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DUCHAMP, MAN RAY, BRESSON

Oggi celebriamo la nascita di Marcel Duchamp, ma nel titolo abbiamo abbinato i nomi di Man Ray e Henri Cartier Bresson. Di mezzo c’è la fotografia, è ovvio, e anche il surrealismo; ma la scelta è nata dall’invidia, dal desiderio di esserci in quella Parigi, a Montparnasse, e poi anche a New York. Come è accaduto a "Gil" Pender nel film “Midnight in Paris” con altri personaggi famosi, sarebbe stato bello incontrare Duchamp e Man Ray durante una partita a scacchi, ascoltarne i discorsi, meravigliarsi delle loro opere appena nate; e poi vedere Henri Cartier Bresson mentre ritrae i due nella Parigi del ’68, immortalandoli nell’istante decisivo. No, il sogno non si può avverare, per cui dobbiamo accontentarci dell’eredità lasciataci dai tre, talmente imponente che il nostro intervento odierno rischia di apparire addirittura irrilevante. Poco male, ubi maior …

Henri-Robert-Marcel Duchamp nacque il 28 luglio 1887 vicino a Blainville, in Francia. Nel 1904 si unì ai suoi fratelli artisti, Jacques Villon e Raymond Duchamp-Villon, a Parigi, dove studiò pittura all'Académie Julian fino al 1905. I primi lavori di Duchamp erano in stile post-impressionista. Espone per la prima volta nel 1909 al Salon des Indépendants e al Salon d'Automne di Parigi. I suoi dipinti del 1911 erano direttamente correlati al cubismo ma enfatizzavano le immagini successive di un unico corpo in movimento. Nel 1912 dipinge la versione definitiva di “Nudo che scende le scale”; questo fu mostrato al Salon de la Section d'Or di quello stesso anno e successivamente suscitò grandi polemiche all'Armory Show di New York nel 1913.

Le idee radicali e iconoclaste di Duchamp erano antecedenti alla fondazione del movimento Dada a Zurigo nel 1916. Nel 1913 aveva abbandonato la pittura e il disegno tradizionali per varie forme sperimentali, inclusi disegni meccanici, studi e annotazioni che sarebbero stati incorporati in un'opera importante, “La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche” (1915–23; noto anche come The Large Glass). Nel 1914 Duchamp introdusse i suoi ready-made - oggetti comuni, a volte alterati, presentati come opere d'arte - che ebbero un impatto rivoluzionario su molti pittori e scultori. Nel 1915 Duchamp si recò a New York, dove la sua cerchia comprendeva Katherine Dreier e Man Ray, con cui fondò la Société Anonyme nel 1920, così come Louise e Walter Arensberg, Francis Picabia e altre figure d'avanguardia.

Dopo aver giocato avidamente a scacchi per nove mesi a Buenos Aires, Duchamp tornò in Francia nell'estate del 1919 e si unì al gruppo Dada a Parigi. A New York nel 1920 realizza le sue prime costruzioni a motore e inventa Rrose Sélavy, il suo alter ego femminile. Duchamp tornò a Parigi nel 1923 e sembrava aver abbandonato l'arte per gli scacchi, ma in realtà continuò i suoi esperimenti artistici. Dalla metà degli anni '30 collabora con i surrealisti e partecipa alle loro mostre. Duchamp si stabilì definitivamente a New York nel 1942 e divenne cittadino degli Stati Uniti nel 1955. Durante gli anni '40 si associò ed espose con gli emigrati surrealisti a New York e nel 1946 iniziò Etant donnés: 1. La chute d'eau 2. Le gaz d'éclairage, un importante assemblaggio al quale ha lavorato segretamente per i successivi 20 anni.

Marcel Duchamp muore il 2 ottobre 1968 a Neuilly-sur-Seine, in Francia.

(Fonte: The Guggenheim Museums and Foundation)

Marcel Duchamp e Man Ray

Marcel Duchamp (1887-1968), il cui "Nudo che scende le scale" aveva suscitato scalpore al New York Armory Show nel 1913, fu presentato a Man Ray da Walter Arensberg, collezionista e ospite di saloni informali per artisti d'avanguardia a nel suo appartamento nella West 67th Street, subito dopo che Duchamp si trasferì a New York nel 1915. Per tutta la vita, i due artisti rimasero amici intimi, complici nel loro assalto alle ideologie e alle pratiche artistiche tradizionali del mondo dell'arte. Man Ray ha realizzato dozzine di ritratti di Duchamp, documentando il personaggio spesso mutevole di quest'ultimo. Qui, in un tributo opportunamente ironico all'iconoclastia di entrambi gli artisti, Man Ray presenta il profilo di Duchamp nello stile classico della tradizionale ritrattistica commerciale in studio.

