[L’ECLETTICITÀ DIVENTA ARTE]
Jack Nicholson va ricordato per i suoi ruoli estremi, non connotati: in parti che solo lui avrebbe potuto interpretare. Non era un divo di bellezza, brillava (e brilla) dei suoi denti bianchissimi, americani se vogliamo essere precisi. Poteva però essere un seduttore, o un ubriaco, persino un internato in manicomio: emozionava comunque, e sempre. Lo abbiamo riconosciuto anche per la dolcezza in “Voglia di tenerezza”, anche se in una scena del film corre con una spider su una spiaggia, impressionando chi sedeva sul sedile del passeggero. A nostro avviso, per ampiezza dei ruoli, è il migliore attore di sempre. L’ecletticità può essere un’arte, eccome.
Jack Nicholson, attore, produttore, regista e sceneggiatore americano, ha vinto tre volte l'Oscar su dieci candidature. Nicholson è anche noto per essere uno dei due attori - l'altro è Michael Caine - che ha ricevuto una nomination all'Oscar in ogni decennio dagli anni '60 agli anni 2000.
Jack Nicholson è nato il 22 aprile 1937 a Neptune, nel New Jersey. È cresciuto credendo che la nonna fosse sua madre e che la sua vera madre, June Frances Nicholson, una showgirl, fosse in realtà sua sorella maggiore. Ha scoperto la verità nel 1975, da un giornalista della rivista Time che stava scrivendo un profilo su di lui. Si ritiene che il suo vero padre fosse Donald Furcillo, uno showman italoamericano, o Eddie King (Edgar Kirschfeld), nato in Lettonia e anche lui nel mondo dello spettacolo.
Jack Nicholson ha fatto il suo debutto cinematografico in un film di serie B intitolato “The Cry Baby Killer” (1958). La sua ascesa a Hollywood è stata tutt'altro che fulminea e per anni ha sostenuto la sua carriera come ospite in serie televisive e recitando in numerosi film di Roger Corman, tra cui “La piccola bottega degli orrori” (1960).
Il debutto di Nicholson sulla poltrona di regista è stato con “Yellow 33” (1971). In precedenza, ha scritto la sceneggiatura di “Il serpente di fuoco” (1967) e ha co-scritto “Sogni perduti” (1968). La sua grande occasione è arrivata con Easy Rider (1969) e il suo ritratto dell'avvocato imbevuto di alcolici, George Hanson, gli è valso la sua prima nomination all'Oscar. La carriera cinematografica di Nicholson decolla negli anni '70 con “Cinque pezzi facili” (1970). L'altro lavoro degno di nota in questo periodo include il capolavoro noir di Roman Polanski “Chinatown” (1974) e “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (1975), per il quale ha vinto il suo primo Oscar come miglior attore.
Gli anni '80 sono iniziati con un altro ruolo decisivo nell'adattamento di Stanley Kubrick del romanzo di Stephen King “Shining” (1980). Sono seguiti una serie di film ben accolti dalla critica, tra cui: “Voglia di tenerezza” (1983), che valse a Nicholson il suo secondo Oscar; “L'onore dei Prizzi” (1985) e “Le streghe di Eastwick” (1987). Ha interpretato un altro famoso cattivo, in Batman di Tim Burton (1989). Negli anni '90, è apparso in film di vario genere, come “Codice d'onore” (1992), per il quale ha ricevuto un'altra nomination all'Oscar, e un doppio ruolo in Mars Attacks! (1996). Lo ricordiamo anche in “Il postino suona sempre due volte”, al fianco di Jessica Lange.
Jack Nicholson è appassionato di pallacanestro, tifoso dei Los Angeles Lakers. Un giorno chiese a Pat Riley, allora coach dei Lakers, di poter sedere in panchina, almeno in una partita.
[Le fotografie]
Jack Nicholson fotografato da Jack Robinson, gennaio 1970.
Jack Nicholson fotografato da Herb Ritts, 1986.
I due ritratti vivono entrambi di profondità. Robinson ci propone l’interrogativo, forse il mistero, che ben esprime i tanti ruoli che l’attore può interpretare. Ritts pone l’accento sul sorriso, bianchissimo ma non banale: la varietà di recitazioni che Jack può affrontare partono anche da lì.
