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VLADIMIR HOROWITZ, PIANISTA VIRTUOSO

Lo abbiamo ascoltato spesso, Vladimir Horowitz; purtroppo solo in casa. Ricordiamo con piacere (e nostalgia) un suo vinile: il Concerto per pianoforte e orchestra n. 23, K488. L’orchestra era quella del Teatro alla Scala di Milano, diretta da Carlo Maria Giulini (Etichetta Deutsche Grammophon). Eravamo attratti dalla simpatia sempre nutrita per il compositore austriaco, autentico scopritore del pianoforte, che con quello strumento ha prodotto concerti dal sapore già romantico. Horowitz, virtuoso com’era, sarebbe emerso maggiormente con le partiture di Rachmaninoff o Tchaikovsky (indimenticabile, anche su supporto, la sua esecuzione del Concerto n°1), ma l’agilità e il fraseggio facevano brillare le note di Wolfgang, soprattutto alle nostre orecchie: inesperte, eppure curiose; alla ricerca di un alibi personale per preferire questo e non quell’altro, nel mare magnum della musica classica.

Horowitz, poi, richiamava alla nostra memoria Arturo Toscanini, il direttore parmense: wagneriano per filosofia e puntiglioso fino all’insolenza. I due si troveranno vicini per legami familiari, visto che Vladimir sposerà Wanda, la figlia del celebre Arturo. Anche la stima avvicinava i due: personaggi difficili, entrambi.

Il vinile del K488 è ancora là, nella stanza “da ragazzo” dei genitori. Sarebbe bello assaporarne una volta di più il calore (o colore?), reso più umano dal tic tac della polvere. Altri tempi, altre ere: quando il difetto diventava pregio; e opportunità.

Vladimir Horowitz, note biografiche

Vladimir Horowitz è nato il 1° ottobre 1903 a Berdichev (vicino a Kiev), in Ucraina. Suo padre, era un ingegnere; sua madre, di nome Sophie, una pianista professionista e insegnante al Conservatorio di Kiev. Il giovane Vladimir Horowitz ha preso le prime lezioni di pianoforte dalla madre. All'età di 9 anni è entrato al Conservatorio di Kiev. A 11 anni ha incontrato e suonato con Alexander Scriabin. Si diploma al Conservatorio nel 1920 con l'esecuzione del Concerto per pianoforte n. 3 di Sergei Rachmaninoff. A quel punto la sua famiglia venne devastata dalle purghe della Rivoluzione Russa. Tutte le loro proprietà, compreso il pianoforte, furono sequestrate dai bolscevichi.

Horowitz si esibì ampiamente a Kharkov, Kiev, Mosca e Leningrado, acquisendo una reputazione di virtuoso. Nella sola Leningrado tenne 23 concerti nel 1922, pagato con cibo anziché denaro. Lasciò la Russia nel 1925 e tenne 69 concerti in Europa durante la stagione 1926-1927. Horowitz fece il suo debutto americano nel 1928 con la Filarmonica di New York, suonando il Concerto per pianoforte n. 1 di Pyotr Ilyich Tchaikovsky, e fu un grande successo. Nel 1932 Horowitz eseguì il Concerto dell'Imperatore di Ludwig van Beethoven con il direttore Arturo Toscanini, ottenendo l'ammirazione del maestro. Lo stesso anno a Milano, in Italia, Vladimir Horowitz sposò Wanda Toscanini.

Horowitz era un caro amico di Sergei Rachmaninov, che ha ammesso di come lo abbia superato nell'interpretazione del suo Concerto per pianoforte n. 3. Horowitz ha eseguito un repertorio immensamente ampio, che va da Arcangelo Corelli ad Alexander Scriabin. Nel suo repertorio emergono anche delle trascrizioni dei "Quadri di un'esposizione" di Modest Mussorgsky e della "Rapsodia ungherese n. 2" di Franz Liszt; brani considerati tra i più difficili, anche per un virtuoso come Horowitz. In alcuni momenti della sua carriera ha sofferto di ansia e depressione. Si diceva che provasse la paura del palcoscenico, ma una volta seduto al pianoforte diventava perfetto.

