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[NASCE LA ROLLS-ROYCE LIMITED]

Il 15 marzo 1906 nasce la Rolls Royce Ltd. Stiamo parlando della famosa marca di automobili, caratterizzata dal lusso e dalla regalità. Non crediamo possa rappresentare un sogno per chi guida, certo è che una Rolls contraddistingue un ambiente, uno status, una particolare occasione. Non è un caso che sia apparsa in tanti film e che anche molti fotografi ne abbiano fatto uso per i loro racconti.

[Un po’ di storia]

Il 15 marzo 1906, la Rolls-Royce Ltd. venne ufficialmente registrata, con a capo Charles S. Rolls e F. Henry Royce. Nel 1904, Henry Royce, il fondatore della sua omonima azienda di ingegneria elettrica e meccanica, aveva costruito la sua prima automobile. Nel maggio di quell'anno conobbe Charles Rolls, la cui compagnia vendeva automobili a Londra. I due uomini convennero che Royce Limited avrebbe prodotto una linea di auto che sarebbe stata venduta esclusivamente da CS Rolls & Co.

Le auto portavano il nome Rolls-Royce. Il successo ottenuto con la loro partnership ha portato alla formazione della Rolls-Royce Company. Nel 1906, subito dopo l'organizzazione dell'azienda, nacque la Silver Ghost a sei cilindri, da 40/50 cavalli. L'auto venne annunciata con entusiasmo dalla stampa britannica come "la migliore macchina del mondo". Con l’inizio della prima guerra mondiale nel 1914, Rolls-Royce si è concentrata sulla produzione dei motori per aeroplani. I progetti di Henry Royce sono famosi per aver fornito metà dei propulsori utilizzati nella guerra aerea degli Alleati contro la Germania e la seconda guerra mondiale ha trasformato Rolls-Royce in una delle principali forze dell'ingegneria aerospaziale. Nel 1931, Rolls-Royce ha assorbito Bentley e, da allora, ha prodotto tutte le auto che portano quel nome. Insieme Rolls-Royce e Bentley sono sinonimo di auto lussuose fatte a mano.

[“Una Rolls-Royce gialla”, il film]

Il film racconta la storia di una Rolls-Royce gialla. Acquistata dal marchese di Frinton come dono per la moglie Eloise, l'automobile ospiterà l’incontro tra la donna e il suo giovane amante. Il marchese si disferà dell’auto che, dopo qualche anno, ritroviamo in Italia. Essa appartiene a un gangster italoamericano il quale viaggia con un’amica che intende sposare. Quando il malavitoso torna forzatamente in America, la giovane donna vive una storia amorosa con un giovane fotografo, che però dovrà interrompere per proteggere l’innamorato dalla vendetta del gangster. Durante la guerra l'automobile è acquistata a Trieste da una ricca americana che vuole recarsi in Jugoslavia, al tempo dell'invasione tedesca. La signora riesce a concludere il suo viaggio, durante il quale conosce e aiuta un partigiano jugoslavo di cui s'è innamorata. La Rolls-Royce finirà in America, come ricordo di tante avventure.

Il cast è d’eccezione: Omar Sharif, George C. Scott, Jeanne Moreau, Isa Miranda, Shirley MacLaine, Alain Delon, Ingrid Bergman.

[Le fotografie]

Henri Cartier Bresson. Rolls-Royce, 1940

Francesco Cito, da Neapolitan Wedding.

Una Rolls-Royce non poteva mancare nei “Matrimoni Napoletani” di Francesco Cito. L’auto diventa un elemento della teatralità nella quale si muove il giorno della cerimonia. Il lavoro è valso al fotografo il WPP del 1995, che mostra tutta la sua capacità narrativa, tra soggetti e contesto. Non sono gli sposi al centro del racconto, ma l’evento in sé: la storia di un giorno, di una fiaba che non potrà più ripetersi.

