[NUREYEV, LA RIVOLUZIONE NELLA DANZA]
Rudolf Nureyev aveva tutto per raggiungere il successo, forse qualcosa in più. Dal palco dedicava al pubblico: capacità tecniche, fisicità, bellezza, sex-appeal, recitazione. Era anche un personaggio perennemente sotto i riflettori. Un cittadino russo fuggito in occidente faceva discutere, tra l’altro in un periodo storico caratterizzato da forti tensioni. Rimane indiscussa la sua capacità interpretativa, dovuta anche alle novità introdotte nella danza dei ruoli maschili: atletismo in testa.
Rudolf Nureyev è il ballerino che ha rivoluzionato il ruolo maschile nella danza. Lui nasce il 17 marzo 1938 a bordo di un treno, durante un viaggio che la madre aveva intrapreso per raggiungere il marito a Vladivostock.
Rudolf incontra la danza a undici anni, quando prende lezioni da un’anziana insegnante. Nel 1955 entra a far parte della scuola di ballo del Teatro Kirov di Leningrado. Entra nella compagnia tre anni dopo.
Durante una tournée in Europa, chiede asilo politico alla Francia, per sfuggire all'oppressivo regime sovietico. Siamo nel 1961, il clima è quello della Guerra Fredda, durante la quale si fronteggiano Unione Sovietica e Stati Uniti d'America. Il caso Nureyev diventa internazionale, il che fa sì che il ballerino venga conosciuto da un pubblico vasto, anche al di fuori della danza.
La carriera di Rudolf si sviluppa in Occidente e passa per il Balletto Reale Danese di Erik Bruh, arrivando poi al Royal Ballet di Londra, dove instaura un celebre sodalizio con la ballerina britannica Margot Fonteyn, con la quale forma una coppia applauditissima in tutti i teatri del mondo.
Nureyev ha interpretato decine di ruoli, sia classici che moderni, sommando potenzialità tecniche e capacità di immedesimazione. Del resto, lui è anche un grande attore, capace di coinvolgere il pubblico, il che amplifica il suo successo. Tutti i più grandi coreografi hanno creato balletti per lui.
Malato da tempo di Aids, il grande ballerino Rudolf Nureyev si spegne presso un ospedale parigino il 6 gennaio 1993, dopo l'ultima relazione con il cantante rock Freddie Mercury.
[Le fotografie]
Richard Avedon. Rudolf Nureyev, 1962.
Gian Paolo Barbieri. Rudolf Nureyev, Milano 1969. Rudolf Nureyev era in Italia perché si esibiva alla Scala per la stagione dei balletti.
[Il fotografo, Richard Avedon]
Richard Avedon (1923-2004) è nato e ha vissuto a New York City. Il suo interesse per la fotografia è iniziato in tenera età e si è unito al club fotografico della Young Men's Hebrew Association (YMHA) quando aveva dodici anni. Ha frequentato la DeWitt Clinton High School nel Bronx, dove ha co-curato la rivista letteraria della scuola, The Magpie, con James Baldwin. È stato nominato Poeta Laureato delle scuole superiori di New York nel 1941.
Avedon si è unito alle forze armate nel 1942 durante la seconda guerra mondiale, come fotografo nella marina mercantile degli Stati Uniti. Come ha descritto, “Il mio lavoro era scattare fotografie d’identità”. “Credo di aver fotografato centomila volti prima che mi venisse in mente che stavo diventando un fotografo".
Dopo due anni di servizio, ha lasciato la marina mercantile per lavorare come fotografo professionista, inizialmente creando immagini di moda e studiando con l'art director Alexey Brodovitch presso il Design Laboratory della New School for Social Research. All'età di ventidue anni, Avedon ha iniziato a lavorare come fotografo freelance, principalmente per Harper's Bazaar. Ha fotografato modelli e moda per le strade, nei locali notturni, al circo, sulla spiaggia e in altri luoghi non comuni, impiegando intraprendenza e inventiva che sono diventati i caratteri distintivi della sua arte. Sotto la guida di Brodovitch, è diventato rapidamente il fotografo principale di Harper's Bazaar.
Dall'inizio della sua carriera, Avedon ha realizzato ritratti per la pubblicazione sulle riviste Theatre Arts, Life, Look e Harper's Bazaar. Era affascinato dalla capacità della fotografia di suggerire la personalità ed evocare la vita dei suoi soggetti. Ha catturato pose, atteggiamenti, acconciature, vestiti e accessori come elementi vitali e rivelatori di un'immagine. Aveva piena fiducia nella natura bidimensionale della fotografia, le cui regole si piegavano ai suoi scopi stilistici e narrativi. Come ha detto ironicamente, "Le mie fotografie non vanno sotto la superficie”. “Ho grande fiducia nelle superfici, una buona è piena di indizi”.
Dopo aver curato il numero di aprile 1965 di Harper's Bazaar, Avedon lasciò la rivista ed è entrato a far parte di Vogue, dove ha lavorato per più di vent'anni. Nel 1992, Avedon è diventato il primo fotografo dello staff del The New Yorker, dove i suoi ritratti hanno contribuito a ridefinire l'estetica della rivista. Durante questo periodo, le sue fotografie di moda sono apparse quasi esclusivamente sulla rivista francese Égoïste.
