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BLOWIN’ IN THE WIND

12 gennaio 1985, l’Italia era stretta dal gelo, con punte minime inimmaginabili oggi (-23 a Firenze). Nella notte, a Milano, sarebbe comparsa la neve, che avrebbe imbiancato la città per quattro giorni consecutivi, raggiungendo i 90 centimetri. Oggi il termometro, nel capoluogo lombardo, non scende sotto lo zero e nemmeno ci domandiamo perché. Qualcosa sta cambiando, per andare dove però? Del resto, proprio di questi tempi le domande potrebbero essere molte, con una storia che pare inseguirsi sugli stessi temi, irrisolti da secoli.

12 gennaio 1963 - Bob Dylan canta in anteprima assoluta il brano "Blowin’ in the wind". E’ la sua canzone iconica, immortale, eseguita con la chitarra acustica e un’armonica a bocca, in semplicità. I pochi versi, ricchi di profondità, si compongono di domande dalle risposte irrisolte, perché: «The answer, my friend, is blowin’ in the wind». La risposta, sussurra nel vento, aleggia nel vento, è portata dal vento; e non si sa se verrà raccolta da qualcuno.

Altri tempi, quelli del ’63, dove l’ideologia faceva sentire la sua voce. Oggi, la virtualità nasconde le idee e propone una realtà troppo oggettiva, ma di più facile lettura, il che non guasta. E’ giusto, però, ascoltare ogni tanto i classici di un tempo, perché sono diventati degli esempi per la musica degli anni a venire, certamente fonti d’ispirazione per molti, anche di casa nostra. Resta la nostalgia (scusate) per quei jeans stretti e quella chitarra che ormai non suoniamo più, causa la pigrizia del tempo o l’inadeguatezza dei momenti. Del resto, «The answer, my friend, is blowin’ in the wind» e il suo sussurro non siamo riusciti ad ascoltarlo.

Il 1963 in Italia e nel mondo

L'Italia del 1963 è un paese in bianco e nero, un po' bigotto, ma pieno di speranze e ottimismo. Non mancano i fermenti culturali, e passano per il cinema dei grandi maestri (Pasolini, Rosi, Visconti...). Gli italiani hanno già iniziato a comprare automobili e tv, e assistono da spettatori ai grandi eventi, dalla morte di Giovanni XXIII (il Papa buono) al disastro del Vajont. La sera si guarda Carosello, dove, sempre nel 1963, fa il suo esordio Calimero, un piccolo pulcino, tutto nero, dai connotati quasi razzisti. Al termine di ogni spot, pronuncia queste parole: «Tutti se la prendono con me perché sono piccolo e nero». Una voce fuori campo dirà: “Tu non sei nero, sei solo sporco”, e si vede una mano che immerge il piumato nel detersivo, facendolo diventare bianco. Lasciamo perdere.

Nel 1963, A Dallas viene assassinato il presidente americano John F. Kennedy (il suo incarico viene assunto dal vicepresidente Lyndon B. Johnson) e Martin Luther King pronuncia il celebre "I have a dream". Il 22 marzo esce il primo album dei Beatles. L'era del rock era già iniziata, eppure i fab four avrebbero acceso una rivoluzione musicale e culturale senza precedenti. Sempre nel 1963, viene siglato un accordo tra USA, URSS e la Gran Bretagna per la sospensione degli esperimenti nucleari nell'atmosfera, che però sarebbero continuati sotto terra. «The answer, my friend, is blowin’ in the wind».

Bob Dylan, note biografiche

Nato a Duluth, Minnesota, il 24 maggio 1941, Dylan ha trascorso la maggior parte della sua infanzia nella città mineraria di Hibbing. Dylan ha imparato da autodidatta il pianoforte e la chitarra, suonando poi in diverse band, anche quando, per un anno, frequentava l'Università del Minnesota (1959). Si è trasferito a New York nel 1961 - fortemente influenzato da Woody Guthrie e altri artisti folk americani - iniziando a suonare in vari club del Greenwich Village, dove andava in scena la musica popolare. Nel 1962 usciva il suo primo album.