Nel 1986 Horowitz fece un tour sensazionale in Russia. Le sue esibizioni a Mosca e San Pietroburgo venivano accolte dal tutto esaurito. Quei concerti assumevano un'importanza sia musicale che politica, nell'epoca in cui Mikhail Gorbaciov stava apportando cambiamenti al rigido sistema sovietico.

Vladimir Horowitz morì d’infarto il 5 novembre 1989 a New York. Fu sepolto nella tomba della famiglia Toscanini al Cimitero Monumentale di Milano.

Le fotografie

Anche questa volta ci rivolgiamo a due grandi. Di Avedon abbiamo già parlato ieri, riportando le sue riflessioni sulla fotografia. Steichen è una new entry, particolarmente in ambito artistico. La luce è quella del fashion e anche la teatralità d’insieme. Però è bello vedere il pianoforte giganteggiare nell’inquadratura, perché l’arte deve risultare più grande dell’artista, almeno per i nostri gusti. Arnold Newman insegna.

Il fotografo, Richard Avedon

Di Richard Avedon abbiamo parlato anche ieri. Ci stiamo comunque riferendo a uno dei fotografi più prolifici della seconda metà del XX secolo. Molti lo definiscono come il più importante fotografo di moda di tutti i tempi, ma noi (assieme a molti) gli abbiamo riconosciuto altri meriti, particolarmente nel ritratto. Al di là del genere comunque (fashion o portrait che sia), guardando a ritroso il lavoro del maestro, ne riconosciamo forza e coerenza, che andavano al di là delle singole interpretazioni. Di lui ci è sempre piaciuto il “potere”, quello buono; lo stesso che gli permetteva di lavorare sul soggetto con assiduità, senza limiti.

Richard Avedon è nato a New York City, figlio d’immigrati ebrei russi che possedevano un grande magazzino a Manhattan. In gioventù ha messo in mostra un’attitudine letteraria forte. Determinanti per lui sono stati gli studi con Alexey Brodovitch, presso il Laboratorio di Progettazione della New School for Social Research. La New York del tempo offriva tutto ciò che un giovane ambizioso potesse desiderare: teatro, cinema, musica, danza.

A noi piace pensare che Richard abbia vissuto la fotografia con intensità e profonda dedizione, sin dagli esordi: assorbendo tutto quanto potesse dalle lezioni di chi l’ha preceduto. E’ per questo che lui ha esplorato la fotografia in molte delle sue possibilità, anche tecniche. Determinanti, a tale proposito, sono stati i continui passaggi da una medio formato al banco ottico.

Assiduità e dedizione vogliono anche dire consapevolezza, considerazione di sé; e lì forse nasce quel potere forte che gli riconosciamo, esercitato di continuo sui propri soggetti. Molti sono stati gli elementi ispiratori per Avedon. Tra questi ricordiamo Martin Munkacsi, il pioniere della fotografia di moda in esterni. Il nostro però ha unito sapientemente l'esuberanza della fotografia outdoor con la tradizione statica dello studio, dimostrando così di aver assorbito le lezioni del mitico Edward Steichen.

Richard Avedon può contare una carriera lunga 60 anni, durante i quali ha ottenuto numerosi premi e per i quali è stato indicato da molti come il "re dei fotografi di moda". Avedon l’ha affrontata con uno stile senza precedenti. Per la prima volta l’approccio fotografico in una rivista di moda era fresco, anche divertente. Le immagini vivevano di una strana combinazione: erano costruite, ma allo stesso tempo mostravano un'aria di spontaneità mai vista prima. I lettori delle riviste rimasero stupiti quando videro un modello sui pattini da Place de la Concorde, ma la rivoluzione totale venne compiuta quando Avedon ritrasse un’elegante Dorothy Horan (Dovima) con un abito Dior, assieme a degli elefanti. La dissonanza tra la pelle ruvida dei pachidermi e la squisita grazia del modello si rivelò una vera bomba. Come dissero in molti: “La fotografia di moda non sarebbe stata mai la stessa”.