In tutto, Avedon ha gestito uno studio commerciale di successo. E’ stato ampiamente accreditato di aver cancellato il confine tra la fotografia "artistica" e "commerciale". Il suo lavoro di definizione del marchio e le lunghe associazioni con Calvin Klein, Revlon, Versace e dozzine di altre aziende hanno portato ad alcune delle campagne pubblicitarie più famose della storia americana. Queste campagne hanno dato ad Avedon la libertà di perseguire grandi progetti in cui ha esplorato le sue passioni culturali, politiche e personali. È noto per la sua estesa ritrattistica del movimento americano per i diritti civili, la guerra del Vietnam e un celebre ciclo di fotografie di suo padre, Jacob Israel Avedon. Nel 1976, per la rivista Rolling Stone, ha prodotto "The Family", un ritratto collettivo dell'élite di potere americana al momento delle elezioni del bicentenario del paese. Dal 1979 al 1985 ha lavorato a lungo su commissione dell'Amon Carter Museum of American Art, producendo il libro In the American West.
Dopo aver subito un'emorragia cerebrale mentre era in missione per The New Yorker, Richard Avedon è morto a San Antonio, in Texas, il 1° ottobre 2004.
(Fonte Avedon Foundation)
[Gian Paolo Barbieri, note biografiche]
Gian Paolo Barbieri nasce in via Mazzini, nel centro di Milano, da una famiglia di grossisti di tessuti dove, proprio nel grande magazzino del padre, acquisisce le prime competenze utili per la fotografia di moda.
Muove subito i primi passi nell’ambito teatrale diventando attore, operatore e costumista insieme al “Il Trio” , gruppo teatrale formato con due suoi amici, nel rifacimento di alcune parti di famosi film come La via del Tabacco, La Vita di Toulouse Lautrec e Viale del Tramonto. In seguito, gli viene affidata una piccola parte non parlata in ”Medea” di Luchino Visconti, con Sara Ferrati e Memo Benassi.
Il cinema noir americano costituisce una base importante per lui, cercando di capire come le attrici potessero risultare così belle illuminate da una luce tutta particolare che le rendeva ancora più affascinanti. Innumerevoli gli esperimenti con lampadine infilate nei tubi della stufa della cantina, da autodidatta, non avendo frequentato nessuna scuola di fotografia. Il cinema gli diede il senso del movimento e l’occasione di portare la moda italiana, nata su fondo bianco in pedana, in esterno, dandole un’anima diversa.
Con l’occasione di trasferirsi a Roma, e grazie alle prime fotografie scattate in puro clima “Dolce vita”, Barbieri accetta l’offerta di lavorare a Parigi poiché definito talentuoso nella fotografia di moda. Inizia così la sua carriera come assistente al fotografo di “Harper’s Bazar”, Tom Kublin, per un periodo breve ma intenso, in quanto Kublin mancò per un ictus solo 20 giorni dopo.
Nel 1964 torna a Milano aprendo il suo primo studio fotografico, dove comincia a lavorare nella moda scattando semplici campionari e pubblicando servizi fotografici su Novità, la rivista che in seguito, nel 1966, diventerà Vogue Italia.
Da quel momento inizia la sua collaborazione con Condè Nast, pubblicando anche su riviste internazionali come Vogue America, Vogue Paris e Vogue Germania.
Personaggi della scena come Diana Vreeland, Yves Saint Laurent e Richard Avedon, fanno parte della sua storia tanto importante quanto le collaborazioni con le attrici più iconiche di tutti i tempi da Audrey Hepburn a Veruschka e Jerry Hall.
Fondamentale tappa del suo percorso è l’esperienza con Vogue Italia insieme alla realizzazione delle più grandi campagne pubblicitarie per marchi internazionali come Valentino, Gianni Versace, Gianfranco Ferré, Armani, Bulgari, Chanel, Yves Saint Laurent, Dolce & Gabbana, Vivienne Westwood e tanti altri con il quale ha interpretato le famose creazioni degli anni ’80, in concomitanza con la conquista del Made in Italy e del prêt-à–porter italiano.
Gli anni Novanta portano Barbieri a compiere diversi viaggi alla scoperta della cultura senza limiti, uniti alla curiosità per paesi lontani e gruppi etnici, per la natura e per gli oggetti più disparati secondo le sue ispirazioni, dando vita poi, a meravigliosi libri fotografici in cui luoghi e realtà lontane vengono raccontati attraverso il suo impeccabile gusto.
Nonostante le foto siano in esterno e spesso immediate o fugaci, risultano talmente “perfette” da sembrare scattate in studio, unite alla spontaneità della popolazione e dei luoghi con un’eleganza ed uno stile che lo contraddistinguono sempre, riuscendo ad intrecciare la spontaneità della fotografia etnografica al glamour della fotografia di moda.
Classificato nel 1968 dalla rivista Stern come uno dei quattordici migliori fotografi di moda al mondo, oggi vince il premio Lucie Award 2018 come Miglior Fotografo di Moda Internazionale.
Barbieri continua tutt’oggi ad essere richiesto come fotografo e artista per campagne pubblicitarie e redazionali, oltre ad essere presente con le sue opere nel Victoria & Albert Museum e National Portrait Gallery di Londra, nel Kunsforum di Vienna, nel MAMM di Mosca e nel Musée du quai Branly di Parigi.
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