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[ISABELLA, LA SEDUZIONE SENZA ETA’]

La ricordiamo nei film vacanzieri “Sapore di Mare 1 e 2”. Lì Isabella Ferrari impersonava la ragazza da incontrare in spiaggia o nelle balere delle ferie che furono. La ritroviamo poi nella “Lingua del Santo”, dove l’attrice s’impegna in un piano sequenza lunghissimo, camminando di fianco al pretendente incapace di manifestarsi. In entrambe le pellicole emerge la sua vena seduttiva: spontanea, naturale, priva di forzature o luoghi comuni. Isabella è seducente forse senza volerlo essere, e per questo l’anagrafica non la punisce, pur non essendo più la ragazza da incontrarsi in Versilia.

Isabella Ferrari nasce il 31 marzo 1964 a Tont Dell'Oglio (Piacenza). Il suo debutto risale al 1981 nel programma televisivo di Gianni Boncompagni "Sotto le stelle", ma divenne realmente famosa con il suo primo film, "Sapore Di Mare", diretto da Carlo Vanzina, nel 1982. Il suo ruolo era quello di una ragazza “estiva”, ingenua, bella ma sfortunata in amore: la fidanzatina ideale agli occhi di molti.

Con il suo secondo film, "Sapore Di Mare 2 - Un anno dopo" il cliché si ripete. Siamo nel 1983, Isabella è ancora giovanissima, ma non può permettersi di rimanere intrappolata in filmetti vacanzieri per adolescenti, come vorrebbero in molti. Cambia così registro: gira film di denuncia come "Cronaca di un amore violato" nel '95 (per la regia di Giacomo Battiato) o come "Hotel Paura" del 1996, dove recita al fianco di Sergio Castellitto; oppure, ancora, film come "K", che lascia intravedere lo spettro di un nazismo già presente, eppure ancora ignorato.

Il momento clou del nuovo percorso artistico arriva con la pellicola "Romanzo di un giovane povero" di Ettore Scola, con il quale si è vista assegnare al Festival Di Venezia, la Coppa Volpi come "Miglior Attrice Non Protagonista". Tra i lavori più recenti ecco "La lingua del santo", di Carlo Mazzacurati (al fianco di Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio e Giulio Brogi): una commedia dedicata agli "sconfitti", dove la duttilità interpretativa di Isabella la porta a impersonare una donna contesa (Patrizia) senza dire una parola.

Nel corso degli anni la sua popolarità aumenta grazie alla partecipazione in alcune fiction televisive. Nel 2008 recita in "Caos Calmo" (di Antonello Grimaldi) al fianco di Nanni Moretti, protagonista e sceneggiatore del film; nello stesso anno è in concorso a Venezia con il film "Un giorno perfetto", di Ferzan Ozpetek.

[Le fotografie]

Isabella Ferrari fotografata da Giovanni Gastel (dal libro “The people I like, The book”).

Isabella Ferrari fotografata da Toni Thorimbert.

[The people I like, The book]

La fotografia che proponiamo proviene dal libro “The people I like, The book”, che tra l’altro ci consente alcune riflessioni. La carriera fotografica di Giovanni Gastel non lo vede come ritrattista, almeno in senso classico. Con il volume citato (Ed. Skira) un po’ ci contraddice, perché è interamente dedicato ai volti; e, come ha detto lui: “Racconta il mio mondo, le persone che mi hanno trasmesso qualcosa, insegnato, toccato l’anima”. Ecco che lo scenario diventa più chiaro, dove di base c’è una scelta, che poi diventa il desiderio di un incontro. Di mezzo c’è lo scatto, che come spesso ci ha riferito Giovanni, rappresenta un atto di seduzione da condividere in due.

Già, è facile a dirsi, ma l’istante altro non è se non un momento cruciale, spesso decisivo come diceva Bresson. Però, è proprio lì che nascevano i ritratti di Gastel: un’interpretazione momentanea, lunga quanto un click, dove l’autore (lui) non diventava uno specchio, ma un filtro attraverso il quale veniva setacciato il soggetto che aveva di fronte. E’ comprensibile, quindi, come in ogni fotografia, oggi, si possa riconoscere la firma, perché parte del divenire finale, del risultato.

A nostro parere, una seduta fotografica con Giovanni Gastel era (purtroppo) seduttiva di per sé Lui era forte della sua consapevolezza, che affiancava a una grande disponibilità. Durante i suoi scatti, riversava sul set la cultura maturata per anni, la capacità d’interagire e, se vogliamo, di essere amato. Il soggetto percepiva di sentirsi coccolato, quasi che quell’istante (quello del click) avesse sempre fatto parte della sua storia. Nel libro riconosciamo personaggi celebri che comunque si offrono, senza false ipocrisie. Non ne emergono pose connotate e nemmeno la notorietà, ma soltanto la voglia di esserci: lì, di fronte a Giovanni, per un istante che diventerà eterno.

