[AZNAVOUR, UNO CHANSONNIER AUTENTICO]
Personaggio eclettico, Charles Aznavour è diventato famoso anche per i ruoli cinematografici che l'hanno visto protagonista, come nel film del 1960 di François Truffaut “Tirate sul pianista”. Aznavour ha interpretato nella sua carriera alcuni brani memorabili, a cominciare da “La Bohème”, forse il suo brano più conosciuto, “Que c'est triste Venise” tradotta in italiano in “Com'è triste Venezia”, brano diventato poi uno dei suoi più grandi successi in Italia insieme a “Ed io tra di voi”.
L’hanno paragonato a Frank Sinatra, ma la similitudine non calza. Lui ha occupato 4 decenni di musica con un personaggio proprio, cantore dell’amore spesso dai toni grigi e piovosi, intrisi di una malinconia (anche recitativa) che seguiva una felicità vera.
Charles Aznavour è nato il 22 maggio 1924, a Parigi, il minore di due figli nati da immigrati armeni fuggiti in Francia. Sua madre era una sarta oltre che un'attrice e suo padre un baritono, che cantava nei ristoranti. Sia Charles che sua sorella maggiore servivano ai tavoli e anche lui si esibiva. Nel giro di pochi anni ha sviluppato una tale passione per il canto e la danza, che vendeva giornali per pagarsi le lezioni.
Ha debuttato nella commedia "Emil and the Detectives" all'età di 9 anni. Dopo aver lasciato precocemente la scuola, ha girato la Francia e il Belgio come cantante-ballerino. Il suo stile di vita era quello di un bohémien. Nel 1941 venne presentato al cantautore Pierre Roche. Insieme hanno sviluppato un duo divenuto famoso. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale Charles iniziò di nuovo ad apparire nei film, in uno dei quali come croupier cantante in Adieu chérie (1946).
Col tempo, Aznavour si è guadagnato una solida reputazione come compositore per altri musicisti e cantanti affermati, in particolare Édith Piaf. Il suo mentore alla fine lo convinse a esibirsi da solista (senza Roche) e si esibì in diversi tour di successo.
Alla fine degli anni '50, Aznavour iniziò a infiltrarsi nei film con più gusto. Basso e tozzo di statura, non era certo il protagonista maschile per eccellenza, ma non si fece scoraggiare dai suoi difetti. Nel 1960 Aznavour ha recitato il ruolo del pianista nel film di Francois Truffaut “Tirate sul pianista” (1960), che ha ottenuto il plauso al botteghino sia in Francia che negli Stati Uniti . Questa improvvisa notorietà ha innescato un lungo tour all'estero negli anni '60. Soprannominato il "Frank Sinatra di Francia", e cantando in molte lingue (francese, inglese, italiano, spagnolo, tedesco, russo, armeno, portoghese), le sue tournée includevano esibizioni da tutto esaurito alla Carnegie Hall (1964) e all'Albert Hall di Londra ( 1967).
Film a parte, il suo singolo "She" (1972-1974) è diventato disco di platino in Gran Bretagna. In totale, ha ricevuto trentasette album d'oro. La sua canzone più popolare in America, "Yesterday When I Was Young", è stata interpretata da tutti, da Shirley Bassey a Julio Iglesias. Nel 1997, Aznavour ha ricevuto un premio César ad honorem. Ha scritto tre libri, le memorie "Aznavour By Aznavour" (1972), la raccolta di testi di canzoni "Des mots à l'affiche" (1991) e una seconda memoria "Le temps des avants" (2003).
Sposato almeno tre volte (alcuni affermano cinque) ha avuto sei figli. È morto il 1° ottobre 2018 in Francia.
[Le fotografie]
Charles Aznavour fotografato da Jeanloup Sieff, 1971.
Francois Truffaut dirige Charles Aznavour and Marie Dubois in “Tirate sul pianista”, 1960. Ph. Robert Doisneau.
[Il fotografo, Jeanloup Sieff]
Jeanloup Sieff nasce a Parigi il 30 novembre 1933, da genitori polacchi. Studia filosofia alle superiori, per poi dedicarsi ad ambiti diversi, ognuno dei quali per pochissimo tempo, tra cui: letteratura, giornalismo e fotografia al Vaugirard di Parigi e a Vevey in Svizzera.
Ha ricevuto la sua prima macchina fotografica da suo zio a 14 anni. È stato pubblicato per la prima volta nel 1950 su Photo Revue. Quattro anni dopo, ha deciso di lavorare come fotografo freelance, ma il suo lavoro non è mai stato pubblicato. Alla fine ha collaborato con Elle per 3 anni, prima di dimettersi per entrare in Magnum, da cui ha rassegnato le dimissioni un anno dopo. Nel 1961 si trasferisce a New York e inizia a lavorare con Look, Glamour, Esquire e Harper’s Bazaar e con le edizioni europee di Vogue, Twen e Queen.
Nel 1979 è diventato membro del consiglio di amministrazione della Foundation Française of Photography a Lione ed è stato insignito della Legion d'Onore nel 1990.
