ALAIN DELON, FASCINO E TALENTO
Come in un film: così si potrebbe definire la vita di Alain Delon. A 17 anni è in Indocina, come militare; spesso in prigione per punizione. Irrequieto e tenebroso, è comunque un predestinato: sempre sulla cresta dell’onda, col destino in mano. Arriva il cinema, con i grandi registi che lo vogliono; così cederà poche volte alle commedie “facili”. Ad aprirgli il successo sono stati gli occhi, lo sguardo; ma anche quell’aria da eterno ragazzo, ribelle però taciturno, certo che la vita gli avrebbe offerto tutto, senza chiedere. Ecco quindi gli amori, tanti, invidiabili, impossibili: dove gioia e dolore si mescolavano nella concessione di un tempo labile, sfuggente; perché lui era così, senza padroni. Prendere o lasciare.
Alain Fabien Maurice Marcel Delon è nato a Sceaux, Hauts-de-Seine, in Francia, l’8 novembre 1935. I suoi genitori divorziarono presto e Delon ebbe un'infanzia burrascosa, quando veniva spesso espulso da scuola.
Tra il 1953 e il 1954 ha prestato servizio con i marines francesi in Indocina. A metà degli anni '50 ha svolto vari lavori saltuari, tra cui: cameriere, commesso e facchino nel mercato di Les Halles. Decise poi di tentare la carriera di attore e nel 1957 fece il suo debutto cinematografico in Godot (1957), di Yves Allégret. Nel 1960 ricevette un riconoscimento internazionale per il suo ruolo in “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti (1960). Nel 1961 è apparso sul palco in "Peccato che sia una sgualdrina", per la regia di Visconti, a Parigi.
Delon ha impersonato l'uomo giovane, energico, spesso moralmente corrotto. Con il suo bell'aspetto era anche destinato a interpretare il ruolo dell’eroe romantico, la versione francese del James Dean americano. Il suo primo successo è arrivato nei panni di Tom Ripley, nel thriller di Rene Clement “Delitto in pieno sole” (1960), dove ha dato vita al ritratto psicologico di un giovane cinico assassino che tenta di assumere l'identità della sua vittima. Un ruolo del tutto diverso gli viene offerto da Visconti in “Rocco e i suoi fratelli” (1960). In questo film Delon interpreta il devoto Rocco, che accetta i più grandi sacrifici per salvare il fratello Simon.
Dopo diversi altri film in Italia (tra questi "L'eclisse", 1962, con Monica Vitti e "Il Gattopardo", 1963 di Luchino Visconti, come il precedente) Delon torna al genere criminale con Jean Gabin in “Colpo grosso al Casinò” (1963). Il suo lato duro e spietato è stato utilizzato per la prima volta da Jean-Pierre Melville in “Frank Costello faccia d'angelo” (1967). Nel 1970 ha raggiunto un enorme successo col sanguinario “Borsalino” (1970), dove interpreta un piccolo gangster negli anni '30 che, con Jean-Paul Belmondo, diventa il re della malavita marsigliese. Delon in seguito ha ottenuto il plauso della critica per i suoi ruoli in “Mr. Klein” (1976) di Joseph Losey, in cui ha interpretato (brillantemente) il ruolo del protagonista gelido e sinistro, e nel film d'arte “Un amore di Swann” (1984).
Alain Delon, i tanti amori di una vita
Il fascino di Alain Delon si è fatto largo anche nella vita, con tanti amori. Famosa è la relazione con Romy Schneider, conosciuta durante la lavorazione del film “L’amante pura”. La coppia sta insieme 4 anni, durante i quali l’attore ha un flirt con Nico, una cantante. Nascerà un figlio, mai riconosciuto e adottato dalla madre di Delon.
Nel ’64 l’attore francese si sposa con Nathalie Delon, che lo renderà padre per la seconda volta. Prima del matrimonio, però, ecco un’altra relazione: quella con l’attrice Marisa Mell, lasciata il giorno prima delle nozze. Nathalie e Delon divorziano nel 1968, quando subentra Mirelle Darc per cinque anni, durante i quali i flirt di Alain s’infittiscono: Veronique Jannot, Sylvia Kristel, Sydne Rome e Dalila Di Lazzaro popoleranno il suo cuore.
Seguiranno altri nomi e ancora due figli, ma ci stavamo dimenticando di un’antica passione, quella per la cantante Dalida negli anni ’60, da lui amata terribilmente (sono sue parole).
Robert Doisneau, la vita
Doisneau nasce il14 Aprile 1912, a Gentilly. Lui, poeta della fotografia francese, trascorre l’infanzia a Corréze, per via della madre ammalata di tubercolosi. Quest’ultima si mostrerà autoritaria e rappresenterà per il giovane Robert l’alter ego della propria sensibilità. Lui amava la pesca, che praticava con l’aiuto dello zio o le tante volte nelle quali marinava la scuola. Il padre, a lungo atteso a guerra finita (1918), si rivelerà una delusione. La voglia di una figura teutonica e forte venne delusa. L’infelicità, comunque, era ancora più vicina: perché la madre moriva appena un anno dopo il ritorno della famiglia a Gentilly. Robert prende ancora più le distanze dal mondo, sin dal funerale; lo immaginiamo distratto dietro al carro funebre, ma anche al cimitero, dove il padre conoscerà la sua seconda moglie. Quest’ultima si rivelerà ancor più severa e costrittiva, persino gelosa e punitiva. Il futuro fotografo scoprirà la solitudine, quel non sentirsi appartenente a niente e a nessuno, nemmeno a quella classe “piccolo borghese” che la nuova residenza stava a significare.