[Giovanni Gastel, note biografiche]

Giovanni Gastel nasce a Milano il 27 dicembre 1955 da Giuseppe Gastel e Ida Visconti di Modrone, ultimo di sette figli. La sua carriera di fotografo inizia in un seminterrato a Milano verso la fine degli anni ’70, dove Gastel, giovanissimo, trascorre i suoi lunghi anni di apprendistato scattando foto ed imparando le tecniche base di un mestiere che l’avrebbe poi portato al successo. Tra il ’75-‘76 lavora per la prestigiosa casa d’aste londinese Christie’s, mettendo in pratica ciò che aveva appreso.

La svolta della sua carriera arriva nel 1981 quando incontra Carla Ghiglieri, che diventa il suo agente e lo avvicina al mondo della moda: dopo la pubblicazione della sua prima natura morta sulla rivista italiana “Annabella”, nel 1982, inizia a collaborare con Vogue Italia e, poi, grazie all’incontro con Flavio Lucchini -Direttore di Edimoda- e Gisella Borioli, con Mondo Uomo e Donna.

Tra gli anni ’80 e i ’90, la carriera di Gastel nel mondo della moda esplode parallelamente al boom del “Made in Italy”. In quegli anni, Gastel sviluppa campagne pubblicitarie per le più prestigiose case di moda italiane tra cui Versace, Missoni, Tod’s, Trussardi, Krizia, Ferragamo e molte altre. Il successo nel suo paese lo porta anche a Parigi -dove negli anni ’90 lavora per marchi come Dior, Nina Ricci, Guerlain- nonché nel Regno Unito e in Spagna.

Sebbene la sua carriera inizi nel mondo della moda, Gastel (fotografo e, al contempo, anche poeta) capisce rapidamente che il suo impulso d’espressione necessita anche di progetti con fini prettamente artistici. La consacrazione artistica non tarda ad arrivare e, nel 1997, la Triennale di Milano gli dedica una personale curata dal grande critico d’arte, Germano Celant. La mostra lancia Gastel ai vertici dell’élite fotografica mondiale e il suo successo professionale si consolida così tanto che il suo nome che compare su riviste specializzate accanto a quello di mostri sacri della fotografia Italiana come Oliviero Toscani, Giampaolo Barbieri, Ferdinando Scianna e di leggende internazionali come Helmut Newton, Richard Avedon, Annie Leibovitz, Mario Testino e Jürgen Teller.

Il successo professionale apre le porte ad un altro lato del repertorio fotografico di Gastel che fino alla fine degli anni 2000 era rimasto inesplorato: il Ritratto. Negli ultimi anni, Gastel si scopre appassionato di questo ramo della fotografia e, come sempre ha fatto nella sua carriera, vi si immerge totalmente. Il suo lavoro culmina in una mostra al Museo Maxxi di Roma nell’anno 2020 con una selezione di 200 ritratti che ritraggono volti di persone del mondo della cultura, del design, dell’arte, della moda, della musica, dello spettacolo e della politica che lo stesso Gastel ha incontrato durante i suoi 40 anni di carriera. Alcuni dei ritratti degni di nota includono Barack Obama, Ettore Sottsass, Roberto Bolle e Marco Pannella.

[Toni Thorimbert, l’altra Isabella]

E’ interessante l’editoriale nel quale Toni ritrae Isabella Ferrari. La fotografia che propiniamo ci ha colpito particolarmente. Nella sua semplicità, possiede una forza narrativa intensa ed efficace. L’attrice non è riconoscibile per come ci è apparsa sempre, perché interpreta un incontro, avvenuto o ancora da svolgersi. Il volto della donna è interrogativo, la posa elegante. Grande classe.

[C’era un ragazzo che come me ...]

È una storia di periferia, quella di Toni Thorimbert. Già ci immaginiamo i palazzoni, i prati spelacchiati, i bambini (tanti) evitati dal benessere e messi alla prova dalla terra di confine. “C’era un ragazzo, che come me” diventa quindi un ritornello di molti, per coloro cioè che lo hanno incontrato nelle giornate vuote di fuori città: tra bande, ragazze, bar, pericoli. Eppure ci piace pensare che quegli anni abbiano formato, soprattutto fotograficamente, lo sguardo di Thorimbert e che lui stesso sia riuscito a completare l’inquadratura della periferia con tutto ciò che mancava. Ecco che allora il “fuori città” diventa un valore, almeno per alcuni; un vero laboratorio di idee, messe a confronto con il limite, col bene o il male, con la vita, ma anche con il pericolo. Non solo, la periferia diviene un’anticamera, una via d’accesso per un luogo migliore: dove sviluppare quel linguaggio fotografico diventato più preparato e consapevole.