Avedon aveva trasformato una disciplina statica e monotona in un genere vivo. Tutte le componenti del set (i capelli, il trucco, i vestiti, il corpo) diventavano uno spettacolo. Questo non deve sorprenderci: Avedon amava il teatro quasi quanto la fotografia (come Josef Koudelka). Tra l’altro Richard aveva prodotto molte delle copertine della rivista Theater Arts: la teatralità veniva trasferita al mondo della moda.

La moda di Avedon influenza anche il cinema. Nel 1957 esce nelle sale Funny Face (Cenerentola a Parigi), diretto da Stanley Donovan per la Paramount Pictures. Il lungometraggio era interpretato da Fred Astaire e Audrey Hepburn. Il personaggio di Astaire era liberamente ispirato alla figura del fotografo Richard Avedon, le cui foto appaiono nel film.

Come dicevamo, Avedon deve essere considerato anche (e soprattutto) come un grande ritrattista, probabilmente uno dei più grandi della storia della fotografia. Di fronte alla sua macchina fotografica di grande formato sono sfilate tutte le personalità famose del suo tempo. Essere fotografati da Avedon rappresentava una sorta di "certificato di celebrità". I volti famosi rappresentano per il fotografo una lama a doppio taglio nei termini dell’immagine da produrre. Se ci si fida del personaggio preconfezionato, tutto può apparire facile; ma quando si cerca la profondità, probabilmente il soggetto erigerà una barriera. Avedon ha saputo attraversare le false ipocrisie, arrivando al nucleo della personalità.

Ingrid Bergman appare con un volto senza precedenti; ma il caso più evidente è il ritratto del 1957 che vede coinvolta Norma Jean Baker. Anche se il titolo dell’immagine recita "Marilyn Monroe, attrice" la donna che appare è stanca, spogliata dei successi di Hollywood, finalmente bambina.

Avedon era anche un provocatore e usava le sue qualità per ottenere dai soggetti il lato intimo della loro personalità. Un esempio? Il servizio che vide coinvolti i duchi di Windsor. Erano arrivati al Waldorf Astoria accompagnati dalla regalità maestosa della loro immagine. Dopo un'ora di lavoro, Richard non era riuscito a eliminare la loro impassibilità aristocratica. Il fotografo si è messo a recitare, arrivando a persino a mentire. “Il taxi che vi è venuto a prendere”, disse, “ha investito un cane, che è deceduto”. L’artista raggiunse il suo scopo, anche se per una via non ortodossa.

Avedon è ricordato anche per una serie di ritratti scattati a 752 persone tra il 1979 e il 1984. Si tratta della famosa serie del West americano. Richard aveva fotografato modelle, gli artisti più influenti, i politici più potenti; decide così di cambiare i suoi orizzonti, concentrandosi sulla gente comune. Per portare avanti il suo progetto, il nostro visitò diversi stati degli Stati Uniti occidentali, per incontrare i minatori, le persone senza fissa dimora, le casalinghe, i prigionieri, i predicatori itineranti.

Avedon rimane fedele al suo stile di lavoro: uno sfondo bianco, la fotocamera di grande formato e la “ferocia” del suo sguardo. Richard non cerca la coerenza con i soggetti, ma li affronta con la stessa furia creativa utilizzata con George Bush Sr. e Henry Kissinger.

Il fotografo, Edward Steichen

Fotograficamente, Edward Steichen si è distinto in ruoli differenti. Durante la giovinezza è stato un fotografo di talento. Ha poi continuato ad alimentare la sua fama in ambito commerciale negli anni '20 e '30, restituendo ritratti eleganti di artisti e celebrità. Fu anche un importante curatore, organizzando tra l’altro la mostra "Family of Man" nel 1955.

Nato in Lussemburgo, il 27 marzo 1879, Steichen arriva negli Stati Uniti quando aveva due anni. Lui e i suoi genitori si stabiliscono nella piccola città di Hancock, dove il padre prestava servizio nelle miniere di rame. Quando il genitore smise di lavorare per le cattive condizioni di salute, la famiglia si trasferì a Milwaukee, nel Wisconsin, dove la madre sosteneva la famiglia lavorando come artigiana. A partire dall'età di 15 anni, Steichen ha svolto un apprendistato di quattro anni in un'azienda litografica. Durante gli anni '90 dell'Ottocento studiò pittura e fotografia, il che lo avvicinò alla corrente pittorialista. Le fotografie di Steichen furono esposte per la prima volta al Second Philadelphia Photographic Salon nel 1899, e da quel momento divenne presto una star.

