CLAUDE CAHUN E L’AUTORITRATTO SURREALISTA
Scrittrice e artista, Cahun (nata Lucy Renée Mathilde Schwob) faceva parte della cerchia surrealista; di questa condivise la poetica degli oggetti quotidiani e l’ossessione per la dimensione onirica, fantasmatica e mutante dell’immagine corporea. Dedicò la maggior parte del suo cospicuo lavoro fotografico all’elaborazione di forme di auto rappresentazione che non contenessero alcun segno distintivo di femminilità o mascolinità, con esiti che quasi trascendono dall’umano.
Autoritratti, quindi; ebbene, nella storia della fotografia, a ritrarsi da sole sono state soprattutto le donne: Francesca Woodman, Cindy Sherman, Wanda Wulz, Dora Maar; ma anche Claude Cahun, Ilse Bing, Lisette Model, Imogen Cunningham e tante altre. Questioni di vanità? No, mai; piuttosto si trattava di un bisogno, talvolta di una cura.
Come ci racconta Concita De Gregorio nel suo libro “Chi sono io?”, anche il tempo diventa un fattore determinante nello scatto a se stessi, che poi lo è della stessa fotografia. Ore, minuti, secondi, scorrono senza tregua; ma è un’illusione pensare che il loro andamento sia lineare. Più spesso accelerano, rallentano, tornano indietro, confluiscono, suggeriscono, esortano, ricordano. Possono diventare un lusso o anche un’ossessione. L’autoritratto compie per questo quasi una forzatura: diventa un testacoda, un passo più lungo della gamba che torna indietro verso l’interiorità. Per cercarla.
E allora? Domande; e poi sussurri, suggerimenti, persino preghiere. “Guardami”, sembrano esortare gli autoritratti, in attesa di una risposta. Ne è emersa una piccola rivoluzione. La donna, con la fotografia, ha potuto mostrarsi per come sarebbe voluta apparire, magari proponendosi, chiedendone conferma. Troppo spesso ne abbiamo rifiutato il dialogo conseguente. È ora di cambiare, rispondendo sin d’ora alla domanda: “Chi sono io?”. Vale per tutti, ovviamente; soprattutto per noi uomini. Potrebbe iniziare una nuova era, della quale abbiamo bisogno adesso. Saranno le donne a salvarci, se solo sapremo ascoltarle.
Claude Cahun, la vita e le opere
Claude Cahun, artista, scrittrice e fotografa è nata il 25 ottobre 1894 a Nantes, in Francia. Il suo lavoro era molto personale e spesso si occupava di concetti di sessualità e genere. Il suo nome di nascita era Lucy Renee Mathilde Schwob, ma mantenne alcuni pseudonimi, come Daniel Douglas o Claude Courlis, ma alla fine si decise per Claude Cahun.
Nel 1912 iniziò a fare autoritratti usando una macchina fotografica. Aveva diciotto anni e continuò a farlo fino agli anni '30. Cahun è ricordata per i ritratti di se stessa elaborati in modo che includessero un'estetica visiva surreale. Spesso si è travestita in vari modi, con la testa calva o sdraiata su delle foglie vestita come un uomo, un buddha, una bambola spaventosa o una donna. Nei suoi autoritratti ha sempre ignorato i confini del desiderio e del genere.
All'inizio degli anni '20 risiedeva a Parigi con Suzanne Malherbe, la sua compagna personale e professionale. Entrambe hanno collaborato, comunicando in vari modi: scritti, collage, fotomontaggi e sculture. Erano tutte e due zelanti attiviste politiche. Il duo ha stampato e fatto circolare materiale di propaganda contro i nazisti. Per questo motivo, nel 1940 furono arrestate fino alla fine della guerra. La salute di Cahun era peggiorata, ma ha comunque continuato con la fotografia.
