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[NASCE JOAN MIRÓ]

Oggi incontreremo un intreccio tra pittura e fotografia. No, non desideriamo costruire un parallelo tra le due arti (ammesso che la fotografia possa essere considerata tale), ma riconoscere un momento nel quale si sono incontrate, anche se per uno scopo semplice. Innanzitutto diciamo che il fotografo chiamato in causa (Henri Cartier Bresson) in gioventù ha studiato pittura, avvicinandosi al surrealismo e al cubismo. Tra l’altro, dopo una lunga carriera dietro l’obiettivo, è tornato alle origini, riscoprendo tele e pennelli. Detto questo, arriviamo al legame; due libri di Bresson in copertina portano la firma di altrettanti pittori: Matisse e, appunto, Miró.

Joan Miró nasce a Barcellona il 20 aprile 1893. Ha studiato commercio e lavorato per due anni come impiegato in una farmacia, finché una malattia non lo costrinse a ritirarsi per un lungo periodo in una casa familiare nella cittadina di Mont-roig del Camp. Tornato a Barcellona, entra all'Accademia d'Arte. Fino al 1919, la sua pittura è stata dominata dall'espressionismo formale, incentrato su paesaggi, ritratti e nudi.

Nello stesso anno si reca a Parigi e incontra Picasso, Max Jacob e alcuni esponenti del movimento Dada, come Tristan Tzara. Alterna nuovi soggiorni nella capitale francese con estati a Mont-roig e la sua pittura inizia ad evolversi verso una maggiore definizione della forma, ora cesellata da una luce forte che elimina i contrasti. Tematicamente spiccano i primi scorci di un linguaggio tra onirico e fantasmagorico, personalissimo seppur con radici popolari, che segnerà tutta la sua successiva carriera.

Vicino ai principi del surrealismo, firmò il Manifesto (1924). Nel 1928 il Museum of Modern Art di New York acquistò due sue tele, il che significò il primo riconoscimento internazionale della sua opera. Un anno dopo, sposò Pilar Juncosa. Man mano, la sua pittura inizia a fuggire verso una maggiore aridità, schematismo e astrazione concettuale. Nelle sue opere scultoree, invece, opta per l'utilizzo di materiale riciclato e di scarto.

La guerra civile spagnola non ha fatto altro che accentuare questa dicotomia tra violento strappo ed evasione sognante, che si andava via via risolvendo a favore di una rinnovata serenità, incoraggiata da un ritorno all'ingegno della simbologia tradizionale di Miró. La sua visione del mondo tornava ad essere ingenua e impetuosa. I suoi ritiri occasionali nell'isola di Maiorca, dove nel 1956 costruì uno studio nella città di Son Abrines, non erano estranei a questo tipo di rinnovamento spirituale.

Intanto Miró allarga l'orizzonte del suo lavoro con le incisioni della serie Barcellona (1944) e, un anno dopo, con i suoi primi lavori in ceramica, realizzati in collaborazione con Josep Llorens Artigas. Negli anni '50 e '60 realizzò diversi grandi murales per luoghi differenti come la sede dell'UNESCO a Parigi, l'Università di Harvard o l'aeroporto di Barcellona; Da allora e fino alla fine della sua carriera alterna opere pubbliche di grandi all'intimità dei suoi bronzi, collage e arazzi. Nel 1975 fu inaugurata a Barcellona la Fondazione Miró.

Joan Miró è deceduto a Maiorca, all'età di 90 anni, il 25 dicembre 1983. Giace sepolto a Barcellona, nel cimitero di Montjuïc.

[Le fotografie]

Copertina del libro "Les Européens" (1955). La firma è di Joan Miró.

Joan Miró nel suo studio. Henri Cartier Bresson 1959.

[Il fotografo, Henri Cartier Bresson]

Henri Cartier Bresson nasce a Chanteloup-en-Brie il 22 agosto 1908. Di lui abbiamo parlato spesso, dedicandogli addirittura il mese di agosto. Da molti viene considerato il padre del fotogiornalismo, ma noi (con un po’ di presunzione) preferiamo definirlo come l’inventore della fotografia moderna. Molti interpreti dello scatto si sono ispirati a lui come l’iniziatore di una nuova era e crediamo che tanti appassionati possano mettersi a ruota: con rispetto e ammirazione.

