WIM WENDERS E LA FOTOGRAFIA
Wim Wenders è conosciuto come regista, sceneggiatore e produttore cinematografico. Lui però si è sempre interessato alle immagini. Quest’ultime hanno assorbito profondamente le sue attenzioni, persino di più di quanto non abbia fatto l’attività cinematografica. Prova ne è l’album - saggio pubblicato nel 1993 (“Una volta”) e la dichiarazione che lì ha rilasciato: «Perché ogni fotografia è più dello sguardo di un uomo ed è superiore alle capacità del suo fotografo». Nella copertina del libro, il regista afferma: «Ogni foto è anche un aspetto della creazione al di fuori del tempo e il poter fotografare è un atto di presunzione e di ribellione: è troppo bello per essere vero, ma è anche altrettanto troppo vero per essere bello».
Wim Wenders, note biografiche
Wim Wenders nasce il 14 agosto 1945 a Düsseldorf, che allora si trovava nella zona di occupazione britannica di quella che divenne la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania, conosciuta colloquialmente come Germania Ovest prima della riunificazione). All'università, Wenders ha inizialmente studiato per diventare medico, prima di passare alla filosofia. Termina i suoi studi nel 1965. Trasferitosi a Parigi, intendeva diventare un pittore.
Al suo ritorno nella Germania occidentale nel 1967, è stato assunto dalla United Artists presso la sua sede di Düsseldorf prima di essere accettato dalla scuola dell'Università di Televisione e Cinema di Monaco, dove è rimasto fino al 1970. Mentre frequentava la scuola di cinema, ha lavorato come critico cinematografico per vari giornali. Oltre ai cortometraggi, nell'ambito dei suoi studi realizza un lungometraggio, “Estate in città” (1971).
Wenders è stato riconosciuto come partecipante della New Wave tedesca degli anni '70. Altri registi ne facevano parte: Rainer Werner Fassbinder e Werner Herzog. Il suo secondo lungometraggio, un film tratto dal romanzo di Peter Handke, “Prima del calcio di rigore” (1972), gli ha portato molti consensi, così come “Alice nelle città” (1974) e “Nel corso del tempo (1976). Nel 1977 arriva la sua svolta internazionale col film “L'amico americano” ("The American Friend"). Sarà la volta poi di “Paris Texas”, osannato dalla critica e vincitore della Palma d’Oro a Cannes, e “Il cielo sopra Berlino” (1987) ("Wings of Desire") del 1987, realizzato in Germania. Quest’ultimo film gli è valso il premio per il miglior regista a Cannes.
Dalla metà degli anni '90, Wenders si è distinto come regista di saggistica, dirigendo numerosi documentari: in particolare Buena Vista Social Club (1999) e Pina (2011), che gli sono valsi la nomination all'Oscar.
Wim Wenders: “Una volta”, un libro di fotografie
Nel volume s’incontrano trecento immagini, a colori e in bianco e nero, accompagnate da tante piccole storie a firma del regista, tutte anticipate dal medesimo incipit: Una volta. La relazione con le fiabe pare quasi scontata, ma Wenders ne prende le distanze: «M’infastidiscono, perché ho trovato sempre paurosi e terrorizzanti i personaggi, troppo crudeli o inverosimili le situazioni».
Il mondo dei bambini
Wenders vive un rapporto stretto con il mondo dei bambini. Li ha accolti sempre nei suoi film, spesso con ruoli rilevanti; perché a lui interessa il punto di vista dell’infanzia, la curiosità di quegli anni, l’innocenza con cui da piccoli si guarda al mondo e alla vita. I bambini rappresentano poi una forte fonte d’ispirazione, anche perché vivono il momento in quanto tale, senza curarsi del passato o del futuro.Per i fotografi è la stessa cosa: “Devono avere la capacità di vivere per il momento e dentro il momento”.
Il fotografare viene definito da Wenders quasi come un’azione infantile, soprattutto perché priva di conseguenze. Il tutto avviene in un singolo istante, in una relazione stretta tra sguardo e fotocamera. Lo si intuisce anche dalle immagini del libro: tracce di incontri mai più ripetibili con varie porzioni di mondo. A loro conseguono storie, magari dai significati differenti: perché non è necessario che appartengano forzatamente a un’immagine.
Le fotografie di Wenders
Gli spazi delle inquadrature sono ampi, estesi, estremamente vasti. È lì che si concentra l’attenzione del regista. Nel libro si scorge l’Europa (e la sua Germania), l’America, l’Australia, per finire con Russia, India e Cina. L’elemento umano è quasi sempre assente nelle immagini che vediamo, anche perché per Wenders: “Fare ritratti vuol dire fotografare persone che ti guardano”. Osservando più volte le fotografie di “Una volta”, l’interesse cresce. Come in un’opera d’arte, l’immagine prodotta dal regista possiede un ordine proprio: quasi un verso di lettura. La descrizione che ne risulta è precisa, esaustiva, descrivendo a fondo quel pezzo di mondo che viene ritratto. C’è di più, però: le fotografie di Wenders non arrivano a sbalordire. Piacciono perché rimangono sospese: in quel tempo qualcosa viene tolto al proprio momento e trasferito in un altro divenire. “Una volta?”, “C’era una volta!”. E la storia continua.Consigliamo vivamente la lettura delle riflessioni di Wenders. In queste parla anche della sovrabbondanza d’immagini e video, con le indicazioni su cosa fare e come. Per finire, “Una volta” rappresenta un ottimo manuale di fotografia: da leggere e ricordare, magari fotografando in sua compagnia.
Le fotografie
pWim Wenders, "Lounge Painting No.1", Gila Bend, Arizona, 1983Wim Wenders, "Joshua e John (dietro)", Odessa, Texas, 1983