AUGURI A TUTTI I NONNI
«La generazione più giovane è la freccia, la più vecchia è l’arco» (John Steinbeck). E’ la frase più bella che può aiutarci a festeggiare i nonni. Già, perché In Italia il 2 ottobre si celebrano proprio loro, per una legge istituita dal Parlamento italiano il 31 luglio 2005.
I nonni rappresentano da sempre un pilastro fondamentale nella composizione delle famiglie italiane, molto spesso sostituendosi ai genitori. Oltre a ciò, forniscono consigli, affetto ed esperienze, con anche qualche aiuto economico, divenendo così un appoggio fondamentale nella crescita dei nipoti. Secondo la tradizione cattolica, il 2 ottobre è il giorno dedicato agli Angeli Custodi. Visto che i nonni sono un po' i custodi protettori delle famiglie appena nate, si è deciso di mettere insieme queste due festività.
Cercando nel web, leggiamo che L'idea di un giorno nazionale da dedicare ai nonni è venuta per prima ad una casalinga del West Virginia, Marian Mc Quade. La signora Mc Quade, mamma di 15 figli e nonna di 40 nipoti, iniziò la campagna nel 1970, ma lavorava con gli anziani già dal 1956. Nel 1978, l'allora Presidente americano, Jimmy Carter, proclamò che la festa nazionale dei nonni, “Grandparents Day” fosse celebrata ogni anno la prima domenica di settembre dopo il “Labor Day”.
Ci sembra giusto festeggiare i nonni, ma crediamo occorra andare oltre l’aiuto restituito ai nipoti. Loro lasciano un ricordo indelebile, che accompagnerà tante vite. Per questo riportiamo, sotto forma di racconto, delle esperienze personali (scusate), con due fotografie, unicamente evocative, di Pepi Merisio e Gianni Berengo Gardin (quest’ultimo ha ritratto una cucina, un luogo elettivo per le nonne di un tempo). Di più non potevamo fare senza cadere in quella lacrima che già sta cadendo sul nostro sguardo.
Un vecchio cassetto
La casa odorava ancora d’estate, ed era la vista a suggerirlo: un libro dimenticato, i giornali d’agosto, quella sdraio ancora aperta per il sole del balcone. Lui aprì le imposte ed entrò una luce polverosa, solo leggermente tiepida. Sulla credenza vi erano giochi d’altri tempi, introvabili oggi: fatti di latta e non di plastica. Il resto era fermo come un monito: una vecchia radio, la macchina per cucire, una palla delle sue figlie; e poi i tanti portaritratti sparsi su una mensola: due bambine, poi delle ragazze cresciute; ma anche nonni, genitori, persone sconosciute. In un angolo, una piccola foto era solo appoggiata: due sposi sorridevano alla vita in bianco e nero; i suoi genitori.
Aprì un vecchio cassetto. C’era di tutto: batterie scariche, lampadine, un paio di forbici, dello spago; e poi foglietti, bigliettini, nastro adesivo, un coltello serramanico e qualche fotografia. «Conservavano tutto!», si disse; ma la considerazione gli parve troppo banale. C’era dell’altro, ci doveva essere. Forse bisognava chiamare in causa la vita stessa, che imponeva di salvare il salvabile, preservando se stessi con la cura degli oggetti, elementi inanimati senza tempo.
Vedeva occhi ovunque, sguardi in cerca di spiegazioni, affetti venuti meno con una sterzata improvvisa. E gli oggetti rimanevano lì a ricordare, senza pietà, privi di ritegno. «E’ ingiusto», pensò; ma lì vi era il senso della vita: quella che passa e la testimonianza che rimane. L’orologio era fermo, la pendola anche. Da entrambi si sentiva osservato, a mo’ di preghiera. Alla fine lo sguardo cadde sulla fotografia dei suoi genitori, diventati poi nonni. «C’è tutto, non vi preoccupate. La vita continua».
Guidò verso casa con poco entusiasmo, ma si sentiva più ricco. Tempo e ricordi s’inseguivano accumulandosi. «La risposta è in quella fotografia sempre pronta per farci ridere, piangere, meravigliare», si disse. I due sposi in bianco e nero, erano loro l’origine di tutto: i nonni che adesso non ci sono più.
Nonna e nipote, un ricordo personale
Guardai ancora mia madre, distesa nel letto d’ospedale: dormiva ancora. Le braccia erano distese lungo i fianchi, anche se leggermente flesse. Le dita, piegate un poco, parevano afferrare qualcosa. Le aveva viste tante volte: contrarsi sul grembiule e unirsi in un unico gesto, dove le mani si sarebbero sfregate a lungo tra loro. Era la movenza di una massaia consumata, che però veniva utilizzata quasi come un intercalare: per riflettere o prendere tempo; di fronte ad accadimenti imprevisti o a decisioni difficili da prendere.