Molte delle prime canzoni di Dylan sono state rese famose da altri artisti, come Joan Baez e Peter, Paul & Mary, che hanno contribuito a portare il giovane artista all’attenzione di un pubblico più vasto.

Dylan ha pubblicato più di 50 album e scritto più di 600 canzoni, alcune delle più famose sono: "Blowin' in the Wind", "Like A Rolling Stone", "All Along The Watchtower", "Knockin' On Heaven's Door". I suoi brani sono state interpretati più di 6.000 volte da artisti diversi come Duke Ellington, Jimi Hendrix, Guns N' Roses, Stevie Wonder, Rod Stewart, gli Staple Singers, i Red Hot Chili Peppers, Bob Marley, Pearl Jam, Neil Young, Adele e gli U2.

Dylan ha ricevuto un dottorato onorario in musica dalla Princeton University, New Jersey, nel 1970 e un altro dall'Università di St. Andrews, in Scozia, nel 2004. Il presidente Clinton gli ha conferito un Kennedy Center Honor alla Casa Bianca nel 1997, riconoscendo l'eccellenza del suo contributo alla cultura americana.

Nel dicembre 2016 Dylan è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura dall'Accademia Svedese "per aver creato nuove espressioni poetiche all'interno della grande tradizione canora americana". Nel 2012 è stato insignito della più alta onorificenza civile americana, la Presidential Medal of Freedom, dal presidente Barack Obama. Oltre a vincere 11 Grammy Awards, Dylan ha ottenuto sei Grammy Hall of Fame, un premio istituito nel 1973 per onorare le registrazioni che sono state pubblicate da almeno 25 anni e che hanno "un significato storico o qualitativo".

Le scelte fotografiche Bob Dylan è un personaggio iconico. Ci piace menzionare quelle di Jerry Schatzberg e Annie Leibovitz, colte in intimità quelle del fotografo e ben progettate le altre, scattate dalla collega. Abbiamo scelto l’immagine di Avedon, perché può sintetizzare il senso della canzone alla quale abbiamo fatto riferimento. Dylan sta pensando a occhi chiusi, con la mano sul cuore. Harari ci propone uno scatto “da concerto” e questo ci piace. In fondo, quel cantante sul palco è a casa sua, perché non c’è solo il vento ad ascoltare le sue parole.

Il fotografo, Richard Avedon

Richard Avedon (1923-2004) è nato e ha vissuto a New York City. Il suo interesse per la fotografia è iniziato in tenera età e si è unito al club fotografico della Young Men's Hebrew Association (YMHA) quando aveva dodici anni. Ha frequentato la DeWitt Clinton High School nel Bronx, dove ha co-curato la rivista letteraria della scuola, The Magpie, con James Baldwin. È stato nominato Poeta Laureato delle scuole superiori di New York nel 1941.

Avedon si è unito alle forze armate nel 1942 durante la seconda guerra mondiale, come fotografo nella marina mercantile degli Stati Uniti. Come ha descritto, “Il mio lavoro era scattare fotografie d’identità”. “Credo di aver fotografato centomila volti prima che mi venisse in mente che stavo diventando un fotografo".

Dopo due anni di servizio, ha lasciato la marina mercantile per lavorare come fotografo professionista, inizialmente creando immagini di moda e studiando con l'art director Alexey Brodovitch presso il Design Laboratory della New School for Social Research. All'età di ventidue anni, Avedon ha iniziato a lavorare come fotografo freelance, principalmente per Harper's Bazaar. Ha fotografato modelli e moda per le strade, nei locali notturni, al circo, sulla spiaggia e in altri luoghi non comuni, impiegando intraprendenza e inventiva che sono diventati i caratteri distintivi della sua arte. Sotto la guida di Brodovitch, è diventato rapidamente il fotografo principale di Harper's Bazaar.