[Il fotografo, Jack Robinson]
Jack Robinson nasce a Meridian Mississippi il 18 settembre 1928 e si è laureato alla Clarksdale High School nel 1946. Ha poi frequentato la Tulane University di New Orleans. Nel 1955 Jack si trasferisce a New York, dove diviene subito famoso per le sue fotografie di moda. Ha lavorato con l'esperta di moda Carrie Donovan al New York Times fino al 1965. Quando poi lei è andata a Vogue, Jack l’ha seguita, fotografando sia la moda, che le celebrità. Lui è stato pubblicato su Vogue oltre cinquecento volte, dal 1965 al 1972.
La vita personale di Jack è stata una sfida. Era un classico genio eccentrico tormentato del Delta del Mississippi, come tanti altri prima di lui: Faulkner, Tennessee Williams, la maggior parte dei musicisti, incluso Elvis. Jack si è rivolto alla droga e all'alcol per fuggire dalla realtà. Il fatto di essere gay, in un momento in cui non era socialmente accettabile, ha causato in lui una forte sofferenza.
Il lavoro iniziò a diminuire, così dovette vendere il suo amato Steinway e ritirarsi a Memphis (dicembre 1972). Era distrutto e dipendente dall'alcool. È stato accolto da Audrey Stroll, un'amica di lunga data che l’ha rimesso in piedi. Jack interruppe tutti i lavori commerciali e iniziò a dipingere. Si ammala nel novembre 1997 e ricorre al medico. Muore di cancro un mese dopo quella prima visita.
Sebbene la carriera di fotografo professionista di Jack Robinson sia durata solo diciassette anni, è riuscito a cogliere gli istanti cruciali della storia moderna. Lui era lì per documentare, con la fotografia, i cambiamenti sociali avvenuti negli anni '60 e nei primi '70, rimandati alle cronache dalla moda, dall'arte, dalla parola scritta, dal palcoscenico, dal grande schermo e, cosa più importante, dalla musica. Jack ha fotografato praticamente ogni musicista a cui pensiamo se ricordiamo l’estate di Woodstock. Dalla sua fotocamera sono nate le copertine di album e servizi di moda. Ha fotografato la Casa Bianca di Nixon, poi Dennis Hopper di "Easy Rider", la sfrenata decadenza degli anni '60 a New York e l'eleganza ineguagliabile di Jacqueline Kennedy. Dalla "Beat Generation", Jack Robinson ha documentato su pellicola ciò che il mondo ricorderà per generazioni come i mitici anni '60.
[Il fotografo, Herbert Ritts]
Herbert Ritts Jr. nasce il 13 agosto 1952 a Los Angeles, in California. La sua famiglia è agiata e possono permettersi una villa vicino a quella di Steve McQueen. Ha iniziato la sua carriera fotografica alla fine degli anni '70 e si è guadagnato la reputazione di maestro dell'arte e della fotografia commerciale. Oltre a produrre ritratti e moda editoriale per Vogue, Vanity Fair, Interview e Rolling Stone, Ritts ha anche creato campagne pubblicitarie di successo per Calvin Klein, Chanel, Donna Karan, Gap, Gianfranco Ferré, Gianni Versace, Giorgio Armani, Levi's, Pirelli, Polo Ralph Lauren e Valentino, tra gli altri. A partire dal 1988 ha diretto numerosi video musicali e spot pubblicitari pluripremiati. La sua fotografia d'arte è stata oggetto di mostre in tutto il mondo, con opere che risiedono in molte importanti collezioni pubbliche e private.
Nella sua vita e nel suo lavoro, Herb Ritts è stato attratto da linee pulite e forme forti. Questa semplicità grafica ha permesso alle sue immagini di essere lette e sentite istantaneamente. Con i suoi lavori è riuscito nel tempo a cogliere e a rendere delle vere icone per i fan diverse star. Ritts prediligeva il B&W e la luce naturale, con la quale esaltava le curve del corpo. Il suo stile s’ispirava soprattutto alla bellezza classica, tinta però di glamour. Grazie a lui l'estetica maschile perde i canoni virili degli anni precedenti, assumendo toni erotici e ambigui.
Un decesso prematuro
Herb Ritts si spegne nella sua Los Angeles quando è al culmine della carriera, a soli 50 anni, il 26 dicembre 2012. Le cause della morte sono legate a complicazioni derivate da una polmonite, conseguenza dell'AIDS all'inizio del 1989. Si spegne così uno dei grandi fotografi del ‘900: una leggenda nella fotografia come lo sono quelle star che lui ha contribuito a creare, con equilibrio ed eleganza.
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