Quel bambino timido e goffo inizia a osservare in maniera acuta, particolarmente nelle fughe verso la periferia: segno di disobbedienza, da un lato; ma anche dell’identificazione di quel teatro che, per tutta la vita, rappresenterà il suo territorio di ricerca fotografica.
Nel 1925 viene ammesso, in qualità di allievo incisore - litografo presso la scuola di Etienne, un istituto dedicato alle Arti Grafiche. Gli studi primari erano stati condotti di malavoglia e in maniera irregolare. Doisneau non riceve alcun insegnamento di fotografia, che incontrerà, per la prima volta e alla lontana, quando verrà assunto presso uno studio grafico, dove disegna alcune etichette per dei medicinali. Siamo nel 1929. Solo frequentando gli atelier di Montparnasse Robert incontrerà la fotografia: questo nei contrasti degli “anni folli” della Parigi del tempo. Inizia così un bisogno compulsivo di fotografare, che lo porta a esplorare inconsapevolmente gli scenari visitati, anni prima, da Atget.
L’incontro con André Vigneau (fu il suo assistente dal 1931) risultò fondamentale per Robert, come più volte ha confermato lui stesso: “... lui mi parla di un’altra filosofia, un’altra pittura, un altro cinema”. Presso lo studio dell’artista Doisneau incontrerà l’avanguardia parigina, tra cui Prévert. Sarà il servizio militare ad allontanare il nostro dallo studio di Vigneau ed al ritorno non potrà essere assunto nuovamente, per questioni economiche. Doisneau troverà lavoro nell’ufficio pubblicitario di Renault, tra il 1934 e il 1939: anni nei quali il fotografo consoliderà la propria vita sentimentale, sposando Pierrette. Ma un luogo chiuso non era per lui, che tra l’altro aveva sempre visitato le periferie anche per disobbedire, per infrangere le regole. Così, quando viene licenziato, siamo alle soglie della Seconda Guerra Mondiale.
Gli anni 50 - 60 saranno per Doisneau quelli della consacrazione. È una Francia “fotografica” quella che i professionisti si trovavano a disposizione. A parte le varie iniziative culturali (Arlés, ad esempio), vengono sviluppati dei programmi di commesse pubbliche a vantaggio dei fotografi. Negli anni ‘80 accetterà anche di rivisitare le sue periferie; ma erano diverse da quelli di anni prima. Sarà Sabine Azéma, l’attrice da lui fotografata, a fargli scoprire la Parigi a lei prossima. Avendo sempre privilegiato il rispetto per l’uomo a scapito della tecnica, è stato definito “fotografo umanista”. Nella sua carriera, ha preso spunto da varie parti: dal costruttivismo, dal surrealismo, dal Cinema Sovietico. Con “il Bacio dell’Hotel de Ville” ha raccontato una storia eterna.
Bert Stern, il fotografo
Bert Stern nasce il 3 Ottobre 1929. Il suo nome è legato a quello di Marylin Monroe. La star americana non fu comunque l’unica a passare davanti l’obiettivo del fotografo, la cui carriera è costellata di bellissime donne. Del resto diceva: “Le donne e la fotografia sono le mie passioni”. Tra le dive ritratte da Bert ricordiamo: Elizabeth Taylor, Romy Schneider, Audrey Hepburn, Catherine Deneuve, Madonna agli esordi; e poi, Brigitte Bardot, Sophia Loren, Twiggy, Verushka e anche una straordinaria Kate Moss con i capelli corti.
Tornando a Marylin, Stern la incontra poco prima del suo (presunto?) suicidio. Fu un momento esaltante, spiegherà il fotografo, avvenuto presso l'hotel Bel-Air di Hollywood. Lei era leggermente dimagrita (sempre nel commento dell’autore), il che la rendeva ancora più bella. La rivista Vogue selezionerà otto immagini, che verranno pubblicate dopo la morte dell'attrice. Il lavoro completo verrà poi pubblicato nel libro “Marilyn Monroe The Complete Last Sitting”, dello stesso Stern.
Il fatto curioso che accompagna il lavoro di Stern sta nei danni che l’attrice procurò su alcune dia. Dopo averle visionate, Marylin cancellò la propria immagine, in alcuni casi graffiandola irreparabilmente. Lei stava per morire e, per prima cosa, ha ucciso la propria bellezza, con la quale ha sostenuto sempre un rapporto controverso.
Le fotografie
Alain Delon fotografato da Robert Doisneau in Piazza San Marco a Venezia, 1962.
Alain Delon fotografato da Bert Stern