Claude Cahun ha scritto molti saggi, che sono stati pubblicati su giornali e riviste, tra questi Les Paris sont Ouverts (1934). Nel 1932, incontrò René Crevel e André Breton, quando fu inclusa come membro dell'Association des Écrivains et Artistes Révolutionnaires, iniziando subito dopo a comunicare con un gruppo di surrealisti. Ha poi partecipato a molte mostre di surrealismo, tra cui Exposition surréaliste d'Objets a Parigi e London International Surrealist Exhibition. Nel 1935 ha co-fondato Contre Attaque, un gruppo di sinistra, insieme a Georges Bataille e André Breton. In un'epoca in cui gli artisti surreali erano per lo più uomini, che ritraevano le donne come oggetti erotici e sessuali; Claude Cahun ha esemplificato le molteplici e camaleontiche possibilità delle identità delle donne. Sia i suoi lavori scritti che quelli fotografici sono stati influenti per molti artisti, in particolare Nan Goldin e Cindy Sherman.
La fotografia è senza dubbio un campo che è stato continuamente rivoluzionato visivamente e storicamente. Ci sono stati molti tipi di fotografi: quelli che ritraggono la realtà e altri a cui piace recitare e catturare la loro performance. Il lavoro di Cahun non ha rappresentato altro che un continuo spettacolo teatrale. Fotografarsi è come rendersi vulnerabili a tutti i tipi di giudizi e interpretazioni. Ci vuole grande audacia per rappresentarsi al mondo attraverso un'immagine. Per mezzo del suo lavoro fotografico, Cahun ha espresso diverse emozioni, usando il linguaggio del corpo, i gesti, la postura, gli occhi, i vestiti e lo sfondo delle sue immagini.
Le sue auto-fotografie (dal 1927 al 1947) sono state esposte all'Institute of Contemporary Arts di Londra, 1994. Mostre del suo lavoro si sono svolte dal 1936 in tutto il mondo, inclusa la Presentation House Gallery canadese, 1998; il Museo Folkwang di Essen, 1998; la Grey Art Gallery di New York, 1999 e 2000; il Virreina Centre de la image di Barcellona, 2011 e 2012; e in molte altre località.
Claude Cahun è morta l'8 dicembre 1954.
Un libro sull’autoritratto femminile.
“Chi sono io?”, Autoritratti, identità, reputazione, di Concita De Gregorio (ed. Contrasto)
Tra identità e reputazione: questo è il viaggio fotografico che ci propone Concita De Gregorio. Sì, perché lei prende in esame l’autoritratto: quello scatto di tempo dove si decide il “quando”, ma nel quale l’obiettivo viene rivolto verso se stessi. Si tratta di un’indagine tutta al femminile, perché è la donna fotografa a ritrarsi spesso, anzi: quasi sempre. Ne sono degli esempi: Francesca Woodman, Cindy Sherman, Wanda Wulz, Dora Maar; ma anche Claude Cahun, Ilse Bing, Lisette Model, Imogen Cunningham.
Concita ha letto a lungo gli autoritratti “femminili”, ricercandoli indietro nella storia. Non solo, ha anche intervistato cinque autrici contemporanee, dialogando con loro sui temi più disparati: la famiglia, la madre, l’infanzia, la solitudine, la paura, il corpo, il sesso, i figli. E poi, ecco comparire il tempo: quello che c’è, per poi scomparire subito dopo. Ne scaturisce l’ansia della presenza – assenza, l’ossessione della scomparsa, il significato della vita. L’autoritratto assume così un significato terapeutico: una medicina contro il male di vivere, per incontrare e incontrarsi, al fine di essere osservate (le donne) per come si è e non per come si dovrebbe essere.
Del libro ci è piaciuta la costruzione, il procedere narrativo. Le storie vengono fuori senza sforzo: tutte attingendo a temi universali, dove il tempo torna su se stesso, circolarmente. Già, perché la morale ci viene offerta nell’ultimo capitolo, proprio riferendosi ai cicli e ricicli del divenire. Oggi la reputazione è importante (i like) e misura il successo. Quest’ultimo non è più un fatto occasionale e, nella rete, arriva quasi a modellare l’identità. Cambieranno le cose, però; dovrà essere così. Perché forse non basterà più piacere (a chi, poi?), ma occorrerà ancora capire e capirsi. Sono significative le ultime tre righe prima delle biografie: “In ultimo, quello che conta è solo esistere nel cuore di un altro”. “Non somiglio a nessuno, eppure ti somiglio”. “Guardami, ecco come sono, tienimi”. “Ti tengo, ti amo, ti guardo”.
Le fotografie
Claude Cahun, autoritratto. Immagine riflessa nello specchio, con giacca a scacchi, 1928.
Claude Cahun, autoritratto. 1912.