Skip to main content

[EDDIE MURPHY, LA RISATA CHE CONTAGIA]

Chi scrive, ricorda Eddie Murphy ne “Una poltrona per due”. Il film, diretto da John Landis (lo stesso dei Blues Brothers) vive di un buon ritmo, ma soprattutto di un cast interessante. Ne fanno parte Dan Aykroyd, nei panni di un ricco manager, e Jamie Lee Curtis, una prostituta che troverà il modo di redimersi a nuova vita. In molte scene si ha modo di ascoltare la risata fragorosa di Eddie, che diventerà il suo marchio di fabbrica

Edward Regan Murphy è nato il 3 aprile 1961, a Brooklyn. Eddie aspirava a lavorare nel mondo dello spettacolo, sin da quando era bambino. All'età di quindici anni, ha lavorato come cabarettista in alcuni locali di New York. All'inizio degli anni '80, all'età di 19 anni, a Murphy fu offerto un contratto per comparire nello show televisivo “Saturday Night Live” (1975). Nel 1982 ha fatto il suo debutto cinematografico in “48 ore” (1982), al fianco di Nick Nolte. L’interpretazione di Murphy nei panni di un detenuto che aiuta un poliziotto invecchiato e amareggiato, ha conquistato la critica e il pubblico. L'anno successivo arrivò la consacrazione, sotto la direzione di John Landis, col film “Una poltrona per due”. Landis lavorò spesso con Murphy, in: “Il principe cerca moglie” (1988) e “Beverly Hills Cop III - Unpiatti a Beverly Hills III”. “Beverly Hills Cop - Un piedipiatti a Beverly Hills” (1984) è stato il film che ha reso Murphy una superstar al botteghino. Sebbene sia cresciuto molto dal suo debutto come superstar negli anni '80, Murphy ha vissuto lo stile di vita di Hollywood tra polemiche, critiche, scandali e l'ammirazione di milioni di persone in tutto il mondo per i suoi talenti.

Col tempo, Murphy si è stabilizzato con un umorismo più orientato alla famiglia, con: “Il dottor Dolittle” (1998), “Mulan” (1998), “Bowfinger” (1999) e il successo animato Shrek (2001), in un ruolo di supporto nel quale ha mostrato la personalità e il fascino comici che gli appartenevano. Per tutti gli anni 2000, ha inoltre recitato in: “La casa dei fantasmi” (2003), “Shrek 2” (2004), “Dreamgirls” (2006) (per il quale è stato nominato all'Oscar come miglior attore non protagonista), “Norbit” (2007), “Shrek Terzo” ( 2007), e “Shrek 4”: e “Vissero felici e contenti” (2010).

[Le fotografie]

Una fotografia di scena del film “Una poltrona per due”.

Eddie Murphy, comico, New York, 24 maggio 1983. Fotografia di Richard Avedon per Rolling Stone Magazine

[Richard Avedon, due parole su di lui]

“Se passa un giorno in cui non ho fatto qualcosa legato alla fotografia, è come se avessi trascurato qualcosa di essenziale”. “È come se mi fossi dimenticato di svegliarmi”. Queste sono parole di Richard Avedon, che già da sole rappresentano un grande insegnamento: per un appassionato la pratica (disciplina) dell’immagine dovrebbe rappresentare un modo per vivere, se non l’esistenza stessa.

Questione di stile

Avedon (1923-2004) ha molto da raccontarci. Tutto in lui era stile, il suo: nella moda, nei ritratti, nel reportage. Cercava i contrasti, sempre: contrapponendo eleganza e bellezza alla durezza della realtà. Tra l’altro, non c’era mai ironia nelle sue immagini, ma una serietà drammatica, violenta, imposta. Di certo voleva sorprendere: non solo come atteggiamento, ma con l’intenzione di setacciare la vita nei suoi aspetti più cupi e violenti. Era il suo modo di esprimersi, riscontrabile anche negli scatti più curiosi, come Charlie Chaplin che fa le corna, Barbra Streisand che si tiene il naso (elegantissima quell’immagine) o Alfred Hithcock che pare pregare in modo ascetico, con gli occhi stralunati.

