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[CANTASTORIE E SCRITTORE]

Francesco Guccini non è un divo, non lo è mai stato; ma in molti hanno cantato le sue canzoni, brani che rappresentavano una generazione, forse anche un pensiero. No, non è una questione politica, anche perché il nostro ne ha sempre preso le distanze. Diciamo che un tempo era più facile riferirsi all’uomo, alle sue storie, a episodi emblematici e curiosi; anche perché si viveva l’era dei cantautori, che bene o male lì andavano a parare.

Francesco, poi, si è sempre manifestato con coerenza: non ha la patente e vive nella sua Pavana, un paese “su strada”: già in Toscana, ma ancora in odore di Emilia. Lì, dalla sua casa di montagna, ha scritto del tempo e delle stagioni, che quasi ne percepiamo gli odori.

Sì, nutriamo una simpatia antica per Guccini, quella dei conterranei, perché lì, noi e lui, abbiamo avuto i nonni, e anche i padri. Tra l’altro, parliamo lo stesso dialetto, quello per il quale lui ha scritto un vocabolario: una lingua antica, né toscana, né emiliana; più probabilmente pedemontana, per chi nell’antichità gettava lo sguardo verso San Giacomo di Compostela. Difficile cantare Guccini oggi, e poco probabile ne è l’ascolto via radio. Ci rimane la possibilità di leggere i suoi brani, cosa piacevole al di là del tempo passato. Nei versi, e nella parola scritta, emerge tutta la forza dell’autore pavanese, che è bello far rivivere anche senza chitarra.

«E correndo m’incontrò lungo le scale, Quasi nulla mi sembrò cambiato in lei, La tristezza poi ci avvolse come miele, Per il tempo scivolato su noi due, Il sole che calava già rosseggiava la città, Già nostra e ora straniera e incredibile e fredda, Come un istante "déjà vu", Ombra della gioventù, ci circondava la nebbia».

“Incontro”, LP “Radici”, 1972. Francesco Guccini.

[Le fotografie]

Francesco Guccini, 1994. Fotografia di Guido Harari.

Francesco Guccini nella sua casa. Pavana, 2008. Fotografia di Gianni Berengo Gardin.

Entrambe le immagini sono suggestive. Quella di Harari possiede il simbolismo della rotaia, da cui “La locomotiva”, un inno per Guccini. Forse, però, è meglio considerare il senso del tempo che la ferrovia suggerisce, compreso il suo battere: vicino alla beat generation.

Circa Gardin, eravamo con lui durante lo scatto che vediamo. La fotografia sarebbe poi finita nel libro “La Ferrovia Transappenninica, il viaggio, i territori, la gente”. Qui è bello il rapporto tra soggetto e contesto, popolato da oggetti che furono, con un immenso camino a fare da sfondo.

[Francesco Guccini, note biografiche]

Francesco Guccini nasce il 14 giugno 1940, a Modena, città con la quale non ha mai avuto un rapporto facile. Ha trascorso i primi anni di vita a Pavana, sull'Appennino pistoiese. La madre, Ester Prandi, fu costretta a rifugiarsi nella casa dei nonni paterni causa l'inizio del secondo conflitto mondiale e la conseguente partenza, come soldato, del padre Ferruccio.

Dopo la guerra Francesco Guccini torna a Modena e, finite le scuole, lavora come giornalista per la Gazzetta di Modena. Nel 1961 si trasferisce a Bologna, dove s’iscrive all'Università: completa gli esami, ma non si laurea.

Nel 1961 scrive la sua prima canzone ("L'antisociale"). In quegli anni si propone soprattutto come autore ("Auschwitz" per l'Equipe 84 e "Dio è morto" per i Nomadi, brano censurato dalla RAI, pur essendo stato trasmesso dalla radio Vaticana). Nel 1967 pubblica il suo primo disco, "Folk Beat n. 1", con brani considerati i suoi grandi classici come "Noi non ci saremo", "Statale 17" e "In morte di S.F. (Canzone per un'amica)".

