ambizione di essere fotografi”. D quel momento si dedicò ad altro.
Il lavoro del fotografo molisano cadde così nel dimenticatoio, riapparendo solo di recente: questo per merito della figlia, che scoprirà in cantina il suo archivio di 250 mila fotografie, molte delle quali sono state esposte in una mostra al MAXXI di Roma, dal titolo “Mondo Perduto”. Per noi che siamo appassionati di fotografia, e di opere editoriali (riviste, libri), le vicende di Paolo Di Paolo hanno il sapore del ritrovamento. Ne abbiamo parlato anche su Image Mag, parlando de “La Lunga Strada di Sabbia”. Sì perché il fotografo molisano, nell’estate 1959, parte con lo scrittore Pier Paolo Pasolini per un lungo viaggio lungo le coste italiane, da Ventimiglia a Trieste. Per il futuro regista, sarà l’occasione per incontrare amici e intellettuali, ma anche per conoscere un’Italia non ancora in pieno boom economico, che quindi non riesce a fare breccia sul suo sogno ricco d’innocenza.
Di Paolo porterà a casa molte fotografie, affascinati perché vicine agli italiani del tempo e al popolo della costa. Le immagini furono pubblicate a puntate sulla rivista “Il Successo”.
Il fotografo ebbe modi di dire: “Pasolini cercava un mondo perduto, di fantasmi letterari, un’Italia che non c’era più; io cercavo un’Italia che guardava al futuro”. “Io avevo ideato il titolo del lavoro; la lunga strada di sabbia voleva indicare la strada faticosa percorsa dagli italiani per raggiungere il benessere e le vacanze”.
Parte delle fotografie dell’estate ‘59 (centouno) sono state esposte in una mostra presso la Fondazione Sozzani a Milano.
[Il fotografo, Richard Avedon]
Richard Avedon (1923-2004) è nato e ha vissuto a New York City. Il suo interesse per la fotografia è iniziato in tenera età e si è unito al club fotografico della Young Men's Hebrew Association (YMHA) quando aveva dodici anni. Ha frequentato la DeWitt Clinton High School nel Bronx, dove ha co-curato la rivista letteraria della scuola, The Magpie, con James Baldwin. È stato nominato Poeta Laureato delle scuole superiori di New York nel 1941.
Avedon si è unito alle forze armate nel 1942 durante la seconda guerra mondiale, come fotografo nella marina mercantile degli Stati Uniti. Come ha descritto, “Il mio lavoro era scattare fotografie d’identità”. “Credo di aver fotografato centomila volti prima che mi venisse in mente che stavo diventando un fotografo".
Dopo due anni di servizio, ha lasciato la marina mercantile per lavorare come fotografo professionista, inizialmente creando immagini di moda e studiando con l'art director Alexey Brodovitch presso il Design Laboratory della New School for Social Research. All'età di ventidue anni, Avedon ha iniziato a lavorare come fotografo freelance, principalmente per Harper's Bazaar. Ha fotografato modelli e moda per le strade, nei locali notturni, al circo, sulla spiaggia e in altri luoghi non comuni, impiegando intraprendenza e inventiva che sono diventati i caratteri distintivi della sua arte. Sotto la guida di Brodovitch, è diventato rapidamente il fotografo principale di Harper's Bazaar.
Dall'inizio della sua carriera, Avedon ha realizzato ritratti per la pubblicazione sulle riviste Theatre Arts, Life, Look e Harper's Bazaar. Era affascinato dalla capacità della fotografia di suggerire la personalità ed evocare la vita dei suoi soggetti. Ha catturato pose, atteggiamenti, acconciature, vestiti e accessori come elementi vitali e rivelatori di un'immagine. Aveva piena fiducia nella natura bidimensionale della fotografia, le cui regole si piegavano ai suoi scopi stilistici e narrativi. Come ha detto ironicamente, "Le mie fotografie non vanno sotto la superficie”. “Ho grande fiducia nelle superfici, una buona è piena di indizi”.
Dopo aver curato il numero di aprile 1965 di Harper's Bazaar, Avedon lasciò la rivista ed è entrato a far parte di Vogue, dove ha lavorato per più di vent'anni. Nel 1992, Avedon è diventato il primo fotografo dello staff del The New Yorker, dove i suoi ritratti hanno contribuito a ridefinire l'estetica della rivista. Durante questo periodo, le sue fotografie di moda sono apparse quasi esclusivamente sulla rivista francese Égoïste.
In tutto, Avedon ha gestito uno studio commerciale di successo. E’ stato ampiamente accreditato di aver cancellato il confine tra la fotografia "artistica" e "commerciale". Il suo lavoro di definizione del marchio e le lunghe associazioni con Calvin Klein, Revlon, Versace e dozzine di altre aziende hanno portato ad alcune delle campagne pubblicitarie più famose della storia americana. Queste campagne hanno dato ad Avedon la libertà di perseguire grandi progetti in cui ha esplorato le sue passioni culturali, politiche e personali. È noto per la sua estesa ritrattistica del movimento americano per i diritti civili, la guerra del Vietnam e un celebre ciclo di fotografie di suo padre, Jacob Israel Avedon. Nel 1976, per la rivista Rolling Stone, ha prodotto "The Family", un ritratto collettivo dell'élite di potere americana al momento delle elezioni del bicentenario del paese. Dal 1979 al 1985 ha lavorato a lungo su commissione dell'Amon Carter Museum of American Art, producendo il libro In the American West.
Dopo aver subito un'emorragia cerebrale mentre era in missione per The New Yorker, Richard Avedon è morto a San Antonio, in Texas, il 1° ottobre 2004.
(Fonte Avedon Foundation)
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