Fotografia e psicologia

Le sedute fotografiche di Avedon costituivano una sorta di viaggio nella psiche del soggetto, in territori poco esplorati e spesso sconosciuti: c’è una luce speciale che fa di una persona comune una celebrità, ma spesso quest’ultima si porta dietro superbia, orgoglio, magia, ego. C’è dell’atro, quindi, del divo da esplorare e mettere al vivo. Il nostro fotografo lo faceva quasi con naturalezza, fidandosi di se stesso. “Mi fido delle mie intuizioni”, diceva “E faccio in modo che le cose accadano”.

Circa gli incontri fotografici di Avedon si sono dette tante cose, divenute persino leggenda. Rendere minimamente espressivi il duca e la duchessa di Windsor pareva un’impresa quasi impossibile: risultavano troppo impettiti, nobili, rigidi. Conoscendo la loro passione per i cani, Avedon li fece aspettare un quarto d’ora. Arrivò triste, affannato; dicendo: “Scusate il ritardo, ma il mio taxi ha travolto un cane”. L’espressione dei duchi cambiò, divenne meno tesa; e lui la ritrasse. L’incontro nel 1996 con Sharon Stone si risolse in un’autentica battaglia. Ad Avedon l’attrice non piaceva, particolarmente per il suo egocentrismo: “Le interessa solo se stessa e l’effetto che fa sugli altri”, diceva di lei. Litigarono, lei se ne andò; lui era furibondo, poi lei ritornò e il risultato è Sharon, piegata su se stessa, che sembra offrire spudorata il seno che si affaccia dall’abito molto scollato. Alcune voci (non confermate) narrano come lei avesse confidato al fotografo di essere leggermente sovrappeso; lui, in tutta risposta, le avrebbe suggerito di indossare una taglia in meno. Sappiamo solo come finì: Avedon aveva colto l’esibizionismo dell’attrice, il suo piacere di risplendere; il totale amore di sé.

Aristocrazia e potere

Avedon era un aristocratico, sempre; quasi un nobile altezzoso e arrogante. Il soggetto non scalfiva questo suo modo di essere. Poteva avere davanti attori, musicisti, politici, celebrità mondiali; oppure la gente comune: il suo atteggiamento non cambiava. Quando attraversò l’America, con uno studio portatile e una fotocamera a banco ottico, catalogò tutti i tipi di americani: minatori e contadini della provincia profonda, lavoratori, cacciatori di serpenti, venditori; ne sono nate immagini schiette, spietate, esaltanti nella loro crudezza. Mancava però la partecipazione, l’umanità, la solidarietà o la denuncia sociale. La sua fotografia era distaccata, mai messa in comune con i soggetti; com’è sempre stato, anche nella moda.

Che dire? Se lo poteva permettere. Al di là dell’atteggiamento, Avedon esercitava potere e forza. Chi posava davanti al suo obiettivo lo sapeva o se ne rendeva conto da subito. In fotografia lui ha “fatto cose” che altri non avevano neanche pensato di tentare. Chi avrebbe mai ritratto la modella Dovima tra gli elefanti? Lui volle farlo e vi riuscì.

“Dovima con gli elefanti” è stata scattata da Avedon al Cirque d’Hiver di Parigi, nell’agosto del 1955. La modella indossava il primo abito da sera disegnato per Christian Dior dal suo nuovo assistente, Yves Saint-Laurent. Nell’immagine vive tutto il contrasto che Richard Avedon metteva nelle immagini, quello voluto con forza.

La grazia diafana dell’indossatrice vive al fianco del potere brutale, quello degli elefanti sporchi e ruvidi. L’eleganza si esalta e diventa indimenticabile, come le altre immagini dell’autore: volute “con” e “per” forza; manifestando l’aristocrazia ed esercitando il potere.

