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NASCE L’AUTOBIANCHI

Riprendiamo una notizia di tre anni addietro. L'11 Gennaio 1955, nasceva l'Autobianchi, grazie a un accordo tra Bianchi (quella delle biciclette di Fausto Coppi), Pirelli e Fiat. Ci piace parlarne, perché siamo di fronte a un marchio che trova il consenso, in un’Italia che piace. I più anziani ricorderanno la Bianchina, «La sua virtù della Bianchina è di essere una piccola fuoriserie prodotta in serie, il che in definitiva è proprio una delle condizioni fondamentali dell’industrial design», scriveva Mario Miniaci nell’articolo “La fuori serie di serie” pubblicato sulla Rivista Pirelli n° 5 del 1957.
La Bianchina condivideva la motorizzazione della 500 (2 cilindri raffreddati ad aria), ma risultava più spaziosa, comoda, anche silenziosa; in più aveva quelle codine che facevano tanto USA (di moda allora).
Qualcuno ricorderà la Bianchina Cabriolet terza serie rossa che appare nell’incipit del film “Come rubare un milione di dollari e vivere felici” del 1966, guidata a capote aperta per le strade di Parigi da Audrey Hepburn, completamente vestita di bianco. L’attrice, tra l’altro, era appassionata di auto.

L’Autobianchi Bianchina “trasformabile” veniva presentata il 16 settembre del 1957, al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Al lancio erano presenti testimonial di tutto rispetto: Giuseppe Bianchi insieme ai soci Vittorio Valletta, Gianni Agnelli e Alberto Pirelli. Ne veniva a galla l’ottimismo di quegli anni, in un’Italia che iniziava a motorizzarsi. La Bianchina, poi, aggiungeva un po’ di lusso a un prodotto “basico” come la 500, il che non guastava.

La Bianchina era un prodotto “made in Milano” e condivideva lo spirito operoso e vincente del capoluogo lombardo. La prima fotografia che proponiamo ne è una testimonianza: una ragazza sorridente guida una Bianchina Cabriolet all’ombra del Grattacielo Pirelli, che all’epoca ospitava anche la sede dell’Autobianchi. La Bianchina uscirà di produzione nel 1969, quando gli anni dorati del boom volgevano al termine. E’ così diventata l’icona di un’era, di un periodo che piace ancora oggi, persino a coloro che non l’hanno vissuto, ma che possono riconoscere attraverso foto e film.

L’Autobianchi produsse altri modelli di successo, anche in tempi più recenti: nel 1970, la A112 (i meno giovani ricorderanno il modello Abarth da 70 CV, il desiderio di molti), una piccola 3 porte a trazione anteriore, destinata a rappresentare una seria alternativa alla Mini, venduta fino al 1986 in oltre 1.300.000 esemplari; e poi la Y10 ("l'auto che piace alla gente che piace", ricordate?).
Molti ricordano la Bianchina come l’auto di Fantozzi, sulla quale precipita la lavatrice la notte di Capodanno. In realtà l’auto era una 500 con il “vestito buono”, quello della festa. Siamo negli anni ’60 e si era aggiunto un po’ di lusso a un modello già di successo.

