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VALERIA GOLINO, BELLEZZA VERA

Valeria Golino è una di quelle donne il cui talento incanta e meraviglia. Regista e attrice, canta anche molto bene, così in alcune pellicole si è anche cimentata con la voce. Golino mette in mostra l’universo femminile, ne scrive le regole. Per lei non c’è bisogno di favoritismi politici o sociali: sono i suoi stessi personaggi a dichiararsi, con una bellezza vera, universale; quella che ci piace del tutto, perché non ostenta modelli omologati o vetusti.

Valeria Golino nasce il 22 ottobre del 1965 a Napoli, figlia di una pittrice greca e di un germanista italiano. Intraprende la carriera di modella nella capitale greca, prima di venire scoperta dalla regista Lina Wertmuller, che la fa esordire al cinema a soli diciassette anni, nel film "Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada", del 1983.

Subito dopo l’esordio, Valeria inizia una carriera fitta d’impegni, tra film di grandi firme: "Sotto...sotto... strapazzato da anomala passione", di Lina Wertmuller, "Blind date" di Nico Mastorakis, "Figlio mio infinitamente caro" di Valentino Orsini e "Piccoli fuochi" (prima candidatura ai Nastri d'Argento, 1985) di Peter Del Monte, con cui si lega sentimentalmente per due anni. Valeria Golino, ancora giovanissima, lavora per registi come Francesco Maselli ("Storia d'amore", che le vale il premio di migliore attrice al Festival del Cinema di Venezia), Giuliano Montaldo ("Gli occhiali d'oro") e Barry Levinson, che la vuole in "Rain Man - L'uomo della pioggia", nel 1988. Nello stesso anno recita in "Paura e amore", di Margarethe von Trotta, e in "Big Top Pee-wee - La mia vita picchiatella", di Randal Kleiser. Durante la lavorazione di quest’ultima pellicola conosce l'attore Benicio Del Toro. I due si frequentano intimamente e vanno a vivere insieme a Los Angeles.

In quegli anni Valeria Golino recita in America, prendendo parte ad "Acque di primavera", di Jerzy Skolimowski, e a "Tracce di vita amorosa", di Peter Del Monte. Partecipa poi al cast di "Lupo solitario", di Sean Penn, e de "L'anno del terrore", di John Frankenheimer. Nel 1992 torna a essere diretta da un regista italiano, scelta da Gabriele Salvatores come protagonista di "Puerto Escondido", al fianco di Claudio Bisio e Diego Abatantuono.

Nel 2000 lascia la California e inizia a dedicarsi principalmente al cinema italiano. L’abbiamo vista in "Controvento" di Stefano Vicario e come protagonista di "Respiro", di Emanuele Crialese, che le permette di ottenere una candidatura al David di Donatello e una ai Nastri d'Argento come migliore attrice protagonista. Nel 2005 Valeria Golino recita nel film di Fausto Paravidino "Texas": sul set conosce il collega Riccardo Scamarcio, al quale si lega sentimentalmente.

Sempre più vicina al cinema italiano, prende parte a "La guerra di Mario" di Antonio Capuano e a "A casa nostra" di Francesca Comencini; nel 2007, invece, è la volta de "La ragazza del lago", di Andrea Molaioli, e di "Lascia perdere, Johnny!", di Fabrizio Bentivoglio. Dopo "Il sole nero" di Krzysztof Zanussi, Valeria recita in "La fabbrica dei tedeschi", di Mimmo Calopresti, e in "Giulia non esce la sera", di Giuseppe Piccioni.

Nel 2009 recita al fianco di Sergio Rubini ne "L'uomo nero”, mentre l'anno successivo fa parte del cast de "La scuola è finita", di Valerio Jalongo. Nel 2013 presenta al Festival del Cinema di Cannes il suo primo film da regista, "Miele", ispirato al drammatico tema dell'eutanasia; nella veste di produttore c'è il compagno Scamarcio.

Nel 2020 recita in "Lasciami andare", assieme a Serena Rossi e Stefano Accorsi.

L’incontro con Alessandro Dobici, il fotografo

Abbiamo parlato spesso con Alessandro, sempre con rinnovato piacere. I dialoghi parevano quelli che intercorrono tra persone che si conoscono da anni. Il merito va ascritto anche alla fotografia, non c’è dubbio: la passione comune; ma secondo noi c’è dell’altro, eccome. Ci rendiamo conto come Dobici abbia affrontato la fotografia col piede giusto, in una continua verifica con se stesso. Anche gli inizi infantili gli sono stati utili, quando la madre lo chiamava a documentare le vacanze. Lì ha compreso il suo atteggiamento nei confronti dello strumento, del quale non poteva più fare a meno. Perfino in laboratorio, mentre curava le cromie di milioni di negativi, assorbiva immagini, le faceva proprie, con un bisogno che diventava compulsivo, necessità assoluta. C’è qualcosa in più, comunque; e l’ha capito anche Giovanni Cozzi, suo maestro: Alessandro non chiedeva nulla, semmai cercava. Ancora una volta ci troviamo a citare Edward Steichen, quando diceva: “Missione della fotografia è raccontare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso”. E attenzione, il fotografo lussemburghese non parlava di possedere la fotografia e nemmeno di che uso farne, semmai ce la metteva a disposizione, per chi avesse voluto raccontare e raccontarsi. E Alessandro si guarda spesso dentro, in quella solitudine che cerca tra un lavoro e un altro, lontano dalle false valutazioni e dai luoghi comuni; così è pronto per gli impegni futuri e anche nel dialogo con noi. Le parole funzionavano già, come se fossero state pronunciate da tempo. E allora? Impariamo una volta di più come il fotografo non abbia palcoscenici e nemmeno applausi. La sua pratica è relazionale, ma parte da dentro; e anche da quello stare soli che alle volte non guasta, anzi.