Ecco le parole di Francesco Cito (fonte sito dell’autore). A Napoli non ci si sposa la domenica, per direttive della curia: non ci sarebbe tempo per le liturgie delle funzioni religiose. Approfitterebbero tutti della vacanza per la celebrazione del loro matrimonio, m’informa l'autista. Scopro così che nella città di "Matrimonio all'Italiana", tratto dal celebre dramma di Eduardo De Filippo "Filumena Marturano", ci si sposa tutti i giorni della settimana, per categorie di lavoro. Il lunedì i barbieri ei parrucchieri, essendo il loro giorno di serrata, il mercoledì i macellai, poi i generi alimentari a riposo, il sabato gli impiegati e la classe operaia. Nei giorni festivi, tutte le categorie. Tutti i giorni della settimana, coloro che non hanno un’attività dichiarata.

[Il fotografo, Henri Cartier-Bresson]

Henri Cartier Bresson nasce a Chanteloup-en-Brie il 22 agosto 1908. E’ uno dei fotografi più importanti del ‘900, avendone intuito lo spirito. Per questo motivo è passato alla storia come “L’Occhio del Secolo”.

Con i suoi scatti è riuscito a cogliere la vera essenza della vita, mentre la sua esistenza è stata tutta dedicata a trasformare la fotografia in un mezzo di comunicazione moderno, influenzando intere generazioni di fotografi.

Ha documentato la Guerra Civile Spagnola, quella Cinese, l’Occupazione Nazista in Francia, la costruzione del muro di Berlino, i funerali di Gandhi. Fu l’unico fotografo occidentale al quale venne permesso di fotografare in Unione Sovietica ai tempi della Guerra Fredda. Durante la II^ Guerra Mondiale, si arruolò nell’Esercito Francese. Fu fatto prigioniero per trentacinque mesi, riuscendo poi a fuggire al terzo tentativo. Si aggrega poi nelle file della Resistenza francese, documentando la liberazione di Parigi nel 1944.

Le fotografie di Henri Cartier Bresson e la sua vita sono strettamente legate. Non si possono osservare le sue opere, perché di capolavori si tratta, se non si conoscono alcuni eventi fondamentali della sua esistenza.

I due momenti più importanti accadono nel 1946, quando Henri Cartier Bresson viene a sapere che il MoMA di New York, credendolo morto in guerra, intende dedicargli una mostra “postuma” e quando si mette in contatto con i curatori, per chiarire la situazione, nasce una collaborazione che lo impegnerà per oltre un anno alla preparazione dell’esposizione, inaugurata nel 1947. Cartier-Bresson sceglie le fotografie che vorrebbe esporre. Seleziona e stampa circa 300 immagini, molte delle quali mai pubblicate prima e nel 1946 parte per New York con le stampe in una valigia. Al suo arrivo compra un grosso album, uno Scrap Book, appunto, dove incolla tutte le stampe prima di presentarle al MoMA. La mostra viene inaugurata il 4 febbraio 1947.

Nello stesso anno, inoltre, nella caffetteria del MoMA, fonda la famosa agenzia Magnum Photos, insieme a Robert Capa, George Rodger, David (Chim) Seymour e William Vandivert.

Bresson incontra la fotografia nel 1931, quando sfogliando una rivista vide una foto di Martin Munkacsi e ne rimase affascinato. L’anno dopo acquista la sua prima macchina fotografica Leica e inizia a viaggiare per l’Europa scattando fotografie.

Le sue immagini iniziano a comparire sulle riviste e vengono anche esposte, ma la sua creatività incontra anche il mondo del cinema e nel 1936 lavora come assistente alla regia di Jean Renoir (assieme a Luchino Visconti) per i film “La scampagnata” e ” La vita è nostra”. Inoltre, diventa lui stesso regista per due documentari sugli ospedali nella Spagna repubblicana e sulla vita dei soldati americani durante la guerra civile spagnola.

Quando inizia a scattare, quindi, Henri Cartier-Bresson ha appena 24 anni ed è ancora alla ricerca del suo futuro professionale. È incerto e tentato da molte strade: dalla pittura, dal cinema. ”Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla” affermava.