Gianni Berengo Gardin, narratore di classe

Gianni Berengo Gardin nasce il 10 ottobre 1930. Scrivere di lui è un po’ come incontrarlo, perché personalmente lo conosciamo bene, avendolo frequentato a lungo. Tante volte ci ha ospitato a casa sua (grazie), regalandoci emozioni che sono le stesse di adesso, di fronte a questo schermo che non vuole riempirsi.
Narrare con la fotografia, per Berengo, è una questione di vita: forse la missione di un’esistenza. Siamo convinti che il suo pensiero sia sempre lì, nelle storie raccontabili: attorno a quell’uomo comune col quale è possibile costruire anche una “realtà immaginata”. Gli Zingari, i manicomi, la Luzzara di Zavattini (e Paul Strand!), hanno rappresentato solo delle opportunità per un motore già in moto, per una “penna” già avvezza alla scrittura.
Ha sempre desiderato fare libri, il maestro, più di ogni altra cosa. Il racconto è lì, nella costruzione della pubblicazione: narrando una situazione con tutto il tempo necessario. Comunque è stato fotoamatore per cinque anni. Poi, la passione forte l’ha convinto a diventare professionista. I suoi ideali sono stati i fotografi americani della “Farm Security Administration” (soprattutto Eugene Smith), poi, subito dopo, i francesi. Parigi esercitò un grosso fascino su di lui ed è rimasto là quasi due anni. E’ stato un periodo di grandi incontri: Doisneau, Boubat, Masclet, Willy Ronis, col quale ha stretto una solida amicizia. Da loro ha imparato moltissimo e da lì è partito tutto.
E’ un mondo in B/N quello che ci racconta Berengo, forse (lui ci disse) per una questione di educazione visiva, partita dal cinema e dalla televisione in bianco e nero, continuata poi con i grandi maestri che l’hanno ispirato.
Tutto ciò ci fa riflettere e subito ci vengono in mente i tanti scatti del Maestro diventati icona. In questi non si riconosce unicamente un formalismo di sintassi, ma lo sviluppo di un racconto che prende forma. Non solo, nei suoi libri famosi quasi si nota una generosità di scatti. E’ come se il nostro desiderasse arrivare al soggetto per assonanze successive, con rispetto. La somiglianza col montaggio filmico diviene quasi scontata, anche se a prevalere c’è il desiderio di verità, di narrare a fondo: con rigore.
La gente comune che Berengo ama ritrarre viene descritta nel proprio contesto, come nella scena di un grande teatro. Ci sono le quinte e le comparse, i soggetti principali e gli elementi descrittivi, spesso chi compie un’azione e un altro che guarda, un elemento “centrale” e tanto altro che parla di esso.

Il nostro incontro di fantasia è finito. Dopo aver immaginato le fotografie di Berengo comprendiamo ancora di più di essere cittadini del mondo. E’ il suo racconto ad accomunarci tutti, perché ognuno di noi può ritrovarsi nei suoi scatti: magari nel proprio tempo e nel luogo che gli appartiene. Complice è la fotografia del maestro, vicina, nel suo fruire, al divenire stesso della vita.

Gianni Bereno Gardin, note di vita

Gianni Berengo Gardin inizia a occuparsi di fotografia nel 1954. Nel 1965 lavora per Il Mondo di Mario Pannunzio. Negli anni a venire collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali come Domus, Epoca, Le Figaro, L’Espresso, Time, Stern. Procter & Gamble e Olivetti più volte hanno usato le sue foto per promuovere la loro immagine. Berengo Gardin ha esposto le sue foto in centinaia di mostre in diverse parti del mondo: il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, il Mois de la Photo di Parigi. Nel 1991 una sua importante retrospettiva è stata ospitata dal Museo dell’Elysée a Losanna e nel 1994 le sue foto sono state incluse nella mostra dedicata all’Arte Italiana al Guggenheim Museum di New York. Ad Arles, durante gli Incontri Internazionali di Fotografia, ha ricevuto l’Oskar Barnack - Camera Group Award. Nel 2008 Gianni Berengo Gardin è stato premiato con un Lucie Award alla carriera. Lunedì 11 Maggio 2009 l’Università degli Studi di Milano gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in Storia e Critica dell’Arte. Erano cinquant’anni che la Statale non conferiva un tale riconoscimento. L’ultimo a riceverlo era stato Eugenio Montale.

Ha pubblicato oltre 260 libri fotografici.

Le fotografie

Bianchina e Pirellone, 1960. Publifoto
La Bianchina e il Ghisa, Milano 1959. Ph. Gianni Berengo Gardin

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