Il fotografo Alessandro Dobici, note biografiche

Alessandro Dobici nasce a Roma il 14 dicembre 1970.

Ha otto anni quando, d’estate, sua madre gli chiede di ritrarla in quello che è il luogo delle loro vacanze da sempre, Capodarco di Fermo, nelle Marche. Alessandro prende in mano la macchina fotografica per la prima volta, ed è subito attrazione. Dieci anni dopo, per il suo diciottesimo compleanno, quando riceve in regalo dai due fratelli maggiori un sassofono elettronico, non ha esitazioni: lo cambia con una reflex, una Yashica fx3 – 2000. Con quella, comincia a fotografare tutte le volte che può, prediligendo alle persone paesaggi e oggetti. «All’inizio fotografavo solo paesaggi perché non volevo interagire con le persone. C’ero solo io, il mio obiettivo, nessuno poteva vedere ciò che guardavo. Poi col tempo ho capito che fare fotografie poteva essere il più importante, gratificante e bel modo di esprimere me stesso e di conoscere gli altri».

Insieme alla fotografia coltiva un’altra passione, il volo. Studia, si diploma in costruzioni aeronautiche, ma poi, come sempre, arriva il momento di scegliere. Decide che vivrà di fotografia e trova lavoro come assistente in un laboratorio di sviluppo e stampa, così riesce, fuori orario, a stampare anche le sue immagini, nello sforzo continuo di migliorare. Nel 1993, grazie a uno dei fratelli, ottiene un incontro con il noto fotografo Giovanni Cozzi e diventa il suo assistente. Lascia il laboratorio di cui nel frattempo era divenuto responsabile. È nello studio di Cozzi che impara che cos’è e come si gestisce un set fotografico. Sei mesi dopo, Alessandro inizia a scattare book e a fare progetti di reportage. Un anno più tardi, con l’aiuto del padre, rileva una quota dello studio di Cozzi.

Nel 1994 va a Cuba come assistente per un servizio di moda. Quando non è impegnato sul set, gira l’isola e realizza un reportage. Nel 1995 è in Islanda, ancora per un servizio di moda. S’innamora del Paese dove tornerà, negli anni seguenti, altre cinque volte. Molte delle immagini del progetto espositivo sono state riprese in questa terra lontana. Dopo tre anni nello studio di Giovanni Cozzi si sente maturo e alla fine del 1997 decide di rendersi indipendente in uno spazio proprio.

La prima pubblicazione importante arriva nel 1996 con il settimanale Max: è un servizio fotografico ad Alessandro Gassman. Da allora, Dobici s’impone come ritrattista, amato dai più noti personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura e della politica. I suoi ritratti sono pubblicati su prestigiose testate, tra cui Amica, King, L’Espresso, Harperʼs Barzaar, Max. «Mi interessa capire cosa c’è dietro e cosa hanno da dire le persone che incontro e fotografo. Il ritratto è un’occasione unica di poter rendere pubblico il mio punto di vista. E quando ritraggo un personaggio, cerco di raccontare la mia percezione sulla sua essenza, prima che sulla sua immagine».

Nel 1996 realizza le fotografie di scena del film di Bigas Luna Bambola. Trovandosi sul set, la rivista Ciak lo invita a realizzare un servizio di ritratti al regista che rimane colpito dal lavoro di Dobici e lo vuole ancora come fotografo di scena nei film “La Cameriera del Titanic”, con Aitana Sanchez Gijon, e “Volaverunt”, con Penelope Cruz.

Appassionato anche di musica, decide nel 1996 di mettersi in contatto con Claudio Baglioni. Gli invia il suo book, senza sperare in una risposta. Invece, Baglioni lo chiama e lo incontra. Dobici torna in studio senza il ritratto del cantante, ma con qualcosa di molto più importante: la promessa di realizzare un libro. Diventa così il fotografo ufficiale di Claudio Baglioni. Lo segue durante i tantissimi concerti e i progetti speciali condivisi che costruiscono e cementano una collaborazione e un’amicizia che dura ancora oggi, da più di ventʼanni.

Nel 1998 esce “C’era un cavaliere in bianco e nero”, pubblicato da Mondadori con oltre 250 fotografie di Baglioni tra ritratti e fotografie riprese durante i tour del cantante. Dobici firma anche la direzione creativa del volume insieme a Guido Tognetti.

