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[SIMONA VENTURA, BELLEZZA, VIVACITA’, SIMPATIA]

Simona Ventura ha occupato un lungo periodo storico della televisione: dalla fine degli anni ’80 fino ad oggi. Si è cimentata in vari format: sport, reality, musica, intrattenimento; mostrando le sue grazie, certo, ma anteponendo simpatia a vivacità. Ha sempre parlato col sorriso, Simona, rendendo uniche e irripetibili alcune trasmissioni (“Mai dire Goal”, tra queste). Lei poi era (ed è) una conduttrice pura, e rinuncia a surrogarsi in balletti o pause canore eccessive. Rideva e faceva ridere, aggiungendo un po’ d’ironia anche nello sport, spesso ingessato dagli esperti di turno. Ci ha anche privato delle stucchevoli gaffe recitate o degli aforismi di saggezza scontata (brava). Sentiva la necessità di sostenere il contenitore che le apparteneva, e i risultati si sono visti.

Simona Ventura nasce a Bologna il 1° aprile 1965. E' ancora giovanissima quando si trasferisce a Torino con la famiglia. Frequenta il liceo scientifico e l'ISEF a Torino. Dal 1978 al 1980 frequenta l'istituto tecnico alberghiero di Savona. Partecipa a qualche concorso di bellezza e vince quello di "Miss Muretto", ad Alassio (1986). Nel 1988 partecipa a "Miss Universo" rappresentando l'Italia: arriva quarta.

Inizia poi un’ascesa nei programmi televisivi. In suo debutto avviene con "Domani sposi", su Raiuno, al fianco di Giancarlo Magalli, nel 1988. Sempre appassionata di sport, si dedica al giornalismo, raccontando per TMC i mondiali di calcio del 1990. Commenterà anche gli europei svedesi (1992) e le Olimpiadi di Barcellona. Arriverà poi l’invito di Pippo Baudo per condurre “Domenica In”. La RAI le affiderà anche uno spazio all’interno della “Domenica Sportiva”.

Nel 1993 passa a Mediaset ed entra nel cast di "Mai dire gol", con la Gialappa's Band, che conduce dal 1994 al 1997, di volta in volta insieme a Claudio Lippi, Teo Teocoli, Antonio Albanese. La sua vivacità e simpatia (assieme alla bellezza, ovviamente) faranno sì che il programma risulti indimenticabile. Seguiranno altre trasmissioni, anche se quella che le ha dato più fama è stata “Le iene”, dove lei ha aggiunto una vena glamour, per via dei vestiti scollati

Nel 1998 sposa il calciatore Stefano Bettarini, di sette anni più giovane di lei, e dalla loro unione nascono due figli: Nicolò Bettarini e Giacomo Bettarini. La coppia si separa nel 2004.

Nel Luglio del 2001 Simona Ventura torna in Rai per condurre "Quelli che il calcio". Al suo fianco ci sono Gene Gnocchi, Maurizio Crozza, Bruno Pizzul e Massimo Caputi.Nel settembre 2003 conduce la prima edizione del reality show "L'Isola dei Famosi" e ottiene un successo strepitoso, tanto che nel 2004 le viene affidata la conduzione del "54° Festival di Sanremo". Al suo fianco vi sono i colleghi già collaudati Gene Gnocchi e Maurizio Crozza.

Nel 2008 aggiunge al suo ricco curriculum anche il programma musicale "X Factor". Condotto dall'amico Francesco Facchinetti, Simona Ventura fa parte dei giudici, assieme a Morgan e Mara Maionchi. Il successo di X Factor si ripeterà anche per la seconda edizione, nel 2009.

[Le fotografie]

Simona Ventura fotografata da Renato Grignaschi

Simona Ventura fotografata da Maki Galimberti.

Entrambe le immagini vivono di originalità. Quella di Renato descrive una Ventura da cinema noir: bella, ma intensa; certamente non ironica, quasi pericolosa. Maki ambienta la conduttrice lasciandole pochi ingredienti del suo essere. La posa, il non luogo, la composizione, quasi fanno pensare a un incontro possibile, a un altro pubblico, quello che non è dall’altra parte dell’obiettivo.

[L'incontro con Renato Grignaschi, "la fotografia di classe"]

Ci riceve a casa sua, Renato Grignaschi, con tutta la disponibilità possibile. Chi scrive ha vissuto il momento con emozione, perché era consapevole di trovarsi di fronte ad uno degli interpreti più importanti della moda, ma anche ad un ritrattista attento, acuto: forse uno dei migliori del momento.

Le considerazioni personali però non possono né debbono bastare. Le fotografie di Renato hanno tutte la teatralità di chi ha vissuto la fotografia di dentro, con passione. Negli scatti di moda, ad esempio, non è solo la modella ad essere bella, ma anche il contesto: per quanto semplice possa essere. Forse è la luce ad essere d’aiuto, probabilmente la composizione: certo è che tutte potrebbero rappresentare l’icona di un momento storico. Per di più, i soggetti sembrano essere in posa non solo per quel momento, ma per tutti quanti vorranno vedere: anche a distanza di tempo. Noi non sappiamo cosa succederà alla fotografia nei prossimi anni, se cioè verranno generati altri classici da ammirare in futuro, come oggi stiamo facendo con Avedon, Newton e via dicendo. Se così dovesse essere, però, troveremo certamente un Grignaschi laddove la moda debba parlare di se stessa, del proprio mondo. Anzi: proprio in questa sede lanciamo un consiglio. La moda (oggi fashion), così fuggevole, repentina, mutevole, tremendamente auto referenziata, dovrebbe iniziare a scrivere la propria storia: non tanto per nostalgia, quanto per sublimare il significato del presente. Grignaschi sicuramente potrebbe dare una mano in questo, anche con uno scatto attuale. Perché c’è una cosa che non ha tempo: ed è la Classe; Renato non ha mai dimenticato di donarcela.

