LA METROPOLITANA DI KUBRICK
Il 27 ottobre 1904 venne inaugurata la metropolitana di New York. Tra le più estese del pianeta, funziona 24 ore su 24 e per 365 giorni l’anno. Come tutte le Subway, anche quella della Grande Mela è un luogo fotogenico, interessante a esplorarsi: perché contenitore di storie, espresse da interpreti (i viaggiatori) che si muovono per uno scopo e con l’emotività che ne consegue.
La metropolitana di New York ha ospitato le scene di grandi film, entrati nella memoria collettiva: ambientazioni urbane e contemporanee, sempre coerenti con la trama. Tra i titoli ricordiamo: “I guerrieri della notte”, “Il braccio violento della legge”, “Il colpo della metropolitana”, “King Kong”, “La febbre del sabato sera”, “Il dittatore dello stato libero di Bananas”, quest’ultimo di Woody Allen (1971).
Come abbiamo già scritto tempo addietro, Kubrick prima di diventare un regista di fama mondiale lavorò come fotografo per alcune riviste nella città di New York, tra il 1945 e il 1950. Nel 1946, per un breve tempo, Kubrick collaborò con la rivista LOOK, alla ricerca della quotidianità, ritraendo persone comuni mentre vivevano in metropolitana. Non c’è da meravigliarsi se nella Subway Kubrick sia stato in grado di cogliere storie e personaggi, utili per un racconto che andava fotografato.
Nelle fotografie che il regista ci ha tramandato, troviamo momenti romantici o ironici, ma anche semplici particolari di vita e piccoli dettagli. Pare che Kubrick abbia scattato solo nel momento in cui la metropolitana era ferma, per via delle vibrazioni. Quello che vediamo, però, non è solo un’anticipazione della street: ogni fotogramma diventa l’inizio di una scena che potrebbe muoversi un attimo dopo, come in un film. Oltretutto, se anche talvolta compare l’ironia, questa non trascende mai nella comicità.
Il lavoro di Stanley Kubrick circa la metropolitana della Grande Mela conta 15.000 scatti, conservati nel Museum of the City of New York.
Stanley Kubrick fotografo, uno di noi
Stanley Kubrick era un genio. Ha dimostrato di esserlo nella cinematografia, ma anche impugnando la fotocamera, almeno agli inizi della sua carriera. Il suo caso merita addirittura un approfondimento; questo perché, se esistono dei punti di contatto tra fotografia e cinema al di là di aspetti di carattere tecnico, Kubrick ne è la dimostrazione più palese. I suoi scatti, realizzati tra il ’45 e il ’50, mostrano una profonda maturità, rivelandosi lontani da aspetti documentativi di carattere giovanile. Lui non descrive un periodo storico, né esegue semplici lavori di reportage. Sin dagli inizi, Kubrick si confronta col mezzo fotografico, lo analizza, cerca di coglierne le possibilità, sempre per descrivere una percezione del reale tutta propria. Sotto questo profilo, la sua carriera artistica non presenta discontinuità: comincia con la fotografia e continua con il cinema. Al centro della sua ricerca c’è sempre stata l’ambiguità dell’immagine, fissa o in movimento; forse per questo è stato capace di cimentarsi in quasi tutti i generi cinematografici (il noir, il thriller, la satira politica, la fantascienza, l’opera storica e tanti altri).
Scoprire che Stanley Kubrick sia stato un maestro della fotografia non può che riempirci d’orgoglio. Dalla fotocamera (e dal suo linguaggio) è nata una delle carriere più esaltanti della storia del cinema, quella che ha prodotto: Arancia Meccanica, 2011 Odissea nello spazio, Full Metal Jacket, Barry Lyndon, solo per citare alcuni titoli. Ereditò la passione per l’immagine fissa dal padre (assieme a quella per gli scacchi) e s’impadronì subito dello strumento, disobbedendo anche alle convenzioni dell’epoca.
A questo punto, una domanda (pur banale) sorge spontanea: sarebbe possibile, oggi, un percorso come quello del nostro regista? Anche quando i processi tecnologici di cinema e fotografia sembrano fondersi con facilità? La risposta è difficile, e risulterebbe contaminata da mille attenuanti: al giorno d’oggi non esiste Look (la rivista), né il reportage “edotto” con tutte le sue declinazioni. Di certo il quesito andrebbe posto in altri termini, perché non è del percorso artistico che occorre validare una fattibilità; sarebbe necessario riflettere se la società tutta, globale per giunta, sia in grado di accettare un artista capace di trasfigurare le convenzioni, rigettando i luoghi comuni.
Le fotografie
The New York Subway by Stanley Kubrick, 1946