FOTOGRAFIA DA LEGGERE …
Non ci piace fare a pezzi un libro e nemmeno isolarne solo una parte, soprattutto di fronte a quello che incontriamo oggi: “Gli amori difficili”, di Italo Calvino. E’ ovvio che “L’avventura di un fotografo” (1955), una delle quindici novelle presenti nel volume, rappresenta per noi un elemento catalizzante. Ci verrà perdonato se ci concentreremo soprattutto lì: la passione porta con sé dei difetti.
Le quindici novelle sono state scritte da Italo Calvino fra il 1949 e il 1967 e pubblicate per la prima volta nel 1958. Nel giugno 1970 uscirono per merito dell’editore Einaudi. Amore e incomunicabilità rappresentano il loro tema portante.
Sono passati cinquantadue anni, ma il lavoro di Calvino risulta essere estremamente moderno, perché si parla di amori non risolti o di altri che non si accendono e nemmeno riescono a farlo. Prima parlavamo d’incomunicabilità, ma di mezzo c’è il silenzio, un’area grigiastra che si sviluppa all’interno della coppia (difficile), impedendone il dialogo. Ed è così anche oggi, quando la stessa famiglia è in crisi, rapita com’è da una quotidianità impegnativa e fuorviante: dove il solo telefonino (non è sua la colpa) pare essere l’unico strumento per raccontarsi, peraltro con frasi semplici e “basiche”.
I personaggi che prendono parte alle novelle sono variegati: soldati, fotografi, sciatori, guidatori, miopi, lettori e poeti, tutti alle prese con storie di “non amore”, dove il grigio emerge sempre, quello dell’inconsistenza, di una realtà impossibile. Il dramma è che la tinta mai si spinge agli estremi: né verso il bianco, tantomeno nella direzione del nero. La soluzione non c’è.
L’avventura di un fotografo
L’avventura di un fotografo narra la vicenda di Antonino Paraggi, un fattorino con l’atteggiamento mentale da filosofo; lui, incredulo di fronte alla mania fotografica dei suoi amici, cerca di darsene una spiegazione plausibile, rimanendone alla fine a sua volta vittima.
Estratto dalla novella
Con la primavera, a centinaia di migliaia, i cittadini escono la domenica con l’astuccio a tracolla. E si fotografano. Tornano contenti come cacciatori dal carniere ricolmo, passano i giorni aspettando con dolce ansia di vedere le foto sviluppate […] e solo quando hanno le foto sotto gli occhi sembrano prendere tangibile possesso della giornata trascorsa, solo allora quel torrente alpino, quella mossa del bambino col secchiello, quel riflesso di sole sulle gambe della moglie acquistano l’irrevocabilità̀ di ciò che è stato e non può esser più messo in dubbio. Il resto anneghi pure nell’ombra insicura del ricordo.[…]
…Perché una volta che avete cominciato, – predicava, – non c’è nessuna ragione che vi fermiate. Il passo tra la realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo. Se fotografate Pierluca mentre fa il castello di sabbia, non c’è ragione di non fotografarlo mentre piange perché il castello è crollato, e poi mentre la bambinaia lo consola facendogli trovare in mezzo alla sabbia un guscio di conchiglia. Basta che cominciate a dire di qualcosa: “Ah che bello, bisognerebbe proprio fotografarlo!” e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia.[…]
Qualsiasi persona tu decida di fotografare, o qualsiasi cosa, devi continuare a fotografarla sempre, solo quella, a tutte le ore del giorno e della notte. La fotografia ha un senso solo se esaurisce tutte le immagini possibili. […]
Piazzò il riflettore addosso a Bice, avvicinò la macchina, armeggiò sotto il drappo per regolare l'apertura dell'obiettivo. Guardò. Bice era nuda.
Aveva fatto scivolare il vestito fino ai piedi; sotto non aveva niente; aveva fatto un passo avanti; no, un passo indietro che era come un avanzare tutta intera nel quadro; stava dritta, alta davanti alla macchina, tranquilla, guardando davanti a sé, come se fosse sola.
Antonino sentì la vista di lei entrargli negli occhi i occupare tutto il campo visivo, sottrarlo al flusso delle immagini casuali e frammentarie, concentrare tempo e spazio in una forma finita. E come se questa sorpresa della vista e l'impressionarsi della lastra fossero due riflessi collegati tra loro, subito premette lo scatto, ricaricò la macchina, scattò, mise un'altra lastra, scattò, continuò a cambiare lastra e scattare, farfugliando, soffocato dal drappo: - Ecco, ora sì, così va bene, ecco, ancora, così ti prendo bene, ancora.
Non aveva più lastre. Uscì dal drappo. Era contento. Bice era davanti a lui, nuda, come aspettando.
«Adesso puoi coprirti», disse lui, euforico, «Usciamo». Lei lo guardò smarrita.
«Ormai ti ho presa», - disse lui. Bice scoppiò a piangere.
Antonino scoprì d'essere innamorato di lei il giorno stesso. Si misero a vivere insieme, e lui comprò apparecchi dei più moderni, teleobiettivi, attrezzature perfezionate, installò un laboratorio.
Continuiamo noi. Lì inizia la fine: Antonino fotografa Bice, sempre; e anche la “Non Bice”, quando lei non c’è e purtroppo non tornerà più.
La fotografia
Copertina de “Gli amori difficili” di Italo Calvino. Editore: Mondadori; 4° edizione (28 giugno 2016)