[Renato Grignaschi, note biografiche]

Renato Grignaschi, aronese nato nel 1943, inizia a occuparsi di fotografia nel '68. Si dedica prima a reportage collaborando con l'Espresso ed il Messaggero, passa poi alla fotografia di moda e di bellezza.

Nel '74 inizia una collaborazione con Vogue Italia che durerà quindici anni; per questa rivista realizzerà numerosi servizi di "Pret à porter" e di "alta moda" e le copertine del 1981 e 1982. Dal '79 all'86 divide la sua attività tra l'Europa e gli Stati Uniti. In America fotografa per Vogue USA, Bazar, Mademoiselle, Cosmopolitan, New York Magazine, Seventeen e per i grandi magazzini Bloomingdale's. Nel 1983 firma un contratto con la casa di cosmetici Revlon per la quale realizza circa venti campagne.Nello stesso periodo in Europa collabora con Elle Francia, Vogue Germania e Amica.

Fra le se campagne pubblicitarie più importanti: Armani (Mani), Ferrè (0001), Erreuno, Escada, Loewe, Mila Schon, La Perla, Oceano e Malizia.

Recentemente si è dedicato a ritratti di personaggi dello spettacolo, della finanza e dello sport; collaborando con Max, Capital, GQ, Class, Vanity Fair e Sportweek. Nel 2003 e 2004 ha realizzato i calendari maschili di Max.

[Il fotografo, Maki Galimberti. L’incontro]

E’ stato bello dialogare con Maki Galimberti, nel suo studio e anche di fronte a quel caffè che diventa rituale quando le cose vanno bene. Fuori la Milano che pulsa e invade, inseguendosi: non da bere, come vorrebbero gli anni ’80, ma da correre; quella che il nostro ha percorso in lungo e in largo per documentare (e raccontare) la cronaca.

Maki ci sorprende da subito, con le prime parole: “Non sono stato un fotoamatore”, ci dice; e fin qui nulla di male. La sua fotografia parte però da un dato concreto, sempre. Così è stato per la passione, iniziata con l’opportunità; ma vale anche per la fotografia in genere: nella cronaca, nel reportage e persino nel ritratto. Sul dato oggettivo Maki dirige il suo sguardo, quasi per necessità. Sente addirittura l’esigenza della committenza: “Perché è difficile soddisfare se stessi”, spiega. Noi, guardando le immagini che ci propone, crediamo vi siano elementi aggiuntivi. La porta stretta (sì, anche quella di André Gide) costituisce per Maki una sorta di riserva energetica, che nasce proprio dal dato oggettivo. Indirizzando lo sguardo su ciò che è, il nostro può sbandare, invertire la marcia, compiere un testa coda, riferendosi sempre al soggetto da raccontare. L’accoppiata “estetica e concretezza” non rappresenta così un ossimoro, bensì l’antidoto per non usare parole fuori luogo o termini di fantasia. Estetica è il bello “se”, così come la concretezza il vero “ma”; e il compito del fotografo sta proprio nel vivere questa ambiguità necessaria, descrivendo ampie convolute tra ricerca e racconto.

Il rapporto con lo strumento vive, per Maki, delle stesse regole. Voleva la fotocamera piccola, per non intrudere; e l’ha desiderata grande quando la lentezza prendeva il sopravvento. Oltre a ciò, nessuna retorica e nemmeno espressioni di credo: si usa quel che serve e basta. Del resto, anche per necessità editoriali, il nostro ha dovuto sempre privilegiare il contenuto, ancor prima delle regole. Cosa ci proporrà il Galimberti nel futuro? Questa è una domanda che, in altre interviste, non ci siamo mai posti. Non sappiamo rispondere, ma crediamo che la lucidità concreta di Maki potrà consentirgli di sviluppare ulteriormente il linguaggio che lo contraddistingue. Sì, perché lui non scappa, non fugge, non si distrae. Comprende il soggetto e lo fa suo: bellezza e meraviglia verranno dopo, come voluto quando estetica e concretezza vivono assieme.

[Maki Galimberti, note biografiche]

Milanese, classe 1968, Maki Galimberti si sta distinguendo con originalità nell’editoria italiana. Lo ritroviamo come interprete di generi diversi, dal ritratto (volto a personaggi dello spettacolo, della politica e dello sport) per finire al reportage. Ritrattista, interprete dei fenomeni sociali, testimone del nostro tempo, viene richiesto di sovente dai settimanali e dai mensili italiani. Forse è una questione di stile, ma probabilmente ad emergere è una complessità narrativa, un’immagine fortemente connotata e leggibile. Ha lavorato in questi anni per i maggiori quotidiani e magazine, da Panorama a Sette, da Epoca a Vanity Fair, da GQ a Oggi. Dal 2016 è Sony Global Imaging Ambassador.

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