Spesso quei gesti si accompagnavano ad uno sguardo diretto, ma debole. Gli occhi ti fissavano quasi a chiederti qualcosa, quello che non avresti potuto restituire. In quelle circostanze, già sapevi che sarebbero state lacrime, almeno di lì a poco. E ti sentivi in colpa, consapevole di essere già altrove: dove la vita ti avrebbe chiamato, al di là di quella storia che non avresti potuto scrivere.
Questione di sentimenti, è vero; ma anche incapacità, mia e di mia madre, nel gestire l'oggi, il presente. Tante volte tutto era rimasto sospeso, intoccabile: un regno astratto dove solo la tristezza antica avrebbe potuto abitare, la felicità della malinconia. Era già successo tante volte, anche pochi mesi prima ...
Le ombre erano lunghe, segno di un’estate che stava per finire. La strada, poco trafficata, s’inerpicava su, verso Granaglione. Un tornante, un altro: poi tante curve, da tagliare a sinistra qualora non fosse venuto nessuno dalla parte opposta. «Non sarei voluto arrivare, mai. Ero in anticipo di due giorni e Giorgia non sarebbe stata contenta: lo sapevo».
Le trovai nel cortile del Seminario: mia mamma e mia figlia. Era bello vederle insieme. Quell'estate per loro era stata speciale, perché avevano riconosciuto, una volta di più, il reciproco affetto: quello tra nonna e nipote.
Era capitato anche a me, da piccolo. Coi nonni si viene a creare una piccola intimità, nella quale i doveri domestici, ma anche l'incedere della giornata, diventano un gioco vicendevole; e questo capita più spesso quando l'estate offre i suoi scampoli: con l'aria che si rinfresca, le ombre che anticipano la sera, i pioppi che col vento mostrano il lato chiaro delle foglie. Si tratta di una specie di solitudine felice, perché i primi di settembre non c'è più nessuno; e le promesse dell'estate sono diventate piccole bugie delle quali non ci si occuperà più.
Io stavo distruggendo un piccolo mondo. Ovviamente era inevitabile, ma non due giorni prima: non oggi. «Papà, io non vengo a Milano”», aveva detto Giorgia. «“Sto qui con la nonna”».
Intanto avevamo raggiunto casa, pian piano. In giro i ricordi di un'estate: la palla, il gatto randagio; poi, all'interno, gli ambienti ricreati per gioco, come quella piccola cucina inventata sul letto o i tanti disegni che la nonna avrebbe messo via, per ricordo.
«Perché non possiamo ripartire tra due giorni?», aveva chiesto Giorgia.»
«Debbo andare via ...», risposi.
«E allora torna la settimana prossima, non voglio lasciare sola la nonna».
«Senti, Giorgia … vieni qui con me ...». Era mia madre che si faceva forza, tentando di convincere la nipote. L'abbracciava con affetto, accarezzandole ora i capelli, ora le mani. Nessuna lacrima, ma una stessa consapevolezza: non era più il loro tempo.Il vento rinfrescava e ci diede il permesso a partire. Allo specchietto mia mamma aveva la mano alzata per salutare. Subito dopo l'avrebbe unita con l'altra, sul grembiule.
Giorgia non si voltò neppure.
Gianni Berengo Gardin, la vitaGianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure nel 1930 e inizia a occuparsi di fotografia dal 1954.
Trascorre l’infanzia in Liguria, poi si trasferisce a Roma. Dopo un lungo periodo a Venezia, mette le radici a Milano, dove comincia la sua professione di fotografo. Collabora con numerose riviste tra cui Il Mondo di Mario Pannunzio e le maggiori testate giornalistiche italiane e straniere, come Epoca e Time. Si dedica in special modo alla realizzazione di libri fotografici: pubblica oltre 250 volumi, dai quali emerge soprattutto il suo interesse per l’indagine sociale. Dal 1966 al 1983, in collaborazione con il Touring Club, pubblica una serie di volumi dedicati all’Italia e ai Paesi europei.
Lavora assiduamente con grandi industrie, tra cui l’Olivetti, per reportage e monografie aziendali. Nel 1979 inizia la collaborazione con Renzo Piano, per il quale documenta le fasi di realizzazione dei progetti architettonici.
Nella sua carriera ha esposto in oltre trecento mostre personali, in Italia e all’estero, tra cui le grandi antologiche di Arles (1987), Milano (1990), Losanna (1991), Parigi (1990),New York e alla Leica Gallery (1999); tra le ultime, alla Städtische Galerie di Iserlohn nel 2000, al Museo Civico di Padova e al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 2001, alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi, alla Fondazione Forma per la Fotografia nel 2005, alla Casa dei Tre Oci di Venezia nel 2012 e a Palazzo Reale a Milano nel 2013.
Nel 1972 la rivista Modern Photography lo inserisce nella lista dei 32 maggiori fotografi al mondo. Nel 2003 è presente tra gli ottanta fotografi scelti da Cartier-Bresson per la mostra “Les choix d’Henri Cartier-Bresson”.
