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FOTOGRAFIA DA LEGGERE …

Consueto appuntamento del lunedì con la fotografia da leggere. Questa volta incontriamo un romanzo, dove la fotografia diventa quasi una voce fuori campo, che conferma, suggerisce, fungendo da contrappunto alle riflessioni di otto figli, invitati dal padre a festeggiare il suo ottantesimo compleanno.

Il libro è “Camera Oscura”, di Günter Grass (Giulio Einaudi Editore, 2009).

pLa fotografia, almeno qui, è trattata per come noi la consideriamo: un elemento oggettivo e significante, che vive anche nel tempo del cassetto, sempre disponibile a farci commuovere, gioire, sorprendere.

Nelle due fotografie a corredo, la prima riguarda la nostra Box Camera, acquistata, per pochi soldi, in un mercatino rionale. Non l’abbiamo mai usata, ma nel maneggiarla percepiamo il peso delle storie raccontate, finite forse in qualche scatola che ancora esiste. La domanda che scaturisce, poi, è sempre quella: la fotografia può avvicinare la felicità? Probabilmente, sì: già nel gesto, all’inizio della ricerca, quando si vuole raccontare. Tutto sta a comprenderne il senso, con responsabilità. Quella stampa che esce dal cassetto non rappresenta un elisir, tantomeno un linimento; può far sorgere quel brivido che alle volte è difficile afferrare, ma che almeno offre un senso alla stessa esistenza.

Prima di parlare del libro, ci concentriamo sulla fotocamera che compare in copertina. Del resto, l’Agfa Box ha fornito elementi importanti per lo sviluppo della narrazione.

Agfa Box, la fotocamera

Vista frontalmente, l’Agfa Box ricorda vagamente un volto. I due “occhi” in alto sono gli obiettivi dei due mirini, destro e sinistro, rispettivamente per la visione verticale e per la visione orizzontale. Il cerchio sotto invece è l’obiettivo vero e proprio, con lente a menisco, e con otturatore centrale. I comandi sono tutti a sinistra di chi guarda, ma sono realmente pochi. La fotocamera non ha niente di trascendentale. La si potrebbe definire come una punta e scatta. L’unica regolazione riguarda solo la scelta dei due diaframmi disponibili. Per l’utilizzo, l’apparecchio va tenuto all’altezza della cintura, mentre si traguarda attraverso i mirini.

Agfa Box B-2, il nostro esemplare

Agfa Box B-2 è una fotocamera box di medio formato, prodotta da Agfa Kamerawerk AG, Monaco, Germania tra il 1937 e il 1938. Usava pellicola 120 e produceva 8 fotogrammi 6X9. La lente era a menisco, f/11 di apertura; la messa a fuoco fissa. L’otturatore (circolare) scattava a 1/60 +B.

Le fotocamere box negli anni '30 erano robuste, economiche e facili da usare. Le fotocamere hanno preso il nome dalla loro forma rigida e squadrata, il più delle volte rettangolare ma a volte un cubo. Spesso avevano una messa a fuoco fissa, un'apertura fissa dell'obiettivo e velocità di scatto limitate. Hanno dato al principiante l'opportunità di apprendere le basi della fotografia come la composizione e la scelta del soggetto, senza troppa enfasi su dettagli tecnici complicati. Il problema più comune con queste fotocamere box Agfa risiedeva nella difficoltà nel caricare la pellicola. Era difficile evitare che la luce colpisse la pellicola e provocasse appannamento sui bordi della stampa. Nonostante questo inconveniente, le fotocamere box erano sorprendentemente facili da usare per ritratti, scatti d'azione, paesaggi.

Il libro, pagina Einaudi Editore

Nell’autunno del 1959, alla Fiera del libro di Francoforte un giovane autore di nome Günter Grass presentò un romanzo che ebbe straordinaria risonanza e per molti versi segnò un nuovo inizio della letteratura tedesca: Il tamburo di latta. La Germania occidentale pareva finalmente essersi scrollata da quella sorta di torpore del pensiero che aveva dominato i primi lustri post-bellici, intenzionata a interrogarsi senza remore sul più recente passato, a mettere in discussione certezze politiche, sociali e culturali acquisite. E di questo risveglio Grass fu uno dei protagonisti. Avendo ormai raggiunto un’età venerabile, lo scrittore ritiene che sia giunto il momento di ripercorrere quanto è accaduto in questo lungo mezzo secolo. Ma pensa di dare la parola a figli e figlie, «in numero di quattro, cinque, sei, otto», affinché siano loro a raccontare e raccontarsi, a mettere a confronto le loro esperienze, a dire finalmente cosa ha significato nascere, crescere e vivere accanto a un padre tanto famoso, certamente poco autoritario ma anche poco propenso a giocare con loro, e da ultimo anche un po’ ondivago a livello sentimentale.