Il fotografo Man Ray

Emmanuel Rudnitzky, noto come Man Ray, nacque a Filadelfia nel 1890. Si trasferì a New York con la famiglia all’età di sette anni e lì intraprese i suoi studi. Crescendo, rivelò il proprio carattere ostinato e ribelle, dimostrando un certo disprezzo per gli insegnamenti tradizionali. Spirito libero e individualità segnarono sempre il suo percorso artistico, difficilmente riconducibile unicamente a un gruppo o movimento; questo nonostante i rapporti che lo legarono ai surrealisti e ai dadaisti. Lui aveva troppo a cuore la propria autonomia. «Quanto a me», diceva, «Io mi sforzo semplicemente di essere il più libero possibile: nel mio modo di lavorare; nella scelta del mio soggetto. Nessuno può dettarmi norme o guidarmi. Possono criticarmi, dopo, ma allora è troppo tardi. A quel punto il lavoro è fatto e io ho assaporato la libertà». Egli sperimentò vari stili e tecniche: «Per esprimere ciò che sento, mi servo dello strumento più idoneo per dar corpo a quell’idea […]. Non m’interessa essere coerente come pittore, come creatore di oggetti o come fotografo. Posso servirmi di varie tecniche diverse, come gli antichi maestri che erano ingegneri, musicisti e poeti nello stesso tempo».

Nel 1921 Man Ray arrivò a Parigi. Il Dadaismo stava scomparendo e il Surrealismo prendeva forma attorno a poeti quali Breton, Eluard e ad artisti quali Ernst, Duchamp, Arp e Masson. Durante gli anni del suo primo soggiorno a Parigi (1921-1940), Man Ray s’affermò come fotografo professionista, divenendo collaboratore d’importanti riviste di moda e il ritrattista della ricca borghesia francese.

Nel giugno del 1940, quando il governo francese aveva dichiarato l’armistizio, Man Ray fu costretto ad abbandonare Parigi. Ritornato in America, s’isolò nella propria arte; ma lui non si era mai trovato a suo agio negli Stati Uniti: nella società hollywoodiana si sentiva un escluso. All’inizio del 1951 Man Ray approdò per la seconda volta in Francia. Là rinnovò il suo stile e sperimentò nuove tecniche. Come al solito non era guidato dal desiderio di ottenere un risultato esteticamente gradevole. Un dipinto, un oggetto, una fotografia, un film, dovevano trasmettere un’emozione, una sensazione.

Nei rayogrammi Man Ray riprende il procedimento ideato da Fox Talbot, rendendolo moderno. Quelle del Padre della Fotografia erano immagini fedeli di oggetti statici, mentre il nostro ricrea un mondo a sé, misterioso e suggestivo.

L’opera fotografica di Man Ray rientra nella tradizione dell’immagine “manipolata”, dove la realtà diventa “strana”. Si passa dalla bizzarria, per arrivare all’artificio e al trucco: come nel caso delle solarizzazioni e dei rayogrammi. Altre volte è l’humor a emergere, quale quello che traspare nel “Le violon d’Ingres”, dove due chiavi vengono stampate sulla schiena della modella “Kiki”. Lì c’è il gioco, la contrapposizione di elementi differenti, come accade in “Lacrima di vetro”. Nell’uno e nell’altro caso è anche la donna al centro dell’approccio artistico, la sua figura. Quanto descritto appartiene a una delle tradizioni surrealistiche della fotografia. Man Ray costruisce la sua immagine ai fini dell’effetto e non per la sostanza: distrugge, taglia, modifica, con lo scopo di definire livelli diversi di significato. Ben diverso è il caso di Henri Cartier Bresson, e forse anche di Atget, dove il senso estetico viene ottenuto attraverso il soggetto fotografato e non mediante la manipolazione dell’immagine.

Nel novembre 1876 Man Ray muore e viene sepolto al cimitero di Montparnasse. Sulla sua lapide si legge: «Unconcerned but not indifferent – Man Ray – 1890-1976 – love Juliet». Incurante ma non indifferente. Con amore Julet, la sua compagna.

(Da Image Mag)

Henri Cartier Bresson e i surrealisti

Henri Cartier-Bresson, già all’interno dei salotti surrealisti, non ha potuto sfuggire all'influenza di questo approccio laterale alla pratica creativa. Pur essendo un fotografo nel senso più tradizionale, la famosa teoria di Cartier-Bresson "The Decisive Moment", che attinge all'idea dell'inconscio irrazionale che si fa conoscere nella frazione di secondo in cui viene scattata una fotografia, potrebbe essere letta come il prodotto di un ambiente di pensiero surrealista che si occupava della costruzione o cattura di immagini oniriche.

Decenni dopo il loro incontro iniziale, quando l'amicizia tra Duchamp e Man Ray era maturata, Henri Cartier-Bresson di Magnum catturò la coppia mentre giocava a scacchi, una passione condivisa. «Sono ancora una vittima degli scacchi. Ha tutta la bellezza dell'arte e molto altro ancora. Non può essere commercializzato. Gli scacchi sono molto più puri dell'arte nella loro posizione sociale», disse una volta Duchamp.