L’Arte di Henri Cartier-Bresson

Non si deve pensare che le sue fotografie siano frutto di fortunate casualità, infatti, oltre alla naturalezza, l’altro aspetto importante della sua ricerca è la composizione e la creazione di un ordine geometrico. Integrava nelle sue foto linee, curve e tutto ciò che potesse contribuire a rendere uno scatto poetico. D’altronde se Henri Cartier-Bresson non fosse diventato un fotografo probabilmente avrebbe fatto il pittore, dato che aveva frequentato lo studio dell’artista André Lhole (teorico del cubismo) proprio per studiare pittura. In precedenza, si era avvicinato all’arte frequentando l'atelier del pittore Jacques-Emile Blanchedove, dove entra in contatto con gli ambienti del surrealismo.

L’incontro con la fotografia

L’incontro con la fotografia avvenne nel 1931, quando, a Marsiglia, sfogliando una rivista vide una foto di Martin Munkacsi e ne rimase affascinato. L’anno dopo acquista la sua prima macchina fotografica Leica e inizia a viaggiare per l’Europa scattando fotografie. Poco dopo si reca negli Stati Uniti dove espone con Walker Evans alla galleria Julian Levydi New York.

Le sue immagini iniziano a comparire sulle riviste e vengono anche esposte, ma la sua creatività incontra anche il mondo del cinema e nel 1936 lavora come assistente alla regia di Jean Renoir (assieme a Luchino Visconti) per i film “La scampagnata” e ” La vita è nostra”. Inoltre, diventa lui stesso regista per due documentari sugli ospedali nella Spagna repubblicana e sulla vita dei soldati americani durante la guerra civile spagnola. In precedenza, aveva studiato cinematografia assieme a Paul Strand.

Quando inizia a scattare, quindi, Henri Cartier-Bresson ha appena 24 anni ed è ancora alla ricerca del suo futuro professionale. È incerto e tentato da molte strade: dalla pittura, dal cinema. “Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla” affermava.

Non capire nulla di fotografia significa, tra l’altro, non sviluppare personalmente i propri scatti: è un lavoro che lascia agli specialisti del settore. Non vuole apportare alcun miglioramento al negativo, non vuole rivedere le inquadrature, perché lo scatto deve essere giudicato secondo quanto fatto nel qui e ora, nella risposta immediata del soggetto.

Henri Cartier-Bresson, un libro

Henri Cartier-Bresson fu fatto prigioniero dai tedeschi nel 1940. Dopo due tentativi falliti, riuscì a fuggire nel 1943. Durante questo periodo, il Museum of Modern Art di New York, partendo dal presupposto che il fotografo fosse morto in guerra, ha iniziato la preparazione di quella che si pensava sarebbe stata un’esposizione postuma del suo lavoro. Quando riapparve, Cartier-Bresson fu felice di apprendere della mostra e decise di rivederla, curandola lui stesso.

Nel 1946 Cartier-Bresson si reca a New York con circa 300 stampe nella sua valigia, acquista un album (uno scrap book appunto), gli incolla le immagini, e lo porta ai curatori del MoMA. La mostra viene inaugurata il 4 Febbraio 1947.

Dopo la morte del fotografo (2004), la Fondation Henri Cartier-Bresson, finito il lavoro di ripristino, ha permesso di rendere pubblica quest’opera.

Images à la Sauvette, l’arte in copertina

“Quando ho iniziato a fotografare, a metà degli anni ’50, Cartier-Bresson aveva da poco pubblicato il suo libro capolavoro Images à la Sauvette”. “Io lo comprai subito”. “Tutti noi, fotoamatori o professionisti, lo vedevamo come un mito; per me era a tutti gli effetti un Dio”. “E’ stato proprio attraverso quel libro, guardando quelle fotografie, che ho deciso che impronta dare alla mia fotografia”. Chi parla è Gianni Berengo Gardin.

“Images à la Sauvette” è uno dei più grandi libri fotografici mai pubblicati. Uscito nel 1952, con una copertina originale di Matisse, riunisce le fotografie di Henri Cartier-Bresson dei primi venti anni della sua carriera. Si tratta di un’ampia presentazione della sua arte, dove le immagini diventano un vertice emotivo e formale. Questo libro rimane un punto fermo per molti fotografi. Tre anni dopo, l’editore (e amico di Bresson) Teréide pubblicherà "Les Européens", con copertina di Mirò.

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