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[IGOR STRAVINSKIJ, DUE RITRATTI]

Non è la prima volta che incontriamo Igor Stravinskij per via di un ritratto che lo riguardi. In altre occasioni abbiamo pubblicato il più famoso, quello a firma di Arnold Newman. Il compositore russo ha avuto la fortuna (o il merito?) di farsi fotografare da altri due ritrattisti celebri: Richard Avedon e Irving Penn. Di certo non gli mancava la fama, quella del compositore innovativo, travolgente, capace di scatenare le critiche più accese con la prima de La Sagra della Primavera (1913). Quel giorno, però, accese il cuore di una donna moderna quanto lui, radicale nelle sue decisioni, capace di liberare la moda femminile dalle costrizioni del secolo precedente: Coco Chanel. Tra Igor e Coco nacque un amore, sfociato in una relazione intensa, ma breve; impossibile, potremmo dire. I due proseguiranno per le rispettive strade, Igor andando in America, dove avrebbe composto la famosa Sinfonia in Do, lasciando in dote oltre 100 lavori e cambiando il volto alla musica.

[Le fotografie]

Igor Stravinskij, compositore. New York 1969. Ph. Richard Avedon. (Pag 108 del libro Performance)

Igor Stravinskij New York, 22 aprile 1948. Ph. Irving Penn.

[Igor Stravinskij, la vita]

Igor Fyodorovich Stravinskij è nato nella località turistica di Oranienbaum, in Russia, il 17 giugno 1882. È cresciuto a San Pietroburgo con suo padre, un bassista di nome Fyodor, e sua madre, Anna, una pianista di talento.

Non volendo che il figlio seguisse le loro orme, conseguito il diploma alla scuola secondaria, i genitori lo convinsero a studiare legge. Tuttavia, dopo essersi iscritto all'Università di San Pietroburgo, Stravinskij strinse un’amicizia con un compagno di classe di nome Vladimir Rimsky-Korsakov, il cui padre, Nikolai, era un celebre compositore e Stravinskij divenne presto un suo allievo. Gli era stata concessa la libertà di intraprendere la carriera artistica alla morte di suo padre nel 1902.

Nel 1906 Stravinskij sposò Catherine Nossenko, dalla quale avrebbe avuto quattro figli. Nel 1909, il fondatore dei Balletti Russi, Sergei Diaghilev, invitò Stravinskij ad orchestrare un paio di opere di Chopin per il suo balletto Les Sylphides. Ne seguì la commissione dell’Uccello di Fuoco, una collaborazione con il coreografo Michel Fokine. Il balletto debuttò a Parigi nel giugno 1910 e aprì a Stravinskij le porte della notorietà. La fama del compositore venne rafforzata con la produzione di Petrouchka, nel 1911, e in particolare con La sagra della Primavera, che provocò una rivolta alla sua prima del 1913, venendo però acclamata dalle avanguardie culturali.

Lo scoppio della prima guerra mondiale costrinse Stravinskij a fuggire dalla Russia con la sua famiglia e a stabilirsi in Svizzera, con tutte le difficoltà economiche del caso. Ha affrontato la nostalgia per la lontananza da casa usando il folklore russo come ispirazione per il suo lavoro, mentre altre composizioni di questo periodo hanno mostrato un'influenza jazz. Due delle sue opere più note del suo periodo svizzero sono Renard, composto tra il 1915 e il 1916, e Les Noces, che iniziò nel 1914 ma non completò fino al 1923.

Nel 1920 Stravinskij trasferì la sua famiglia in Francia, dove vissero per i due decenni successivi. Durante quel periodo, le sue opere degne di nota includevano un'opera comica, Mavra (1922), un'opera-oratorio Oedipus Rex (1927) e il balletto "bianco" Apollon Musagète (1928). Ha continuato la sua prolifica produzione negli anni '30, componendo opere come Sinfonia dei Salmi, Persefone, Jeu de Cartes e Concerto in mi bemolle.

Dopo la morte di sua moglie e di una figlia per tubercolosi, Stravinskij si trasferì negli Stati Uniti nel 1939. Tenne una serie di conferenze all'Università di Harvard e nel 1940 sposò l'artista e designer Vera de Bossett. Quell'anno Stravinskij completò anche una delle sue opere più importanti, Sinfonia in Do.