[Il fotografo Richard Avedon, note biografiche]

Richard Avedon (1923-2004) è nato e ha vissuto a New York City. Il suo interesse per la fotografia è iniziato in tenera età e si è unito al club fotografico della Young Men's Hebrew Association (YMHA) quando aveva dodici anni. Ha frequentato la DeWitt Clinton High School nel Bronx, dove ha co-curato la rivista letteraria della scuola, The Magpie, con James Baldwin. È stato nominato Poeta Laureato delle scuole superiori di New York nel 1941.

Avedon si è unito alle forze armate nel 1942 durante la seconda guerra mondiale, come fotografo nella marina mercantile degli Stati Uniti. Come ha descritto, “Il mio lavoro era scattare fotografie d’identità”. “Credo di aver fotografato centomila volti prima che mi venisse in mente che stavo diventando un fotografo".

Dopo due anni di servizio, ha lasciato la marina mercantile per lavorare come fotografo professionista, inizialmente creando immagini di moda e studiando con l'art director Alexey Brodovitch presso il Design Laboratory della New School for Social Research. All'età di ventidue anni, Avedon ha iniziato a lavorare come fotografo freelance, principalmente per Harper's Bazaar. Ha fotografato modelli e moda per le strade, nei locali notturni, al circo, sulla spiaggia e in altri luoghi non comuni, impiegando intraprendenza e inventiva che sono diventati i caratteri distintivi della sua arte. Sotto la guida di Brodovitch, è diventato rapidamente il fotografo principale di Harper's Bazaar.

Dall'inizio della sua carriera, Avedon ha realizzato ritratti per la pubblicazione sulle riviste Theatre Arts, Life, Look e Harper's Bazaar. Era affascinato dalla capacità della fotografia di suggerire la personalità ed evocare la vita dei suoi soggetti. Ha catturato pose, atteggiamenti, acconciature, vestiti e accessori come elementi vitali e rivelatori di un'immagine. Aveva piena fiducia nella natura bidimensionale della fotografia, le cui regole si piegavano ai suoi scopi stilistici e narrativi. Come ha detto ironicamente, "Le mie fotografie non vanno sotto la superficie”. “Ho grande fiducia nelle superfici, una buona è piena di indizi”.

Dopo aver curato il numero di aprile 1965 di Harper's Bazaar, Avedon lasciò la rivista ed è entrato a far parte di Vogue, dove ha lavorato per più di vent'anni. Nel 1992, Avedon è diventato il primo fotografo dello staff del The New Yorker, dove i suoi ritratti hanno contribuito a ridefinire l'estetica della rivista. Durante questo periodo, le sue fotografie di moda sono apparse quasi esclusivamente sulla rivista francese Égoïste.

In tutto, Avedon ha gestito uno studio commerciale di successo. E’ stato ampiamente accreditato di aver cancellato il confine tra la fotografia "artistica" e "commerciale". Il suo lavoro di definizione del marchio e le lunghe associazioni con Calvin Klein, Revlon, Versace e dozzine di altre aziende hanno portato ad alcune delle campagne pubblicitarie più famose della storia americana. Queste campagne hanno dato ad Avedon la libertà di perseguire grandi progetti in cui ha esplorato le sue passioni culturali, politiche e personali. È noto per la sua estesa ritrattistica del movimento americano per i diritti civili, la guerra del Vietnam e un celebre ciclo di fotografie di suo padre, Jacob Israel Avedon. Nel 1976, per la rivista Rolling Stone, ha prodotto "The Family", un ritratto collettivo dell'élite di potere americana al momento delle elezioni del bicentenario del paese. Dal 1979 al 1985 ha lavorato a lungo su commissione dell'Amon Carter Museum of American Art, producendo il libro In the American West.

Dopo aver subito un'emorragia cerebrale mentre era in missione per The New Yorker, Richard Avedon è morto a San Antonio, in Texas, il 1° ottobre 2004.

(Fonte Avedon Foundation)

*

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...