IL CINEMA DIVENTA MUSICA
Il 10 novembre 1928 nasce Ennio Morricone, musicista e premio Oscar per le sue opere. La musica resta: questo scrivemmo in occasione della sua dipartita. Lui lascia pagine d’ascolto geniali, che continueranno a passare per le fessure della nostra vita. Poche note, poi un pieno; strumenti originali, contrappunti che diventano melodia: questa è l’eredità che ci viene lasciata, incredibile e riconoscibile. E’ vero, Morricone ha giganteggiato nelle colonne sonore, quando la stessa musica sopravanzava, e anticipava, le immagini. Eppure lui è distinguibile ovunque, anche perché ha unificato sinfonia e brani popolari, lasciando una traccia indelebile persino nelle canzoni. In “Sapore di Sale” (Gino Paoli) alla melodia si affianca il basso “pennato”, col pianoforte in controtempo. Anche questo era Ennio Morricone: il nuovo, sempre. Esplode un ponte e una donna canta la melodia. Siamo di fronte a “Giù la testa” (il film), la stessa che dobbiamo inchinare nel ricordo di un grande italiano.
Con il regista Sergio Leone ha formato uno dei grandi sodalizi tra regista e compositore, come è stato per Eisenstein e Prokofiev, Hitchcock e Herrmann, Fellini e Rota). Ennio Morricone ha studiato al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, dove si è specializzato in tromba. Le sue prime colonne sonore per film erano relativamente insignificanti, ma fu assunto da Leone in “Per un pugno di dollari (1964)” sulla base di alcuni dei suoi arrangiamenti di canzoni. La sua colonna sonora per quel film, con la strumentazione non ortodossa (campane, chitarre elettriche, armoniche, il caratteristico suono dell'arpa ebrea) e le melodie memorabili, ha rivoluzionato il modo in cui la musica sarebbe stata usata nei western, ed è difficile pensare a una colonna sonora western post Morricone che non rifletta in alcun modo della sua influenza. Morricone ha comunque contribuito a una vasta gamma di altri generi cinematografici: commedie, fiction, thriller, film horror, romance, film d'arte, rendendolo uno degli artisti più versatili. Ha scritto quasi 400 colonne sonore di film, quindi un breve riassunto è impossibile, ma il suo lavoro più memorabile include i film di Leone, “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo (1966), “Mission” di Roland Joffé (1986), “Gli intoccabili” di Brian De Palma e Nuovo Cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore, oltre a un raro esempio di titoli di testa cantati per “Uccellacci e uccellini” (1966) di Pier Paolo Pasolini.
Una splendida carriera (Fonte: sito ufficiale, enniomorricone.org)
E’ impossibile richiamare alla mente i film di Sergio Leone – Per un pugno di dollari (1964), Il buono, il brutto e il cattivo, (1966) C’era una volta il West (1968) e C’era una volta in America (1984) – senza la musica di Morricone.
Il sodalizio artistico tra il compositore e il regista era talmente stretto che una volta Leone usò le seguenti parole per descriverlo: “Un matrimonio come si usava tra i Cattolici prima della legge sul divorzio”. E Morricone contraccambiò il complimento dicendo: “Leone pretendeva molto di più dalla musica rispetto agli altri registi – e dava alla musica molto più spazio”.
Dagli schiocchi di frusta, alle campane, dai fischi agli strumenti folk, passando per le liriche incomprensibili e i riff della mitica Strato, alle composizioni romantiche dell’America con i malinconici zufoli dell’Europa dell’est e la robusta struttura orchestrale, l’opera di Morricone e Leone corre su binari paralleli. Le note iniziali di Il buono, il brutto e il cattivo sono tra le più riconoscibili nella storia del cinema.
Ciononostante, Morricone ha sempre tenuto a sottolineare che anche nel suo periodo più prolifico, quello tra gli anni 1960 e 1970 – riguardo al quale Bernardo Bertolucci una volta disse scherzando “di questi tempi è impossibile vedere un film italiano importante senza la musica di Ennio” – in realtà ha composto le musiche solo per trentacinque film Western su un totale di 450. Poiché scriveva da solo a mano ogni singola nota e considerava la composizione e l’orchestrazione come parti di un unico processo, il risultato appare ancora più straordinario perché ha comunque composto più musica per il cinema di qualunque altro compositore nella storia.
A parte i già citati film Western, ricordiamo gli inni rivoluzionari di Queimada (1969) e Novecento (1976), gli “horror” di Argento e Carpenter, le storie dei gangster di Il clan dei Siciliani (1969) e The Untouchables (1987), oltre a innumerevoli temi d’amore che tendono verso il barocco, le sequenze d’azione atonali, le elegie nostalgiche, gli inni lirici, i minacciosi archi, le avventure stridenti e una hit parade italiana di grandi successi costituiti dai temi principali. Morricone sembra altrettanto a suo agio sia nei film di genere (e mi riferisco a tutti i generi) sia nei film cosiddetti minori, più personali e intimisti. In Mission (1986), ha creato una magnifica colonna sonora che ruota intorno al tema del potere della musica – musica che è vista da un lato come salvezza e dall’altra come simbolo dell’oppressione coloniale: il film si chiude sull’immagine di un violino rotto che galleggia sulle acque del fiume. Nei cinquanta anni di carriera come compositore di musica per il cinema a tutto campo, ha composto creazioni originali e uniche, che comprendono sia brani semplici (e orecchiabili) sia arrangiamenti complessi, strumenti insoliti, suoni della realtà, l’uso delle voci come strumenti dell’orchestra, lunghi silenzi, gag musicali e singole note sostenute all’infinito.
