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[KISSINGER, POLITICA LUCI E OMBRE]

Chi era Henry Kissinger? A guardare la sua vita (ormai è centenario), s’incontra tutto e l’esatto contrario. Nobel per la Pace nel 1973, è stato accusato per crimini internazionali. Pare abbia appoggiato il golpe cileno dell’11 settembre ’73, macchiandosi di altre colpe; eppure la sua carriera negli anni si è rivelata di continuo solida, anche dopo il Watergate. Consulente internazionale, Presidente del Comitato Olimpico, è sempre rimasto sulla cresta dell’onda, addirittura per popolarità. Ha trattato con Russia e Cina (anni ’70) e dopo l’11 settembre è stato messo a capo della commissione d’indagine. Nel 2006 Papa Benedetto XVI l’ha invitato a far parte del suo gruppo di consulenti per la politica estera.

[Le fotografie]

Epoca, la copertina di una rivista del 1974. Non ne conosciamo l’autore. In rete abbiamo incontrato un’immagine di Mario De Biasi relativa a un incontro del Segretario di Stato americano col Governo Italiano, sempre per la medesima rivista.

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2 giugno 1976, Washington D.C. Henry Kissinger fotografato da Richard Avedon.

[Henry Kissinger, la vita]

Henry Kissinger nasce a Fürth, in Franconia (regione a nord della Baviera), il 27 maggio 1923. Il suo nome rimane legato alla sua attività di politico statunitense; segretario di stato sotto la presidenza di Richard Nixon e Gerald Ford. A lui è stato intitolato il premio Nobel per la pace nel 1973.

Nasce da una famiglia di origini ebraiche, che nel 1938 lascia la Germania nazista per trasferirsi a New York. Otterrà la cittadinanza statunitense nel 1943. Lavora nel controspionaggio come traduttore dal tedesco all'americano e pare che abbia operato come spia anche per i sovietici. Nel 1950 si laurea, perfezionando gli studi fino al 1954.

Nel 1968 Richard Nixon sta per essere eletto Presidente degli Stati Uniti e Kissinger diventa il suo personale consigliere. Viene nominato Segretario di Stato e lavorerà per ridurre la tensione con l'Unione Sovietica, negoziando i trattati circa la riduzione degli armamenti strategici. Sempre per favorire la distensione, volerà in Cina per preparare la visita di Nixon del 1972.

Nel 1973 viene assegnato a Kissinger e a Le Duc To il premio Nobel per la pace per il "fermate il fuoco" del conflitto vietnamita. Le cose andarono diversamente, il conflitto finì per aggravarsi e il politico vietnamita rifiutò il premio. Esistono delle ombre nella carriera di Kissinger, perché pare abbia sostenuto Augusto Pinochet e il suo colpo di stato militare in Cile, contro il presidente socialista Salvador Allende (11 settembre 1973).

Negli USA scoppia lo scandalo Watergate. Nixon si dimette, ma Kissinger continua a risultare popolare tanto che Gerald Ford gli chiede di rimanere alla segreteria di Stato durante la sua amministrazione. Dopo il termine del mandato di Ford, Kissinger non ricoprirà incarichi di stato. Nel 2000 è stato eletto membro onorario del Comitato Olimpico Internazionale. Nel 2002 il presidente George W. Bush lo nomina presidente della commissione incaricata di chiarire gli eventi dell'11 settembre 2001, nonostante le ombre nella sua carriera.

Nel 2006 Papa Benedetto XVI l’ha invitato a far parte del suo gruppo di consulenti di politica estera.

[Il ritratto, le riflessioni di Avedon]

Una volta sono andato a Washington per quella che chiamano "opportunità fotografica" con Henry Kissinger. Mentre lo accompagnavo di fronte alla fotocamera, ha detto una cosa sconcertante. Disse: "Sii gentile con me". Avrei voluto che ci fosse stato il tempo per chiedergli esattamente cosa intendesse.

[…]

Cosa significa veramente “essere gentili” in una fotografia? Kissinger voleva sembrare più saggio, più caloroso, più sincero di quanto sospettasse di essere?

[…]

Un ritratto fotografico è l'immagine di qualcuno che sa di essere fotografato e con questa conoscenza fa parte della fotografia tanto quanto ciò che indossa o come appare. È implicato in ciò che sta accadendo e ha un certo potere reale sul risultato. Il modo in cui qualcuno che viene fotografato si presenta alla fotocamera, e l'effetto della risposta del fotografo su quella presenza, è ciò che riguarda la realizzazione di un ritratto. Il filosofo Roland Barthes una volta disse una cosa molto saggia sulla fotografia. Ha detto: “La fotografia è prigioniera di due alibi intollerabili: da un lato, 'quadri d'arte nobilitati'; dall'altro, 'reportage' che trae il suo prestigio dall'oggetto”. “Nessuna delle due concezioni è del tutto corretta”. Ha detto: "La fotografia è un testo, una complessa meditazione sul significato".