Stravinskij fu quasi arrestato per il suo arrangiamento dell'inno nazionale durante un'esibizione a Boston nel 1944, ma per il resto trovò una gradita accoglienza nel suo nuovo paese. Divenne cittadino statunitense nel 1945 dopo essersi stabilito a Los Angeles e ottenne altri successi con opere come The Rake's Progress (1951) e Agon (1957).

Dopo un periodo di peggioramento della sua salute, Stravinskij morì nel suo appartamento di Manhattan il 6 aprile 1971. La sua morte rattristò coloro che ricordavano i suoi immensi lavori e l’influenza che esercitò nel suo campo. Il direttore musicale della Filarmonica di New York, Pierre Boulez, disse: «La musica per sopravvivere e per entrare nella nostra era contemporanea doveva trovare qualcosa di radicalmente nuovo, anche estraneo alla tradizione occidentale. La gloria di Stravinskij appartiene a questa generazione estremamente dotata essendo uno dei più creativi di tutti».

[Richard Avedon, un libro]

PERFORMANCE, di Richard Avedon. Editore: De Agostini, 2008

«Ci esibiamo tutti, è ciò che facciamo l'uno per l'altro continuamente o deliberatamente o involontariamente; è un modo di raccontare noi stessi nella speranza d’essere riconosciuti come ciò che vorremmo essere».

Richard Avedon, 1974

C’è tanta energia, nel libro che vediamo; una scarica elettrica che passa tra un grande fotografo e l’artista che ha di fronte. Si sono incontrati e condividono uno scopo. Del resto come dice John Lahr nel libro: "Avedon è stato rapito dall'articolazione dell'energia dei grandi artisti".

Le stelle e gli artisti preminenti delle arti dello spettacolo della seconda metà del XX secolo hanno offerto i loro più grandi doni - e, a volte, le loro vite interiori - a Richard Avedon. Più di 200 sono i ritratti di Performance, molti dei quali mai visti prima, se non raramente. Naturalmente, spiccano le grandi stelle, tipo: Hepburn e Chaplin, Monroe e Garland, Brando e Sinatra; ma poi troviamo attori e commedianti, pop star e dive, musicisti e ballerini, artisti di tutte le discipline, le cui vite pubbliche risultano essere state essenzialmente delle rappresentazioni.

Avedon esplora tutte le celebrità nella loro intimità, da padrone. Anche qui, in Performance, riconosciamo la forza del fotografo americano, quella del potere: della volontà personale su quell’incontro, in quell’energia. Avedon è il maestro del ritratto.

[Richard Avedon, note e riflessioni]

Richard Avedon è nato a New York City, figlio d’immigrati ebrei russi che possedevano un grande magazzino a Manhattan. In gioventù ha messo in mostra un’attitudine letteraria forte. Determinanti per lui sono stati gli studi con Alexey Brodovitch, presso il Laboratorio di Progettazione della New School for Social Research. La New York del tempo offriva tutto ciò che un giovane ambizioso potesse desiderare: teatro, cinema, musica, danza.

A noi piace pensare che Richard abbia vissuto la fotografia con intensità e profonda dedizione, sin dagli esordi: assorbendo tutto quanto potesse dalle lezioni di chi l’ha preceduto. E’ per questo che lui ha esplorato la fotografia in molte delle sue possibilità, anche tecniche. Determinanti, a tale proposito, sono stati i continui passaggi da una medio formato al banco ottico.

Assiduità e dedizione vogliono anche dire consapevolezza, considerazione di sé; e lì forse nasce quel potere forte che gli riconosciamo, esercitato di continuo sui propri soggetti.

Molti sono stati gli elementi ispiratori per Avedon. Tra questi ricordiamo Martin Munkacsi, il pioniere della fotografia di moda in esterni. Il nostro però ha unito sapientemente l'esuberanza della fotografia outdoor con la tradizione statica dello studio, dimostrando così di aver assorbito le lezioni del mitico Edward Steichen.

Richard Avedon può contare una carriera lunga 60 anni, durante i quali ha ottenuto numerosi premi e per i quali è stato indicato da molti come il "re dei fotografi di moda". Avedon l’ha affrontata con uno stile senza precedenti. Per la prima volta l’approccio fotografico in una rivista di moda era fresco, anche divertente. Le immagini vivevano di una strana combinazione: erano costruite, ma allo stesso tempo mostravano un'aria di spontaneità mai vista prima.