Nel 1900, prima di compiere il primo di tanti lunghi viaggi in Europa, Steichen incontrò Alfred Stieglitz, che acquistò tre fotografie del giovane autore. Fu l'inizio di un’amicizia intima e reciprocamente gratificante, che sarebbe durata fino al 1917. Nel 1902 Stieglitz invitò Steichen a unirsi a lui e ad altri fotografi, nella fondazione della Photo-Secession, un'organizzazione dedicata alla promozione la fotografia come arte.

Nel 1905 Stieglitz aprì la sua prima galleria, originariamente chiamata Little Galleries of the Photo-Secession, ma meglio conosciuta come 291, dal nome del suo indirizzo al 291 della Fifth Avenue. Steichen divenne il collegamento francese della galleria. Usando i contatti che aveva stabilito in Europa, divenne il principale responsabile dell'organizzazione delle mostre di arte modernista francese che si tenevano al 291. Henri Matisse (1908) e Paul Cézanne (1910) esposero lì proprio per merito di Steichen.

La rottura tra Stieglitz e Steichen arrivò sull'orlo dell'entrata degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, forse perché Steichen era un francofilo e Stieglitz apertamente legato alla Germania; o probabilmente perché Steichen era arrivato a credere che la Photo-Secession di Stieglitz e i suoi strumenti – la galleria 291 e la rivista Camera Work - fossero diventati i veicoli per un culto della personalità.

uando gli Stati Uniti entrarono in guerra nel 1917, Steichen si offrì volontario e fu nominato capo della fotografia aerea per l'esercito americano in Francia. La sua esperienza con le rigorose esigenze tecniche di questo lavoro ha cambiato la sua visione circa lo strumento fotografico. Dopo la guerra abbandonerà lo stile pittorialista, orientandosi verso una maggiore oggettività di descrizione e racconto.

Sempre in antitesi con gli atteggiamenti foto-secessionisti, Steichen si dedicò alla fotografia commerciale, fondando uno studio di successo, quando si trasferì a New York City nel 1923. Ha dedicato i successivi 15 anni della sua vita principalmente alla fotografia di moda e ritrattistica per le pubblicazioni Condé Nast, come Vogue e Vanity Fair. Chiuse lo studio il 1 ° gennaio 1938 e trascorse gran parte dei quattro anni successivi nella sua casa nel Connecticut, coltivando piante.

Un mese dopo l'attacco a Pearl Harbor, nel dicembre 1941, la Marina degli Stati Uniti fece di Steichen un tenente comandante incaricato di dirigere una registrazione fotografica della guerra navale nel Pacifico. Durante la seconda guerra mondiale, Steichen iniziò a collaborare con il Museum of Modern Art di New York City e nel 1947 fu nominato direttore del dipartimento di fotografia, posizione che manterrà fino al suo pensionamento 15 anni dopo. "The Family of Man", una mostra che ha curato nel 1955, è stata senza dubbio l’operazione più importante della sua lunga carriera. La mostra era basata sul concetto di solidarietà umana e Steichen ha selezionato 503 immagini da innumerevoli stampe arrivate da tutto il mondo. Si dice che la mostra sia stata vista da quasi nove milioni di persone in 37 paesi. Steichen ha continuato a curare molte mostre minori al museo, dimostrando così come volesse sostenere il mezzo fotografico per tutti i restanti anni della sua carriera. La sua autobiografia, A Life in Photography, è stata pubblicata nel 1963.

Edward Steichen muore il 25 marzo 1973, in Connecticut.

Le fotografie

Vladimir Horowitz fotografato da Richard Avedon, 1975.

Vladimir Horowitz fotografato da Edward Steichen per Vanity Fair, 1930.

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