Quello che Barthes ha riconosciuto è che abbiamo bisogno di un nuovo vocabolario per parlare di fotografia. Non "arte" contro "realtà", "artificio" contro "candore", "soggettivo" contro "oggettivo": la fotografia rientra tra queste classificazioni, ed è per questo che è così impossibile rispondere a domande come "La fotografia è davvero arte?" e "È un'immagine accurata del tuo amico?" Come ho già detto in altre occasioni, “Tutte le fotografie sono accurate, nessuna è la verità".

Non credo che le immagini debbano giustificare la loro esistenza chiamandosi opere d'arte o ritratti fotografici. Sono ricordi di un uomo; sono sfaccettature contraddittorie di un istante della sua vita come soggetto - e della nostra vita come spettatori. Sono, come diceva Barthes, testi, e come tali esistono per essere letti, interpretati e discussi, non classificati e giudicati.

Allora chi è Henry Kissinger? E cosa, o chi, è questa fotografia? È solo una rappresentazione ombra di un uomo? O è più vicino a una somiglianza con la propria vita, un gemello inesatto il cui aldilà può superare e sostituire l'originale?

Quando vedo le mie fotografie in un museo e osservo il modo in cui le persone le guardano, e poi mi rivolgo verso di esse, vedo quanto sono vive le immagini, sembra che abbiano poco a che fare con me. Hanno una vita propria: come gli attori di Pirandello, o nel film di Woody Allen La rosa purpurea del Cairo, quando gli attori lasciano lo schermo e si uniscono al pubblico. Si confrontano con gli spettatori. La fotografia è completamente diversa da ogni altra forma d'arte. Non ricordo davvero il giorno in cui ero dietro la mia macchina fotografica con Henry Kissinger dall'altra parte e sono sicuro che nemmeno lui lo ricorda; ma questa fotografia è qui ora per dimostrare che nessuna gentilezza da parte mia potrebbe far sì che significasse esattamente ciò che lui - o anche io - volevamo che significasse. È un promemoria della meraviglia e del terrore che è una fotografia.

[Richard Avedon e il suo potere]

Un altro ritratto di Richard Avedon. Ci stiamo riferendo a uno dei fotografi più prolifici della seconda metà del XX secolo. Molti lo definiscono come il più importante fotografo di moda di tutti i tempi, ma in tanti gli hanno riconosciuto altri meriti, particolarmente nel ritratto. Al di là del genere comunque, guardando a ritroso il lavoro del maestro si riconoscono forza e coerenza, che andavano al di là delle singole interpretazioni. Di lui ci è sempre piaciuto il “potere”, quello buono; lo stesso che gli permetteva di lavorare sul soggetto con assiduità, senza limiti.

Come dicevamo, Avedon deve essere considerato anche (e soprattutto) come un grande ritrattista, probabilmente uno dei più grandi della storia della fotografia. Di fronte alla sua macchina fotografica di grande formato sono sfilate tutte le personalità famose del suo tempo. Essere fotografati da Avedon rappresentava una sorta di "certificato di celebrità". I volti famosi rappresentavano per il fotografo una lama a doppio taglio nei termini dell’immagine da produrre. Se ci si fidava del personaggio preconfezionato, tutto poteva apparire facile; ma quando si cercava la profondità, probabilmente il soggetto avrebbe eretto una barriera. Avedon ha saputo attraversare le false ipocrisie, arrivando al nucleo della personalità. E’ un merito.

[Il fotografo, Richard Avedon]

Di Richard Avedon sicuramente abbiamo già parlato, più volte. Ci stiamo comunque riferendo a uno dei fotografi più prolifici della seconda metà del XX secolo. Molti lo definiscono come il più importante fotografo di moda di tutti i tempi, ma noi gli abbiamo riconosciuto altri meriti, particolarmente nel ritratto. Al di là del genere comunque (fashion o portrait che sia), guardando a ritroso il lavoro del maestro, ne riconosciamo forza e coerenza, che andavano al di là delle singole interpretazioni. Di lui ci è sempre piaciuto il “potere”, quello buono; lo stesso che gli permetteva di lavorare sul soggetto con assiduità, senza limiti.

Richard Avedon è nato a New York City Il 15 Maggio 1923, figlio d’immigrati ebrei russi che possedevano un grande magazzino a Manhattan. In gioventù ha messo in mostra un’attitudine letteraria forte. Determinanti per lui sono stati gli studi con Alexey Brodovitch, presso il Laboratorio di Progettazione della New School for Social Research. La New York del tempo offriva tutto ciò che un giovane ambizioso potesse desiderare: teatro, cinema, musica, danza. A noi piace pensare che Richard abbia vissuto la fotografia con intensità e profonda dedizione, sin dagli esordi: assorbendo tutto quanto potesse dalle lezioni di chi l’ha preceduto. E’ per questo che lui ha esplorato la fotografia in molte delle sue possibilità, anche tecniche. Determinanti, a tale proposito, sono stati i continui passaggi da una medio formato al banco ottico.