Non capire nulla di fotografia significa, tra l’altro, non sviluppare personalmente i propri scatti: è un lavoro che lascia agli specialisti del settore. Non vuole apportare alcun miglioramento al negativo, non vuole rivedere le inquadrature, perché lo scatto deve essere giudicato secondo quanto fatto nel “qui” e “ora”, nella risposta immediata del soggetto.

Cogliere il momento perfetto è tutto nelle foto di Bresson, che ha descritto lo stile dell’immediatezza nel suo libro Images à la Sauvette, pubblicato nel 1952. Henri Cartier Bresson non metteva in posa i protagonisti dei suoi ritratti ma li fotografava nei momenti più inaspettati per cogliere la loro naturalezza.

Images à la Sauvette si traduce approssimativamente come "immagini in fuga" o "immagini rubate". Il titolo inglese del libro, The Decisive Moment, fu scelto dall'editore. Nella sua prefazione al libro di 126 fotografie di tutto il mondo, Cartier-Bresson cita il Cardinale de Retz del XVII secolo che disse: - "Non c'è niente in questo mondo che non abbia un momento decisivo”.

(Da Image Mag n° 6 2018)

[Il fotografo, Francesco Cito]

Francesco Cito sognava l’avventura, sin da ragazzo. Lo faceva davanti a Epoca di Bonatti, ma forse anche guardando fuori dalla finestra. E allora probabilmente già sapeva che sarebbe partito: senza una scusa, tralasciando promesse, dimenticando rivalse o desideri sommersi. Francesco era già un reporter anche senza quella fotocamera che più tardi sarebbe diventata un mezzo per comprendere. Trovarlo, negli anni ’70, in Inghilterra non ci sorprende. Londra lo educa senza cambiarlo; gli offre la fotografia, le tendenze, una lingua, qualche promessa luccicante, una risposta alla solitudine. Per lui non vale, non serve, non basta: meglio tornare a Milano, in Italia, se non altro per viaggiare di continuo, dando spazio al passo e alle idee. Poi si parte ancora: Afghanistan, Palestina e anche Libano, Pakistan, Iran, Kuwait, Arabia saudita. sono luoghi difficili, tutti da camminare prendendoli col pensiero, con la voglia di tornare.

Dove sta andando Francesco oggi? Ci piacerebbe rispondere che quel ragazzo sogna ancora l’avventura, ma là fuori la vita è diversa e il nostro l’ha capito. Preferiamo pensare che rimanga dove è sempre stato: al di sopra delle false tendenze, delle mode, delle scorciatoie intellettuali. Lui voleva raccontare anche quando leggeva Epoca, perché si trovava al di sopra o di lato, certo non nella mischia chiassosa di un’opinione che cresceva un tanto al chilo.

Tutto ciò è già tanto, molto; e forse questa è la ragione per la quale non si dice mai come la sua fotografia sia anche poetica, ecclettica, formalmente ricca, poliglotta per linguaggio e tematiche.

Lasciamo Francesco dove è sempre voluto stare. rendiamoci conto che lui è il migliore fotogiornalista italiano, perché ha l’istinto del fatto, la passione del racconto, la capacità di far passare attraverso le immagini, con forza di sintesi e rigore visivo, l’essenziale delle cose. Non siamo noi a pronunciare queste parole, ma Ferdinando Scianna. Per quel che ci riguarda, siamo certi che se partirà ancora, lo farà per noi: per tutti; e racconterà come vocazione, con lo spirito di chi non ha mai desiderato altro.

[Francesco Cito, piccole note biografiche]

Francesco Cito, è nato a Napoli il 5 maggio 1949. Si trasferisce a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia. Sarà l’inizio di una lunga carriera. Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l'Afghanistan occupato con l'invasione dell'Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue sono le immagini dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.

Seguiranno Cisgiordania, Arabia Saudita, Palestina, ma anche reportage di casa nostra. Lo spirito sarà sempre quello: avventuriero, da un lato, narrativo dall’altro. Nella sua carriera ha vinto premi nei concorsi più prestigiosi, ed è stato pubblicato dalle testate più importanti.

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