[VOGLIA DI ALBUM]
Per il terzo anno consecutivo parleremo di Jacques-Henri Lartigue, nato il 13 giugno 1894, a Courbevoie, in Francia. Lo facciamo spinti da un libro, “Lartigue, l’album di una vita 1894-1986” (Editore Johan & Levi; 8 novembre 2012). Già, perché, come molti appassionati, il nostro costruiva degli album per documentare fatti e persone durante tutta la sua esistenza. Ecco cosa scrive nel dicembre 1945: «Le mie fotografie! I miei grandi album da completare e riempire! Da impaginare! E tutti questi negativi da riquadrare al meglio, da ingrandire e mostrare con amore come ramoscelli di un nido in costruzione. E questo diario sciocco, stupido, inutile e appassionato, al punto di farmi sacrificare per lui non solo i migliori libri che potrei leggere, ma anche tutte le interessanti mostre che stanno aprendo in questa Parigi che si risveglia».
Abbiamo trovato questa riflessione anche nella quarta di copertina del catalogo della mostra di Ferdinando Scianna a Palazzo Reale.
[Le fotografie]
Due pagine del libro “Lartigue, l’album di una vita 1894-1986”.
Jacques-Henri Lartigue, Florette 1943
[Lartigue, la fotografia personale]
Si pente Lartigue? Rimpiange il tempo perso nel comporre i suoi libroni? Crediamo di no, vista la cura dedicata a loro tutte le volte che era necessario. Ne sono una prova gli appunti che troviamo proprio nel libro citato. Si segnava i tagli, le dimensioni delle immagini, le modalità di stampa. Ci sembra più giusto affermare come lui sia stato un genio della fotografia amatoriale, capace di catalogare tutta la meraviglia che si parava di fronte a lui. Ecco, lui è stato un interprete della modernità, più di ogni altro coetaneo. Nelle sue immagini, oltre alle belle donne e alla società agiata che poteva frequentare, troviamo tanta velocità, molto movimento; quasi che lì si incentrasse la sua curiosità, il desiderio che possedeva di documentare.
Già a sei anni diceva agli amici: «Come si possono fissare le nostre corse in bicicletta? Le nostre gare di salto? La gare sul fiume con le nostre barchette?» Il Natale successivo il padre gli regalò un apparecchio Block-Notes, con il quale Lartigue poté fotografare attività e stramberie della famiglia. […] La fotografia era per lui qualcosa di squisitamente personale, che portava avanti per una soddisfazione tutta propria.
(Fonte Beaumont Newhall – Storia della Fotografia).
[Lartigue, una felicità condivisa]
“Jacques Henri Lartigue, l'invenzione della felicità”, questo era il titolo della mostra che abbiamo potuto ammirare a Venezia e Milano durante i due anni scorsi. Noi un po’ contestavamo quest’affermazione: non per spirito di contraddizione, ma considerando i fatti sotto una prospettiva diversa. Ecco cosa scrivevamo nel 2020.
«Lartigue aveva due diari, uno scritto e uno fotografico. Fin dall’infanzia annotava di continuo ogni evento della sua vita, nel tentativo di consolidare gli attimi felici, provando quasi a fermarli. Già questo nasconde un po’ di malinconia, come se la contentezza debba essere un evento obbligato, povero di spontaneità, razionale addirittura.
Certo, lui era nato in una facoltosa famiglia francese. Trascorse un’infanzia tranquilla da bambino spensierato, il che si proietterà in tutta la sua vita longeva. Lusso e belle donne, infatti, costituiranno il tema portante delle sue fotografie. Per tale ragione è stato chiamato il “fotografo della felicità”».