Assiduità e dedizione vogliono anche dire consapevolezza, considerazione di sé; e lì forse nasce quel potere forte che gli riconosciamo, esercitato di continuo sui propri soggetti.

Molti sono stati gli elementi ispiratori per Avedon. Tra questi ricordiamo Martin Munkacsi, il pioniere della fotografia di moda in esterni. Il nostro però ha unito sapientemente l'esuberanza della fotografia outdoor con la tradizione statica dello studio, dimostrando così di aver assorbito le lezioni del mitico Edward Steichen.

Richard Avedon può contare una carriera lunga 60 anni, durante i quali ha ottenuto numerosi premi e per i quali è stato indicato da molti come il "re dei fotografi di moda". Avedon l’ha affrontata con uno stile senza precedenti. Per la prima volta l’approccio fotografico in una rivista di moda era fresco, anche divertente. Le immagini vivevano di una strana combinazione: erano costruite, ma allo stesso tempo mostravano un'aria di spontaneità mai vista prima.

I lettori delle riviste rimasero stupiti quando videro un modello sui pattini da Place de la Concorde, ma la rivoluzione totale venne compiuta quando Avedon ritrasse un’elegante Dorothy Horan (Dovima) con un abito Dior, assieme a degli elefanti. La dissonanza tra la pelle ruvida dei pachidermi e la squisita grazia del modello si rivelò una vera bomba. Come dissero in molti: “La fotografia di moda non sarebbe stata mai la stessa”.

Avedon aveva trasformato una disciplina statica e monotona in un genere vivo. Tutte le componenti del set (i capelli, il trucco, i vestiti, il corpo) diventavano uno spettacolo. Questo non deve sorprenderci: Avedon amava il teatro quasi quanto la fotografia (come Josef Koudelka). Tra l’altro Richard aveva prodotto molte delle copertine della rivista Theater Arts: la teatralità veniva trasferita al mondo della moda.

La moda di Avedon influenza anche il cinema. Nel 1957 esce nelle sale Funny Face (Cenerentola a Parigi), diretto da Stanley Donovan per la Paramount Pictures. Il lungometraggio era interpretato da Fred Astaire e Audrey Hepburn. Il personaggio di Astaire era liberamente ispirato alla figura del fotografo Richard Avedon, le cui foto appaiono nel film.

Come dicevamo, Avedon deve essere considerato anche (e soprattutto) come un grande ritrattista, probabilmente uno dei più grandi della storia della fotografia. Di fronte alla sua macchina fotografica di grande formato sono sfilate tutte le personalità famose del suo tempo. Essere fotografati da Avedon rappresentava una sorta di "certificato di celebrità".

I volti famosi rappresentano per il fotografo una lama a doppio taglio nei termini dell’immagine da produrre. Se ci si fida del personaggio preconfezionato, tutto può apparire facile; ma quando si cerca la profondità, probabilmente il soggetto erigerà una barriera. Avedon ha saputo attraversare le false ipocrisie, arrivando al nucleo della personalità.

Ingrid Bergman appare con un volto senza precedenti; ma il caso più evidente è il ritratto del 1957 che vede coinvolta Norma Jean Baker. Anche se il titolo dell’immagine recita "Marilyn Monroe, attrice" la donna che appare è stanca, spogliata dei successi di Hollywood, finalmente bambina.

Avedon era anche un provocatore e usava le sue qualità per ottenere dai soggetti il lato intimo della loro personalità. Un esempio? Il servizio che vide coinvolti i duchi di Windsor. Erano arrivati al Waldorf Astoria accompagnati dalla regalità maestosa della loro immagine. Dopo un'ora di lavoro, Richard non era riuscito a eliminare la loro impassibilità aristocratica. Il fotografo si è messo a recitare, arrivando a persino a mentire. “Il taxi che vi è venuto a prendere”, disse, “ha investito un cane, che è deceduto”. L’artista raggiunse il suo scopo, anche se per una via non ortodossa.

Avedon è ricordato anche per una serie di ritratti scattati a 752 persone tra il 1979 e il 1984. Si tratta della famosa serie del West americano. Richard aveva fotografato modelle, gli artisti più influenti, i politici più potenti; decide così di cambiare i suoi orizzonti, concentrandosi sulla gente comune. Per portare avanti il suo progetto, il nostro visitò diversi stati degli Stati Uniti occidentali, per incontrare i minatori, le persone senza fissa dimora, le casalinghe, i prigionieri, i predicatori itineranti. Avedon rimane fedele al suo stile di lavoro: uno sfondo bianco, la fotocamera di grande formato e la “ferocia” del suo sguardo. Richard non cerca la coerenza con i soggetti, ma li affronta con la stessa furia creativa utilizzata con George Bush Sr. e Henry Kissinger.

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