Nel 2013 la Leica Wetzlar lo invita a esporre nella mostra “Eyes Wide Open! One Hundred Years of Leica Photography”.
Nel 2014 e nel 2015, con il Fondo Ambiente Italiano, ha esposto a Milano (Villa Necchi) e a Venezia (Negozio Olivetti) le sue immagini sulle grandi navi a Venezia.
Oltre ai numerosi premi, nel 2008, quale riconoscimento alla carriera, gli viene assegnato il Lucie Award e nel 2009 la laurea honoris causa in Storia e critica dell’arte presso l’Università di Milano. Nel 2012 la città di Milano gli assegna l’Ambrogino d’Oro.
Nel 2015, a Roma, gli viene conferito il titolo di Architetto Onorario dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
Pepi Merisio, note biografiche
Pepi Merisio è nato a Caravaggio nella bassa bergamasca nel 1931 e comincia a fotografare da autodidatta nel 1947. Progressivamente protagonista del mondo amatoriale degli anni Cinquanta, ottiene numerosi e prestigiosi riconoscimenti in Italia ed all’estero. Nel 1956 inizia la collaborazione con il Touring Club Italiano e con numerose riviste: Camera, Du, Réalité, Photo Maxima, Pirelli, Look, Famiglia Cristiana, Stern, Paris - Mach e numerose altre. Nel 1962 passa al professionismo e l’anno seguente entra nello staff di Epoca, allora certamente la più importante rivista per immagini italiana.
L’ambito ideale della poetica di Merisio è, insieme con la grande tradizione contadina e popolare della provincia italiana, anche il variegato mondo cattolico. Nel 1964 pubblica su Epoca il suo grande servizio Una giornata col Papa avviando così un lungo lavoro con Paolo VI. Dello stesso anno è il suo primo libro dedicato all’amico scultore Floriano Bodini. Da questo momento, mentre continua la collaborazione con grandi riviste internazionali (celebri i tre numeri monografici di Du sul Vaticano, su Siena e sull’Italia cattolica) avvia un’intensa attività editoriale. Caposaldo, dichiarazione d’intenti e summa preventiva della sua attività di narratore per immagini è l’opera Terra di Bergamo in tre volumi, edita nel 1969 per il centenario della Banca Popolare di Bergamo. Da allora ha pubblicato oltre un centinaio di libri fotografici con editori diversi, tra i quali Atlantis, Bär Verlag, Conzett e Huber, Orell Füssli, Zanichelli, Electa, Silvana, Bolis, M. D’Auria, Editalia, Pubbliepi, Monte dei Paschi, Grafica e Arte, Lyasis e l’ECRA di Roma, per la quale ha curato la collana “Italia della nostra gente”, che ha raggiunto i ventotto volumi.
Per l’Editrice Atlantis e Zanichelli ha pubblicato undici volumi sulle Regioni d’Italia, e otto volumi per la Bolis sulle Terre Marchigiane. Per il Centro Studi Valle Imagna ha curato Per le antiche strade (2003), Acqua (2003), Un altro Paese (2005) e In Valle Imagna (2009). Con Mario Luzi ha pubblicato il volume Mi guarda Siena (2002).
Nel 1972 la Rai gli dedica una puntata della trasmissione Occhio come mestiere, curato da Piero Berengo Gardin. Nel 1979, per la Polaroid, esegue un reportage in bianco e nero ora conservato nella Collection Polaroid International di Boston, nel 1964 consegue il Premio Nazionale di Fotogiornalismo a Milano; nel 1965 il Premio Internazionale di Fotogiornalismo a Genova.
Particolarmente significative sono le numerose opere di documentazione etno-geografica e d’arte, le personali allestite in Italia e all’estero. Da ricordare le mostre alla Helmaus di Zurigo per i 50 anni di Atlantis (1980); 158 fotografie al Teatro Sociale di Bergamo (1985) e a Palazzo Barberini in Roma (1986); Il Duomo guarda Milano all’Arengario (1986); La Valtellina alla Fiera di Milano (1988); Meeting di Rimini (2007).
Il Ministero degli Affari Esteri nel 2008 ha incaricato Pepi Merisio di allestire la mostra fotografica “Piazze d’Italia”, per le principali capitali europee. Nel 2010 la grande mostra “Ieri in Lombardia” per la Regione Lombardia nel Grattacielo Pirelli a Milano.
Nel 2011 è invitato alla 54ª Biennale di Venezia.
Le fotografie
Una cucina, Ph. Gianni Berengo Gardin. Tratta dal libro “Storie in cucina”, ricordi, racconti e ricette, di Caterina Stiffoni (moglie del maestro di Santa Margherita Ligure).
Carona, malga del Lago Rotondo. Ph. Pepi Merisio, 1967