Ha fotografato molte celebrità, tra cui Jane Birkin, Yves Montand, Alfred Hitchcock, Jacques-Henri Lartigue, Yves Saint-Laurent e Rudolf Nureyev.
Jeanloup Sieff è deceduto nel 2000. Come si legge su “Jeanloup Sieff, 40 anni di fotografia” (Taschen): “Il 20 settembre uscì di scena in punta di piedi, senza far rumore; cercando quasi di non far cader per terra le foglie autunnali”.
Quello che sorprende delle fotografie di Sieff è l’eleganza. I suoi lavori vivono di un’ambiguità discreta (a volte ironica), che tanto serve a immagini di quel tipo. Non siamo alla “teatralità” di Newton, ci mancherebbe; anche perché generalmente le fotografie del francese si compongono di un singolo soggetto.
Sieff fa molto uso dell’obiettivo grandangolare spinto, che conferisce un’impronta unica e inconfondibile al suo stile ironico e mai volgare; restituendo alle modelle delle forme più longilinee. Sieff è stato un importante riferimento per moltissimi fotografi, proprio per la sua visione particolare attraverso il grandangolo.
Il fotografo della sensualità, così verrà ricordato Sieff: quella che emerge dal suo lavoro commissionato dalle riviste di moda. Caratteristico era il suo attaccamento ai dettagli di un’immagine: dalla pastosità dell’incarnato per finire persino in una delicata peluria. Ma ciò che più colpisce di fronte a una fotografia di Jeanloup Sieff è il contrasto sorprendente, la gamma tonale, i neri profondi e una grana tutta particolare. Lui è tipicamente un fotografo in bianco e nero, il che ci piace ancora di più.
[Robert Doisneau e la musica]
Robert Doisneau ha percorso Parigi in lungo e in largo, cogliendo attimi musicali nelle strade e nei bistrot, catturando momenti privati di star della musica come Eartha Kitt in un jazz club, Django Reinhardt a casa e Yehudi Menuhin nel backstage, o sorprendendo la Callas, Messiaen e Poulenc. Chiamato a ritrarre Georges Brassens, Juliette Gréco, Charles Aznavour e Claude François, ha immortalato una nuova generazione di musicisti negli anni ’80, tra cui Rita Mitsouko e Les Négresses Vertes.
Le parole precedenti costituiscono la sinossi del libro “Doisneau e la Musica”, una vera e propria galleria d’immagini che copre l’intero spettro musicale: dalla musica classica al jazz, dal be-bop alle radici del rap moderno e del rock alternativo.
[Il fotografo, Robert Doisneau]
Robert Doisneau nasceva a Gentilly il 14 aprile 1912. Conosciamo la sua infanzia infelice (perderà presto la madre) e la facilità con la quale disertava la scuola. Il padre che si risposa lo allontanerà maggiormente dalla vita da piccolo borghese.
Quel bambino timido e goffo, però, inizierà a osservare in maniera acuta, particolarmente nelle fughe verso la periferia: segno di disobbedienza, da un lato; ma anche dell'identificazione di quel teatro che, per tutta la vita, rappresenterà il suo territorio di ricerca fotografica.
Frequentando gli atelier di Montparnasse, Robert incontrerà la fotografia: questo nei contrasti degli “anni folli” della Parigi del tempo. Inizia così un bisogno compulsivo di fotografare, che lo porta a esplorare inconsapevolmente gli scenari visitati, anni prima, da Atget.
Gli anni 50 – 60 saranno per Doisneau quelli della consacrazione. E' una Francia “fotografica” quella che i professionisti si trovavano a disposizione. Avendo sempre privilegiato il rispetto per l'uomo a scapito della tecnica, è stato definito “fotografo umanista”. E con “il Bacio dell'Hotel de Ville” ha raccontato una storia eterna.
Riprendiamo alcune parole del fotografo: “Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere”. Robert cercava un mondo dedicato a se stesso, ma non per egoismo; semplicemente perché lui aveva bisogno di quello spazio che è tra il vivere soggettivamente e vederlo fare. La sua fotografia (grande, in assoluto) brilla di una ricerca che vive in un confine dove il tempo non conta, ma solo quanto accade davanti l’obiettivo, dopo ore di attesa. Quella linea di demarcazione spesso si sposta in periferia, ma vive anche a Parigi: tra i Bistrot, i negozi, i bambini che giocano.
pRobert non andava bene a scuola, preferiva in assoluto andare a pescare con lo Zio. Professionalmente, in età adulta, non si è mai legato a un lavoro stabile (Renault è stata costretta a licenziarlo per via delle assenze). Lui sentiva il richiamo dei posti che stava cercando. La sua fotografia, dolce e delicatissima, non poteva aspettare; ed era fuori, là, sul quel confine dove camminano coloro che sanno vedere l’umanità, raccontandola. Ne è nata una narrazione infinita, suggestiva, umana, che nessun altro potrà mai restituirci.Doisneau morirà l’1 aprile 1994.
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