Dall'inizio della sua carriera, Avedon ha realizzato ritratti per la pubblicazione sulle riviste Theatre Arts, Life, Look e Harper's Bazaar. Era affascinato dalla capacità della fotografia di suggerire la personalità ed evocare la vita dei suoi soggetti. Ha catturato pose, atteggiamenti, acconciature, vestiti e accessori come elementi vitali e rivelatori di un'immagine. Aveva piena fiducia nella natura bidimensionale della fotografia, le cui regole si piegavano ai suoi scopi stilistici e narrativi. Come ha detto ironicamente, "Le mie fotografie non vanno sotto la superficie”. “Ho grande fiducia nelle superfici, una buona è piena di indizi”.

Dopo aver curato il numero di aprile 1965 di Harper's Bazaar, Avedon lasciò la rivista ed è entrato a far parte di Vogue, dove ha lavorato per più di vent'anni. Nel 1992, Avedon è diventato il primo fotografo dello staff del The New Yorker, dove i suoi ritratti hanno contribuito a ridefinire l'estetica della rivista. Durante questo periodo, le sue fotografie di moda sono apparse quasi esclusivamente sulla rivista francese Égoïste.

In tutto, Avedon ha gestito uno studio commerciale di successo. E’ stato ampiamente accreditato di aver cancellato il confine tra la fotografia "artistica" e "commerciale". Il suo lavoro di definizione del marchio e le lunghe associazioni con Calvin Klein, Revlon, Versace e dozzine di altre aziende hanno portato ad alcune delle campagne pubblicitarie più famose della storia americana. Queste campagne hanno dato ad Avedon la libertà di perseguire grandi progetti in cui ha esplorato le sue passioni culturali, politiche e personali. È noto per la sua estesa ritrattistica del movimento americano per i diritti civili, la guerra del Vietnam e un celebre ciclo di fotografie di suo padre, Jacob Israel Avedon. Nel 1976, per la rivista Rolling Stone, ha prodotto "The Family", un ritratto collettivo dell'élite di potere americana al momento delle elezioni del bicentenario del paese. Dal 1979 al 1985 ha lavorato a lungo su commissione dell'Amon Carter Museum of American Art, producendo il libro In the American West. Dopo aver subito un'emorragia cerebrale mentre era in missione per The New Yorker, Richard Avedon è morto a San Antonio, in Texas, il 1° ottobre 2004.

(Fonte Avedon Foundation)

Il fotografo, Guido Harari

Guido Harari nasce al Cairo (Egitto) nel 1952. Nei primi anni Settanta avvia la duplice professione di fotografo e di critico musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico, sino ad allora senza precedenti in Italia. Dagli anni Novanta il suo raggio d’azione contempla anche l’immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale. Dal 1994 è membro dell’Agenzia Contrasto. Ha firmato copertine di dischi per Claudio Baglioni, Angelo Branduardi, Kate Bush, Vinicio Capossela, Paolo Conte, David Crosby, Pino Daniele, Bob Dylan, Ivano Fossati, BB King, Ute Lemper, Ligabue, Gianna Nannini, Michael Nyman, Luciano Pavarotti, PFM, Lou Reed, Vasco Rossi, Simple Minds e Frank Zappa, fotografato in chiave semiseria per una storica copertina de «L’Uomo Vogue». È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André. Ha al suo attivo numerose mostre e libri illustrati tra cui Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori, 2001), Strange Angels (2003), The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori, 2004), Vasco! (Edel, 2006), Wall Of Sound (2007), Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli, 2007).
Di lui ha detto Lou Reed: “Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido”. “So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento”. “Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi”. “Considero Guido un amico, non un semplice fotografo”.

Le fotografie

Richard Avedon, Bob Dylan, New York 1997
Guido Harari, Bob Dylan, Parigi 1978

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