Qui proponiamo una fotografia di Bresson che ritrae i due artisti nella casa parigina di Man Ray.

Il fotografo Henri Cartier Bresson

Henri Cartier Bresson nasce a Chanteloup-en-Brie il 22 agosto 1908. E’ uno dei fotografi più importanti del ‘900, avendone intuito lo spirito. Per questo motivo è passato alla storia come “L’Occhio del Secolo”.

Con i suoi scatti è riuscito a cogliere la vera essenza della vita, mentre la sua esistenza è stata tutta dedicata a trasformare la fotografia in un mezzo di comunicazione moderno, influenzando intere generazioni di fotografi.

Ha documentato la Guerra Civile Spagnola, quella Cinese, l’Occupazione Nazista in Francia, la costruzione del muro di Berlino, i funerali di Gandhi. Fu l’unico fotografo occidentale al quale venne permesso di fotografare in Unione Sovietica ai tempi della Guerra Fredda. Durante la II^ Guerra Mondiale, si arruolò nell’Esercito Francese. Fu fatto prigioniero per trentacinque mesi, riuscendo poi a fuggire al terzo tentativo. Si aggrega poi nelle file della Resistenza francese, documentando la liberazione di Parigi nel 1944.

Le fotografie di Henri Cartier Bresson e la sua vita sono strettamente legate. Non si possono osservare le sue opere, perché di capolavori si tratta, se non si conoscono alcuni eventi fondamentali della sua esistenza.

I due momenti più importanti accadono nel 1946, quando Henri Cartier Bresson viene a sapere che il MoMA di New York, credendolo morto in guerra, intende dedicargli una mostra “postuma” e quando si mette in contatto con i curatori, per chiarire la situazione, nasce una collaborazione che lo impegnerà per oltre un anno alla preparazione dell’esposizione, inaugurata nel 1947. Cartier-Bresson sceglie le fotografie che vorrebbe esporre. Seleziona e stampa circa 300 immagini, molte delle quali mai pubblicate prima e nel 1946 parte per New York con le stampe in una valigia. Al suo arrivo compra un grosso album, uno Scrap Book, appunto, dove incolla tutte le stampe prima di presentarle al MoMA. La mostra viene inaugurata il 4 febbraio 1947. Nello stesso anno, inoltre, nella caffetteria del MoMA, fonda la famosa agenzia Magnum Photos, insieme a Robert Capa, George Rodger, David (Chim) Seymour e William Vandivert.

Bresson incontra la fotografia nel 1931, quando sfogliando una rivista vide una foto di Martin Munkacsi e ne rimase affascinato. L’anno dopo acquista la sua prima macchina fotografica Leica e inizia a viaggiare per l’Europa scattando fotografie.

Le sue immagini iniziano a comparire sulle riviste e vengono anche esposte, ma la sua creatività incontra anche il mondo del cinema e nel 1936 lavora come assistente alla regia di Jean Renoir (assieme a Luchino Visconti) per i film “La scampagnata” e ” La vita è nostra”. Inoltre, diventa lui stesso regista per due documentari sugli ospedali nella Spagna repubblicana e sulla vita dei soldati americani durante la guerra civile spagnola. Quando inizia a scattare, quindi, Henri Cartier-Bresson ha appena 24 anni ed è ancora alla ricerca del suo futuro professionale. È incerto e tentato da molte strade: dalla pittura, dal cinema. «Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla» affermava. Non capire nulla di fotografia significa, tra l’altro, non sviluppare personalmente i propri scatti: è un lavoro che lascia agli specialisti del settore. Non vuole apportare alcun miglioramento al negativo, non vuole rivedere le inquadrature, perché lo scatto deve essere giudicato secondo quanto fatto nel “qui” e “ora”, nella risposta immediata del soggetto.

Cogliere il momento perfetto è tutto nelle foto di Bresson, che ha descritto lo stile dell’immediatezza nel suo libro Images à la Sauvette, pubblicato nel 1952. Henri Cartier Bresson non metteva in posa i protagonisti dei suoi ritratti ma li fotografava nei momenti più inaspettati per cogliere la loro naturalezza. Images à la Sauvette si traduce approssimativamente come "immagini in fuga" o "immagini rubate". Il titolo inglese del libro, The Decisive Moment, fu scelto dall'editore. Nella sua prefazione al libro di 126 fotografie di tutto il mondo, Cartier-Bresson cita il Cardinale de Retz del XVII secolo che disse: «Non c'è niente in questo mondo che non abbia un momento decisivo».

Da Image Mag n° 6 2018

Le fotografie

Marcel Duchamp. Ph. Man Ray, ca. 1920

Marcel Duchamp e Man Ray nella casa di quest’ultimo. Parigi, 1968. Ph. Henri Cartier Bresson

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