«Ma questa è una lettura dall’esterno, con un occhio d’invidia. Si può essere felici cancellando dai diari tutti i momenti tristi? Lartigue lo fece. Il risultato non è forse una narrazione irreale? Probabilmente. Anche lui, però, visse degli attimi difficili: l’epidemia della spagnola (ne sappiamo qualcosa anche noi, oggi), la morte della sua seconda figlia o i ripetuti divorzi; eppure tutto ciò è stato cancellato dalle raccolte fotografiche nel tentativo di ricostruire, a ritroso per giunta, un’esistenza perfetta, senza ombre. Ecco emergere allora una malinconia dolciastra, edulcorata dall’eccesso, eppure sempre presente; e crediamo che anche questo faccia parte della fotografie di Lartigue. Se ci piacciono tanto (perché è così), in parte lo dobbiamo a una tristezza necessaria e obbligata. Ogni immagine che vediamo racchiude il ricordo di un tempo perso, non più afferrabile, irrimediabilmente passato nella polvere alzata da un’auto da corsa o dietro il sorriso di una donna ormai troppo bella»
.Quello della felicità è un argomento difficile, spinoso. Con Lartigue il discorso si complica ulteriormente, perché pare difficile, per uno del suo status sociale, non essere felice. Noi crediamo però che lui si sentisse a suo agio durante la ricerca dell’immagine, con la fotocamera tra le mani; sensazione replicata durante le scelte “editoriali” e compositive. Osservando il suo album di una vita, poi, troviamo tanta complicità nei suoi soggetti. Lartigue era riconosciuto come bravo fotografo e le persone posavano volentieri per lui: mogli o amici che fossero. Del resto, per comporre un album occorre che qualcuno lo guardi volentieri. Il desiderio della “fotografia incollata” parte da lì: condividere con altri momenti di felicità, magari costruiti insieme, in complicità. Sotto questo profilo, possiamo dire che il nostro sia stato felice; e da qui si comprendono le cancellazioni degli istanti brutti, perché difficili da rivivere con altri.
[Un altro album, un altro libro, un altro autore]
Lo "Scrapbook" è la riproduzione fedele dell’ album originale che Henri Cartier-Bresson aveva personalmente preparato per presentarlo al Moma di New York nel 1946.
Catturato nel 1940 dai tedeschi, Cartier-Bresson riesce a evadere dal campo e fa ritorno nel 1943, a Parigi, dove ne fotografa la liberazione. Nel frattempo il MoMA di New York supponendo che il grande autore fosse morto in guerra, decide di presentare una mostra “postuma” del suo lavoro. Al suo ritorno, affascinato dalla notizia della mostra, Cartier-Bresson sceglie le fotografie che vorrebbe esporre. Seleziona e stampa circa 300 immagini, molte delle quali mai pubblicate prima e nel 1946 parte per New York con le stampe in una valigia. Al suo arrivo compra un grosso album, uno scrapbook, appunto, dove incolla tutte le stampe prima di presentarle al MoMA.
La mostra viene inaugurata il 4 febbraio 1947.
Ecco un altro elemento che rafforza il nostro titolo. L’album con le foto incollate diventa il minimo sindacale di un racconto, del desiderio voluto e perseguito di narrare sensazioni e accadimenti.
["Visti e Scritti", Ferdinando Scianna, edizioni Cntrasto]
Ce ne rendiamo conto: stiamo forzando un po’ le cose. Il libro del fotografo siciliano è quasi un romanzo, perché tra le righe possiede la forza dello spirito narrativo. Le fotografie, però, rappresentano un valido aiuto, i contrafforti di un testo che decolla, facendoci guardare oltre, lontano.
[Torniamo a Lartigue]
Lartigue giunse alla notorietà negli anni ’60, relativamente tardi rispetto alla carriera, nata da quand'era un bambino prodigio. Un servizio su di lui venne pubblicato sulla rivista LIFE che dedicava molte pagine all’omicidio di J.F. Kennedy. La moglie ebbe modo di dire che un po’ di fortuna non guastava, avendo temuto che l’assassinio presidenziale avrebbe potuto far saltare i piani editoriali del magazine.
Noi crediamo che Lartigue sia stato realmente fortunato, inconsapevolmente; e che le sue fotografie vivano proprio di un entusiasmo incondizionato e vero: quello che deriva da tanti scatti alla scoperta di un mondo privato, gigantesco e opulento. Non traspare nessuna alterigia dagli scatti, solo il desiderio di raccontare.
Se di fortuna vogliamo parlare, però, questa va ricercata anche nel desiderio di costruire gli album che ha tramandato. Lì si è confrontato, migliorandosi nel tempo. Una voglia di album più che giustificata, quindi; e che potrebbe essere di molti.
Lartigue muore il 12 settembre del 1986 a Nizza, all’età di novantadue anni. Ci lascia un grande patrimonio d’immagini dell’epoca che ha vissuto.
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