“C’era un ragazzo”, dicevamo, ma i valori staminali sono rimasti; tra questi: il gioco dei limiti e il rispetto, per la fotografia soprattutto. L’immagine e la sua costruzione richiedono tempo, metodo, dedizione: questo perché scattare è un gioco a levare che completa, restituendo una realtà piccola rispetto a quanto si vede. “C’era un ragazzo” che però ha conservato tutta la sua coerenza: prima nel reportage, poi nel ritratto, fino alla moda. Questo vuol dire dettare le proprie regole, con coraggio: facendo di ogni genere il proprio, sempre nell’ottica del levare completando.

“C’era un ragazzo”. Ma di strada ne ha fatta: dai televisori sempre accesi, fino al mondo delle star. In mezzo però ci sono stati i film di Bunuel, Altman, Antonioni; ed anche quella macchina fotografica gigantesca, dietro la quale inchinarsi quasi in un rito.

“Un fotografo non partecipa, guarda soltanto”, ci dice, eppure alle volte sembra invadere, entrare nell’atmosfera, farla propria. Non è il soggetto, quello che cerca, perché lo sta costruendo nell’inquadratura stessa. Desidera solo andare oltre un limite già raggiunto: davanti a un 300 mm o dietro un 24; come in quei prati d’un tempo, dove era difficile mettere ordine tra il niente ed il nulla.

“C’era un ragazzo che come me amava Avedon e Klein”. La sua è una storia di vita, ma anche una via percorribile. È bello anche questo, e che di mezzo ci sia la fotografia.

[Toni Thorimbert, note biografiche]

Toni Thorimbert nel 1974 si è diplomato ai corsi di fotografia della società “Umanitaria” di Milano. Nel 1977 un’inchiesta sulla vita dei giovani della periferia della città di Milano - pubblicata dal mensile “Abitare” - gli vale una borsa di studio internazionale dell’AFIP (Associazione Fotografi Italiani Professionisti). Negli anni ‘80 il suo tenace apporto ai più innovativi periodici dell’epoca, fra i quali “Max”, “Sette” e “Amica” diretti da Paolo Pietroni, diventa un punto di riferimento nella soluzione del nuovo modello visivo di quegli anni. Gli anni ’90 segnano la sua maturazione come autore anche grazie alle collaborazioni con considerevoli “magazine” internazionali quali “Details”, “Mademoiselle”, “GQ”, “Wallpaper”, “Tatler”, “Brutus”, “Gulliver”, “Das Magazine” e “DU”.

Nel 1995 ha partecipato con Gabriele Basilico, Vincenzo Castella, Mimmo Jodice e Moreno Gentili al progetto “Chimica Aperta”, con un volume (“Leonardo Arte”) ed una mostra itinerante sostenuti da “Federchimica”. Nello stesso anno ha ricevuto il premio dello “Art Directors Club/AFIP” per la creatività nel ritratto fotografico. Nel 1998 ha realizzato per “Chanel” il libro Me stessa: la realizzazione del sé; i ritratti e la vita di quattordici donne contemporanee tra Parma, Napoli e Padova. Tra i suoi clienti pubblicitari spiccano i marchi della “Levi’S”, di “Wrangler”, della “Kodak”, di “Martini”, di “Pirelli” e di “Poste Italiane”, solo per citarne alcuni.

Dal 2002 ha stabilito un’intensa collaborazione con “Io Donna”, il settimanale femminile del Corriere della Sera. È docente di “workshops” di linguaggio fotografico ed è stato il curatore della mostra Immagini dal Mondo Interno, una collettiva composta da undici fotografi europei che, sul tema della sfera affettiva e dei rapporti umani, usano la fotografia come parte funzionale nel processo di “auto-analisi”.

Nel 1998 una sua rassegna ha rappresentato uno degli eventi dei “Rencontres Internationales de Photographie d’Arles”. Negli ultimi anni Thorimbert ha affiancato all’attività professionale una continua ricerca, che ha immediatamente ricevuto consensi e interesse dal mondo dell’arte contemporanea, inclusa la fotografia. L’inatteso svolgimento “osmotico”, che consente il trasferimento di situazioni ed emozioni, vere raffigurazioni e allegorie dell’epoca attuale, da una cerchia pubblica e professionale a quella più interiore e personale consente all’autore di esprimersi sulla crescita di quel “paesaggio umano” che è andato attestandosi circa alla metà degli anni ‘90 come una delle tematiche più intense della fotografia contemporanea, di cui Thorimbert è, senza nessun dubbio, uno dei più profondi e crudeli interpreti.

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