I lettori delle riviste rimasero stupiti quando videro un modello sui pattini da Place de la Concorde, ma la rivoluzione totale venne compiuta quando Avedon ritrasse un’elegante Dorothy Horan (Dovima) con un abito Dior, assieme a degli elefanti. La dissonanza tra la pelle ruvida dei pachidermi e la squisita grazia del modello si rivelò una vera bomba. Come dissero in molti: “La fotografia di moda non sarebbe stata mai la stessa”.

Avedon aveva trasformato una disciplina statica e monotona in un genere vivo. Tutte le componenti del set (i capelli, il trucco, i vestiti, il corpo) diventavano uno spettacolo. Questo non deve sorprenderci: Avedon amava il teatro quasi quanto la fotografia (come Josef Koudelka). Tra l’altro Richard aveva prodotto molte delle copertine della rivista Theater Arts: la teatralità veniva trasferita al mondo della moda.

La moda di Avedon influenza anche il cinema. Nel 1957 esce nelle sale Funny Face (Cenerentola a Parigi), diretto da Stanley Donovan per la Paramount Pictures. Il lungometraggio era interpretato da Fred Astaire e Audrey Hepburn. Il personaggio di Astaire era liberamente ispirato alla figura del fotografo Richard Avedon, le cui foto appaiono nel film.

Come dicevamo, Avedon deve essere considerato anche (e soprattutto) come un grande ritrattista, probabilmente uno dei più grandi della storia della fotografia. Di fronte alla sua macchina fotografica di grande formato sono sfilate tutte le personalità famose del suo tempo. Essere fotografati da Avedon rappresentava una sorta di "certificato di celebrità".

I volti famosi rappresentano per il fotografo una lama a doppio taglio nei termini dell’immagine da produrre. Se ci si fida del personaggio preconfezionato, tutto può apparire facile; ma quando si cerca la profondità, probabilmente il soggetto erigerà una barriera. Avedon ha saputo attraversare le false ipocrisie, arrivando al nucleo della personalità.

Ingrid Bergman appare con un volto senza precedenti; ma il caso più evidente è il ritratto del 1957 che vede coinvolta Norma Jean Baker. Anche se il titolo dell’immagine recita "Marilyn Monroe, attrice" la donna che appare è stanca, spogliata dei successi di Hollywood, finalmente bambina.

Avedon era anche un provocatore e usava le sue qualità per ottenere dai soggetti il lato intimo della loro personalità. Un esempio? Il servizio che vide coinvolti i duchi di Windsor. Erano arrivati al Waldorf Astoria accompagnati dalla regalità maestosa della loro immagine. Dopo un'ora di lavoro, Richard non era riuscito a eliminare la loro impassibilità aristocratica. Il fotografo si è messo a recitare, arrivando a persino a mentire. “Il taxi che vi è venuto a prendere”, disse, “ha investito un cane, che è deceduto”. L’artista raggiunse il suo scopo, anche se per una via non ortodossa.

Avedon è ricordato anche per una serie di ritratti scattati a 752 persone tra il 1979 e il 1984. Si tratta della famosa serie del West americano. Richard aveva fotografato modelle, gli artisti più influenti, i politici più potenti; decide così di cambiare i suoi orizzonti, concentrandosi sulla gente comune. Per portare avanti il suo progetto, il nostro visitò diversi stati degli Stati Uniti occidentali, per incontrare i minatori, le persone senza fissa dimora, le casalinghe, i prigionieri, i predicatori itineranti.

Avedon rimane fedele al suo stile di lavoro: uno sfondo bianco, la fotocamera di grande formato e la “ferocia” del suo sguardo. Richard non cerca la coerenza con i soggetti, ma li affronta con la stessa furia creativa utilizzata con George Bush Sr. e Henry Kissinger.

[Irving Penn e i ritratti]

Durante la collaborazione con Vogue, Penn ha ritratto numerose celebrità: artisti, scrittori e altre personalità rilevanti del tempo. Possiamo dire che ci ha consegnato uno spaccato della storia culturale del ventesimo secolo. Durante la prima campagna, vasta per portata, ha allestito ambientazioni insolite, dove i soggetti erano inseriti dentro un angolo stretto, formato da due pareti (Penn’s Corner). In altre occasioni, i personaggi si sarebbero seduti su un basamento coperto da un tappeto certo non ben conservato.