Le tappe fondamentali della sua discografia sono "Radici" del 1972 (dove si ascolta il suo inno: "La locomotiva", ballata anarchica ispirata a una storia vera del 1893; e l’elegantissimo “Incontro”), "Via Paolo Fabbri 43" del 1976, "Fra la Via Emilia e il West" del 1984, "Signora Bovary" del 1987, e "Quello che non..." del 1990.

Guccini ama considerarsi un cantastorie. Nelle scuole viene studiato come un "poeta" e nel 1992 vince il Premio Librex-Guggenheim Eugenio Montale per la sezione "Versi in Musica".

Francesco Guccini è anche scrittore. Di lui ricordiamo: "Croniche Epafaniche", 1989 e "Vacca d'un cane", 1993. Nel 1997, insieme a Loriano Macchiavelli, si è cimentato nel giallo, con i romanzi "Macaronì" e "Un disco dei Platters" (1998). In mezzo a tutto questo, si trovano anche un curioso dizionario Italiano-Pavanese e la biografia "Un altro giorno è andato". Guccini ha inoltre recitato nel film "Radio Freccia", di Luciano Ligabue (1998, con Stefano Accorsi).

Nel terzo millennio, il suo impegno musicale inizia ad affievolirsi. Nel 2004 esce l'album "Ritratti". Per il successivo "L'ultima Thule" bisogna attendere addirittura il 2012. Dopo questo lavoro, decide di ritirarsi dalla carriera musicale per dedicarsi unicamente a quella di scrittore.

[Guido Harari, note biografiche]

Guido Harari nasce al Cairo (Egitto) nel 1952. Nei primi anni Settanta avvia la duplice professione di fotografo e di critico musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico, sino ad allora senza precedenti in Italia. Dagli anni Novanta il suo raggio d'azione contempla anche l'immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale. Dal 1994 sono membro dell'Agenzia Contrasto. Ha firmato copertine di dischi per Claudio Baglioni, Angelo Branduardi, Kate Bush, Vinicio Capossela, Paolo Conte, David Crosby, Pino Daniele, Bob Dylan, Ivano Fossati, BB King, Ute Lemper, Ligabue, Gianna Nannini, Michael Nyman, Luciano Pavarotti, PFM, Lou Reed, Vasco Rossi, Simple Minds e Frank Zappa, fotografato in chiave semiseria per una storica copertina de «L’Uomo Vogue». È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André. Ha al suo attivo numerose mostre e libri illustrati tra cui Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori, 2001), Strange Angels (2003), The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori, 2004), Vasco! (Edel, 2006), Wall Of Sound (2007), Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli, 2007).

Di lui ha detto Lou Reed: "Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido”. “So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento”. “Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi”. “Considero Guido un amico, non un semplice fotografo".

[Il fotografo, Gianni Berengo Gardin]

Gianni Berengo Gardin inizia a occuparsi di fotografia nel 1954. Nel 1965 lavora per Il Mondo di Mario Pannunzio. Negli anni a venire collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali come Domus, Epoca, Le Figaro, L’Espresso, Time, Stern. Procter & Gamble e Olivetti più volte hanno usato le sue foto per promuovere la loro immagine. Berengo Gardin ha esposto le sue foto in centinaia di mostre in diverse parti del mondo: il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, il Mois de la Photo di Parigi. Nel 1991 una sua importante retrospettiva è stata ospitata dal Museo dell’Elysée a Losanna e nel 1994 le sue foto sono state incluse nella mostra dedicata all’Arte Italiana al Guggenheim Museum di New York. Ad Arles, durante gli Incontri Internazionali di Fotografia, ha ricevuto l’Oskar Barnack - Camera Group Award. Nel 2008 Gianni Berengo Gardin è stato premiato con un Lucie Award alla carriera. Lunedì 11 Maggio 2009 l’Università degli Studi di Milano gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in Storia e Critica dell’Arte. Erano cinquant’anni che la Statale non conferiva un tale riconoscimento. L’ultimo era stato Eugenio Montale.

Ha pubblicato oltre 250 libri fotografici.

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