Nel 2001 fonda a Roma la Contents, uno spazio polifunzionale di 500 mq. La sua attività professionale s’intensifica, affermandosi anche nel campo della pubblicità, contribuendo al successo di importanti campagne per Fendi, Belstaff, Reebok, Hoya, Tim, Alice. Dobici continua a viaggiare e torna a Cuba nel 2002 e nel 2004 per realizzare le campagne pubblicitarie di Valtur. Essendo responsabile dell’immagine dell’azienda a livello mondiale, gira in quegli anni tutto il mondo.

Nel 2002 viene chiamato da David Zard, uno dei più importanti produttori musicali italiani, per curare l’immagine del musical Notre Dame de Paris. Replica l’esperienza nel 2013 con Romeo e Giulietta. Dal 2004 al 2006 insegna fotografia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma. La mostra “Alessandro Dobici, vent’anni di fotografia” è stata esposta a LʼAvana, Cuba, presso lʼInstituto Cubano de Amistad con los Pueblos dal 3 al 30 giugno 2017. Nel 2018 il Chiostro del Bramante a Roma e nel 2019 il Real Albergo dei Poveri a Palermo, e la Chiesa di San Calogero a Nicosia hanno ospitato le sue opere. Nel 2018 la RAI realizza un documentario biografico sulla sua vita e il suo lavoro. Nel 2019 viene trasmesso in prima serata su RAI5.

Il tempo puro del fotografo Matteo Chinellato

Matteo Chinellato è appassionato di minerali. Li scatta con rigore, ottenendone documentazioni scientifiche. Tutto qui? No, potremmo dire; perché fotografare con precisione vuol dire presentarsi alla fotografia come un interprete “allenato” e propenso a imparare. Quando poi il nostro esce per paesaggi, la palestra dei cristalli diventa quasi una dote utilizzabile. Certo, viene a mancare il dettaglio scientifico, ma al suo posto Matteo propone attesa, pazienza, lentezza, dedizione. Riscontriamo tutto ciò nei paesaggi e anche in quella Venezia che lui non smette mai di riconoscere, con l’umiltà del novizio.

E’ tutta una questione di tempo, per delle immagini che si riconoscono nella purezza, persino quando queste sono dedicate ai grandi del Cinema. Ne scaturisce una limpidezza che in primis risiede nello sguardo e che deve essere solo aspettata, con quel tempo che diventa finalmente riflesso o dettaglio: tra un B/N che squilla e un colore che meraviglia. E’ un tempo che diventa puro, quello di Matteo; lo stesso che rende le sue opere riconoscibili, e quindi autoriali. Bravo.

Matteo Chinellato, note biografiche

Matteo Chinellato nasce a Venezia il 24 luglio 1974, la sua passione per la fotografia nasce attraverso il padre, restauratore d'arte, dove usa macchine fotografiche analogiche per la ripresa dei restauri su dipinti e altri oggetti artistici che arrivano presso il laboratorio di restauro. A circa 10 anni riceve una Mupi M6 con cui inizia a scattare le prime fotografie. Verso il 1985, con la visita di Papa Giovanni Paolo II a Venezia, usa per la prima volta una Pentax MX con zoom e scatta le prime fotografie di " cronaca ". Da li la passione per la fotografia sarà totale. Dopo essersi diplomato in Maestro d'arte d'Oreficeria presso l'Istituto d'Arte di Venezia, si iscrive all'Università in Beni Culturali, ma dopo soli due anni abbandona gli studi a causa del servizio di leva. In questi due anni di Università conoscerà un altro punto fondamentale della fotografia, il prof. Italo Zannier che gli farà conoscere la Storia della Fotografia ( con 30 e lode all'esame ) di cui anche ora resta sempre in amicizia.

Verso il 1997 inizia ad aiutare i suoi genitori nella fotografia d'arte fotografando quadri, statue etc. che arrivano continuamente presso il laboratorio di restauro come documentazione fotografica del proseguimento dei lavori, oppure come fotografo ufficiale durante l'allestimento delle mostre presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia.

Nel 2009 passa dalla fotografia amatoriale alla professionale, specializzandosi in micro-macro fotografia mineralogica-gemmologica, natura, aeronautica, cinema e cronaca. Accreditato a diversi eventi importanti di Venezia ( Mostre del Cinema, America's Cup, Visita Ponificia etc.. ) diventa collaboratore di Getty Images, CorbisImages e PhotoShot oltre a varie collaborazioni con altre testate come il Corriere della Sera - Veneto. Diverse sono le fotografie pubblicate online, su riviste, libri etc... Nel 2014, con la collaborazione del prof. Zannier, espone la prima mostra personale dedicata a Venezia con un ottimo successo di pubblico. Diverse sue fotografie si trovano nelle collezioni private di vari famosi fotografi italiani. Nel settembre 2014 ha esposto la sua seconda mostra personale dedicata alla Mostra del Cinema di Venezia e nel novembre 2014 una terza mostra fotografica dedicata alla Grande Guerra.

Le fotografie

Valeria Golino fotografata da Alessandro Dobici

Valeria Golino fotografata da Matteo Chinellato

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