Dopo qualche comprensibile esitazione e con una certa diffidenza, alla fine accettano perché sono davvero molte le cose da dire, confessare, talvolta rinfacciare, infiniti i motivi per polemizzare, rimpiangere, scherzare: matrimoni che progressivamente si sfaldano, nuovi compagni e nuove compagne che entrano e escono dalle vite dei genitori, case che vengono adattate alle mutate situazioni sentimentali, romanzi che premono per essere scritti, un mondo che cambia radicalmente; e all’interno di questa cornice, con un genitore che forse vorrebbe esserci ma non sempre c’è, le loro maturazioni, inquietudini, aspirazioni. In questa polifonia di voci straordinariamente ricca, a fare da raccordo è Maria Rama, una fotografa amica di vecchia data dello scrittore, chiamata anche «DàiscattaMariechen», che con la sua Agfa-Box del 1932, segue passo passo la vita dei ragazzi. Che di lei si fidano, perché quella semplice e un po’ sgangherata macchina fotografica, possiede una magica prerogativa: nella camera oscura, al momento della stampa, oltre al soggetto, mostra anche il passato, il futuro e i desideri di ognuno di loro.

Il libro, un estratto

Allora, di Mariechen parlo io. È cominciata come una favola, più o meno così: c’era una volta una fotografa che da alcuni veniva chiamata la vecchia Marie, da Taddel a volte la vecia Marie, da me Mariechen. Fin dall’inizio ha fatto parte della nostra famiglia messa assieme a pezzi e bocconi. Mariechen era sempre presente, prima da noi in città, poi da voi in campagna, anche ora qui ora là durante le vacanze, perché – sì, proprio così – stava attaccata a papà come una piattola e probabilmente...

È quello che sto dicendo: fin dall’inizio, quando eravamo prima due, poi tre, poi quattro ci ha fotografati in posa o a sorpresa, se papà diceva: «Dai, scatta, Mariechen!».

Günter Grass, note biografiche

Günter Grass è nato il 16 ottobre1927 a Danzica-Langfuhr da genitori polacco-tedeschi. Dopo il servizio militare e la prigionia delle forze americane nel 1944-46, lavorò come bracciante agricolo e minatore. Studiò arte a Düsseldorf e Berlino. Nel triennio 1956-59 si guadagna da vivere come scultore, grafico e scrittore a Parigi, e successivamente a Berlino. Nel 1955 Grass divenne un membro del gruppo culturale Gruppe 47. La sua prima poesia fu pubblicata nel 1956 e la sua prima opera teatrale venne prodotta nel 1957. La svolta internazionale arrivò nel 1959 con il “Tamburo di latta”, panorama satirico della realtà tedesca della prima metà di questo secolo, che, con “Il gatto e il topo” e “Anni di cani”, formerà quella che viene chiamata la Trilogia di Danzica.

Negli anni '60 Grass divenne attivo in politica, partecipando a campagne elettorali per conto del partito socialdemocratico e di Willy Brandt. Si è occupato della responsabilità degli intellettuali in “Anestesia locale”e “Dal diario di una lumaca”.

Grass è stato presidente dell'Akademie der Künste a Berlino dal 1983 al 1986, attivo all'interno della casa editrice tedesca d'autore e PEN. Ha ricevuto numerosi premi, tra i quali Preis der Gruppe 47 1958, “Le meilleur livre étranger” 1962, il Premio Büchner 1965, il Premio Fontane 1968, Premio Internazionale Mondello 1977, Medaglia Alexander-Majakowski, Danzica 1979, il Premio Antonio Feltrinelli 1982, Großer Literaturpreis der Bayerischen Akademie 1994. Ha lauree honoris causa dal Kenyon College e dalle Università di Harvard, Poznan e Danzica. Ovviamente non bisogna dimenticare il Nobel del 1999.

Günter Grass è morto il 13 aprile 2015.

Le fotografie

L’Agfa Box B-2

La copertina del libro. “Camera Oscura”, di Günter Grass (Giulio Einaudi Editore, 2009).

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