Quest’atteggiamento indica il desiderio di Penn nel creare una frattura di spazio e tempo con la realtà. La persona ritratta si sarebbe trovata isolata, sola; ma libera di manifestarsi in una circostanza insolita, forse anche fastidiosa. Il risultato desta sorpresa, meraviglia. Salvator Dalì (New York, 1947) è seduto dentro il suo angolo. Manifesta un atteggiamento sfidante, accentuato dalle mani appoggiate sulle gambe, quasi per alzarsi. Lo sguardo è incuriosito e minaccioso al tempo stesso. Igor Stravinsky (New York, 1948) si colloca al vertice dell’angolo formato dalle pareti. Poggia il gomito sinistro al muro e porta la mano all’orecchio, come per ascoltare. Truman Capote (New York, 1948) appare sconsolato, come prigioniero dell’istante. E’ seduto e ha una sigaretta tra le dita. Spencer Tracy (New York, 1948) si trova a suo agio nell’angolo. Pare scherzare. Con la mano al mento si lascia sfuggire un leggero sorriso. Marcel Duchamp (New York, 1948) gestisce la sua posa alla pari: non manifesta né ansie, tantomeno timori.

Penn ha sempre evitato sfondi che potessero distrarre l’attenzione dal soggetto. Lui cercava l’essenza della persona che fotografava. Soleva dire: “Il viso umano è come la facciata di un palazzo; bisogna entrare, scavare, scoprire cosa c'è dietro”.

“Le dodici modelle più fotografate” (New York, 1947) costituiscono l’elemento di congiunzione tra il ritratto e la moda. Tutte assumono una posa “da dipinto”, ma gli elementi di contorno non cambiano. L’ambientazione dello scatto per Penn non ha alcuna importanza.

Per i ritratti classici (1948 – 62), lui ricorre a tagli decisi, con l’inquadratura che spesso termina sopra la linea degli occhi. In molte pose, si riesce a scorgere una figura geometrica triangolare, come anche in alcune fotografie di moda.

[Irving Penn, la vita]

Nato nel 1917 a Plainfield, nel New Jersey, da genitori immigrati, fratello maggiore del regista Arthur, Penn ha frequentato la Philadelphia Museum School of Industrial Arts dal 1934 al 1938 e ha studiato con Alexey Brodovitch nel suo laboratorio di design. Emigrato russo che aveva lavorato a Parigi negli anni '20, Brodovitch ha applicato i principi dell'arte moderna e del design in vari campi: riviste, mostre, architettura e fotografia.

Dopo un po' di tempo a New York come assistente di Brodovitch all'Harper's Bazaar e vari lavori come art director, Penn andò in Messico per dipingere nel 1941, viaggiando attraverso il sud america e scattando fotografie lungo la strada. Alla fine fu deluso dai suoi dipinti e li distrusse prima di tornare a New York alla fine dell'anno successivo. Nel 1943, il nuovo art director di Vogue, Alexander Liberman, assunse Penn come suo associato per preparare il layout e suggerire idee per le copertine ai fotografi della rivista. Liberman, un altro emigrato russo che aveva lavorato a Parigi, guardò i provini a contatto di Penn dei suoi ultimi viaggi, riconoscendo "un occhio che sapeva cosa voleva vedere". Ha incoraggiato Penn a iniziare a scattare le fotografie che avrebbe immaginato, avviando una lunga e fruttuosa carriera, nonché una collaborazione che avrebbe trasformato la fotografia moderna.

Dopo la seconda guerra mondiale, quando Penn divenne rapidamente famoso per il suo stile sorprendente nella natura morta e nella ritrattistica, Liberman lo mandò in giro per il mondo per incarichi di ritratto e moda. Queste sono state esperienze formative, che hanno confermato la preferenza di Penn per la fotografia nell’ambiente controllato di uno studio, nel quale poteva tagliare tutto ciò che non era essenziale per le sue composizioni. Al di fuori di questi incarichi, Penn intraprese un grande progetto personale: iniziò a fotografare in studio nudi opulenti a distanza ravvicinata, sperimentandone la stampa per "rompere la lucentezza dell'immagine". Era un nuovo approccio alla fotografia che derivava da una profonda riflessione su precedenti modelli storici dell'arte. Le immagini furono considerate troppo provocatorie e non mostrate per decenni.