Parlando di lui, Giuseppe Tornatore, regista tra gli altri di Nuovo Cinema Paradiso, ha detto: “Non è soltanto un grande compositore di musica per il cinema, è un grande compositore”.
Guido Harari, note biografiche
Guido Harari nasce al Cairo (Egitto) nel 1952. Nei primi anni Settanta avvia la duplice professione di fotografo e di critico musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico, sino ad allora senza precedenti in Italia. Dagli anni Novanta il suo raggio d'azione contempla anche l'immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale. Dal 1994 sono membro dell'Agenzia Contrasto. Ha firmato copertine di dischi per Claudio Baglioni, Angelo Branduardi, Kate Bush, Vinicio Capossela, Paolo Conte, David Crosby, Pino Daniele, Bob Dylan, Ivano Fossati, BB King, Ute Lemper, Ligabue, Gianna Nannini, Michael Nyman, Luciano Pavarotti, PFM, Lou Reed, Vasco Rossi, Simple Minds e Frank Zappa, fotografato in chiave semiseria per una storica copertina de «L’Uomo Vogue». È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André. Ha al suo attivo numerose mostre e libri illustrati tra cui Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori, 2001), Strange Angels (2003), The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori, 2004), Vasco! (Edel, 2006), Wall Of Sound (2007), Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli, 2007).
Di lui ha detto Lou Reed: "Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido”. “So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento”. “Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi”. “Considero Guido un amico, non un semplice fotografo".
Il fotografo Ferdinando Scianna
Ferdinando Scianna nasce il 4 luglio 1943. Parlare di lui significa esplorare uno dei fotografi italiani più significativi, ma anche un’esistenza stupenda: per divenire ed incontri. Colto, profondo, attento, Scianna debutta giovane nella fotografia che conta: complice una mostra a Bagheria dove capita, per caso, Leonardo Sciascia. Tra i due nascerà una collaborazione vivace, che culminerà con Feste Religiose in Sicilia, un libro dove lo scrittore siciliano contribuirà con prefazione e testi. La pubblicazione varrà al fotografo il premio Nadar (1966). Nel 1967 Scianna è a Milano con l’Europeo. Sarà poi inviato a Parigi in qualità di giornalista e là conoscerà Henry Cartier Bresson. Famose sono le collaborazioni di Scianna nella moda (Dolce e Gabbana), con lavori presi nella sua Sicilia.
Fervido narratore, il nostro lo ritroviamo in “Quelli di Bagheria” (2006), “Ti Mangio con gli Occhi”, “Visti e scritti” e in tanti altri libri; interessante anche la collaborazione con Tornatore (suo concittadino), in occasione del film Baaria.
Ferdinando Scianna, un incontro
Incontrare Ferdinando Scianna nel suo studio è un’emozione. Colpisce da subito la sua naturalezza, la lucidità e il non esserci mai, in ciò che dice, un luogo comune, un “già sentito”. La sua logica è cristallina, ma scivolosa per i più. Per nulla scontata, trova l’approdo in una verità consolidata e vissuta suffragata da una dialettica schietta, colta perché ricca di punti di non ritorno.
“Il fotografo non scrive con la luce” - ci dice Scianna - “la legge”. Così iniziamo ad addentrarci in un ambito esistenziale complesso e decisa- mente meraviglioso, dove fortuna e talento vanno di pari passo, senza finte ipocrisie. È lui a dirlo. La nostra attenzione si sposta. Di questo ragazzo di Bagheria ci piacerebbe conoscere di più e non soltanto di fotografia. Avendolo letto con assiduità, vorremmo sapere dei suoi incontri, magari di quelle lunghe passeggiate che deve aver compiuto con i grandi, meritandone (eccome!) la compagnia.
Ferdinando ci spiega come la sua vita rappresenti un piatto ben confezionato. Lui ha utilizzato bene gli ingredienti. ovviamente si riferisce agli incontri che gli si sono parati davanti ma a noi tutto questo appare troppo semplice. Ci deve essere stato dell’altro, almeno un istinto riconoscibile da pochi: una forza interiore chiamata coraggio, desiderio, passione, persino carnalità. Forse la sua terra, la Sicilia, gli è andata incontro, regalandogli il sole, la luce, la cultura e lo sguardo per leggerla; ma anche un sapere antico, che gli sta addosso anche quando la lascia, e vive lontano. Ecco, sì! Ferdinando è partito da giovane. Ce lo racconta, però, senza rimpianto e nemmeno retorica. Lo strappo c’è stato, ricucito ma mai dimenticato dalle cose della vita. La sua fotografia? Ne abbiamo parlato poco: molto meglio guardarla. Si è preferito spiegare la nostra curiosità per un’esistenza che vorremmo farci raccontare più volte. Ecco dov’è il segreto delle sue immagini, svelato da pochi che ne hanno saputo leggere, prima di altri, lucidità e spirito narrativo.
Le fotografie
Ennio Morricone. Ph. Guido Harari, Roma 1998.
Ennio Morricone. Ph. Ferdinando Scianna, Roma 2003. Da “Visti & Scritti”, Edizioni Contrasto.