Nel 1950, Penn venne inviato a Parigi da Vogue per fotografare le collezioni di alta moda. Ebbe modo di lavorare in uno studio con una vecchia tenda teatrale come sfondo. Nell’occasione, la sua modella era Lisa Fonssagrives, che aveva incontrato per la prima volta nel 1947. Nata in Svezia, e ballerina di formazione, era tra le più ricercate del tempo. Penn in seguito ebbe modo di dire: "Quando Lisa entrò e la vidi, il mio cuore batteva forte”. Si sposarono a Londra nel settembre 1950. Durante questo periodo, Penn lavorò anche a un progetto ispirato da una tradizione di stampe antiche, fotografando i "Piccoli mestieri", quelli che appartenevano a un mondo che stava scomparendo.

I viaggi di Penn per Vogue incrementarono tra il 1964 e il 1971, portandolo in Giappone, Creta, Spagna, Dahomey, Nepal, Camerun, Nuova Guinea e Marocco. Durante questi, Penn era sempre più libero di concentrarsi su ciò che realmente lo interessava: realizzare ritratti di persone alla luce naturale. Iniziò adattando degli spazi occasionali, come un garage o un fienile; e notò il ruolo cruciale di un ambiente neutro per incoraggiare l’ingaggio col soggetto al quale era interessato. Alla fine, costruì uno studio tenda smontabile e trasportabile da un luogo all'altro.

Il lavoro di Penn inizialmente trovò uno sbocco ideale sulle pagine di Vogue. Tuttavia, nei primi anni '50, gli editori iniziarono a ritenere che le sue fotografie fossero troppo severe per la rivista. I suoi incarichi si ridussero e lui si rivolse alla pubblicità. Penn accolse con favore le sfide che questo nuovo campo gli offriva, in particolare nelle aree dello still life. Sperimentò delle luci stroboscopiche per produrre immagini dinamiche, le stesse che hanno rivoluzionato l'uso della fotografia in pubblicità.

All'inizio degli anni '60, nelle riviste vi fu un calo della qualità nelle riproduzioni offset. Penn rimase deluso dal modo in cui le sue fotografie apparivano sulle pagine, commentando che aveva persino evitato di guardarle, perché "facevano troppo male". La soluzione a questa situazione fu quella di tentare il rilancio delle precedenti tecniche di stampa. Ha studiato metodi del XIX secolo, proseguendo con le sue indagini fino a quando non perfezionò un complesso processo di stampa su platino e metalli di palladio, poggiando i negativi per la stampa a contatto su carta per artisti, sensibilizzata a mano.

All'inizio degli anni '70, Penn ha chiuso il suo studio di Manhattan e si è immerso nella stampa al platino in un laboratorio costruito nella fattoria di famiglia a Long Island. Ciò portò a tre serie principali concepite per il platino: Cigarettes (1972, presentato al The Museum of Modern Art nel 1975), Street Material (1975-1976, mostrato al Metropolitan Museum of Art nel 1977) e Archeology (1979-1980, esposto alla Marlborough Gallery nel 1982). Come le sue precedenti serie Nudes, quest'opera si discosta radicalmente dagli usi consueti della fotografia.

Nel 1983, Penn ha riaperto uno studio in città, riprendendo un fitto programma di lavori commerciali. L'anno seguente, gli è stata dedicata una retrospettiva curata da John Szarkowski al The Museum of Modern Art, poi andata in tournée a livello internazionale fino al 1989.

Dopo la retrospettiva, Penn ha ripreso a dipingere e disegnare come una ricerca creativa, incorporando persino la stampa al platino nella sua pratica. Ha anche trovato la libertà creativa attraverso una corroborante collaborazione a distanza con la designer giapponese Issey Miyake, che ha inviato i suoi progetti dinamici e scultorei a New York affinché Penn li interpretasse fotograficamente.

La creatività di Penn esplose negli ultimi decenni della sua vita. I suoi ritratti innovativi, le fotografie di nature morte, moda e bellezza continuarono ad apparire regolarmente su Vogue. Lo studio era impegnato da riviste, pubblicità e lavori personali, nonché da progetti di stampa e mostre. Penn ha abbracciato con entusiasmo nuove idee, costruendo macchine fotografiche per fotografare detriti sul marciapiede (bello il progetto Cigarettes del 1972). Anche i progetti di libri diventarono una priorità e Penn ha prestato attenzione alla loro produzione: dalla grafica alla qualità della stampa. Dopo la morte di Lisa nel 1992, cercò conforto nel suo lavoro. Dedicò molto tempo alla pittura, prendendo in mano i pennelli quasi tutte le sere dopo il lavoro e nei fine settimana. Nel 2009, Penn è morto a New York, all'età di 92 anni.

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