I GATTI IN FESTA
Il 17 febbraio, in Italia, è stato proclamato come la giornata Nazionale del Gatto. Il mese in corso infatti è quello dei gatti e delle streghe, in più il 17 potrebbe sfatare la sfortuna spesso legata, dai superstiziosi, al felino domestico. Queste sono le ragioni della scelta, alle quali se ne aggiungono altre: il segno zodiacale e l’anagramma del 17 in numeri romani, che da XVII diventa VIXI, cioè vissi, visto che l’animale festeggiato gode di ben sette vite.
I gatti fanno comunque parte delle vite di tutti. Anche se non abitano nelle nostre case, li vediamo passeggiare tra strade e giardini. Già, perché loro sono indipendenti, sicuri, solitari, silenziosi, a volte abitudinari. Le movenze, poi, risultano flessuose, con un’agilità che non conosce eguali. Alla fine diventano anche simpatici, al punto che sono stati disegnati molti cartoons ispirati a loro, tra questi: Tom & Jerry, di Hanna & Barbera; o Gli Aristogatti, della Disney.
Chi scrive, ricorda le nonne: paterna e materna. Tutte e due possedevano un gatto, diventato il simbolo della casa. In entrambi i casi, il felino dormiva sul solito cuscino e grattava la porta quando voleva uscire. Per rientrare, si faceva intendere con un miagolio commovente. Saltavano poi in grembo, i due, quando lo desideravano, senza esagerare.
Uno dei due gatti è sopravvissuto a mia nonna e l’ha cercata a lungo nei suoi spostamenti abituali: la casa di un’amica, il camposanto, il negozio del paese. Questo per dire che non sempre quei felini si affezionano unicamente alla casa, potendo invece esprimere un attaccamento fedele come altri animali.
Insomma, fanno compagnia i gatti: in casa e fuori. Giocano con il gomitolo di lana e saltano ovunque. Se ne hanno voglia, si fanno accarezzare. Corrono dei rischi quando attraversano la strada, nel traffico; ma le sette vite sono dalla loro, per cui possono permettersi degli azzardi.
Le fotografie e i fotografi
Per festeggiare i gatti, scomodiamo due grandi: Elliott Erwitt e Robert Doisneau, che propongono due scatti vicini al loro pensiero fotografico.
“Family”, di Elliott Erwitt, racchiude tutto il calore e l’intimità di una famiglia, anche per via del gatto. Il felino e Lucienne, la madre della bambina, guardano entrambi l’infante, il che consolida la composizione dell’immagine.
La fotografia è stata scattata in un piccolo appartamento dell’Upper East Side a Manhattan, la prima casa del fotografo e di sua moglie. E’ l’estate del ’53 e fa caldo. Mamma Lucienne aveva adagiato la bimba sul letto vicino alla finestra, per farle prendere un po’ d’aria durante quella giornata afosa. Accanto a loro Brutus, un simpatico gatto nero, uno dei tanti che la donna salvava dalla strada e accoglieva con sé in casa. Il quadretto è completo. Nella fotografia c’è tanto amore.
Troppo spesso ci siamo soffermati sul lato ironico e umoristico dell’autore, così abbiamo tralasciato quella parte sentimentale ed emozionale che le immagini avrebbero lasciato trasparire solo a uno sguardo più attento e rigoroso. E qui occorre considerare l’aspetto tecnico delle fotografie di Erwitt. Lui è stato in grado di catturare senza sforzo le ironie della vita (e non solo) con una facilità solo apparentemente casuale. E l'umorismo, che tanto siamo in grado di vedere nei lavori del nostro, non riguarda solamente le situazioni che gli si sono parate davanti, è una struttura estetica, formale, una visione del mondo complessa. Le fotografie di Elliott sono strepitose per questo motivo e sin dall’aspetto formale, sempre perfetto: tracciano una linea netta tra il nostro sguardo e quanto gli occhi del fotografo ci fanno vedere.
Nella fotografia di Doisneau riconosciamo tutto il suo mondo. Riprendiamo alcune sue parole «Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere». Robert cercava un mondo dedicato a se stesso, ma non per egoismo; semplicemente perché lui aveva bisogno di quello spazio che è tra il vivere soggettivamente e vederlo fare. La sua fotografia (grande, in assoluto) brilla di una ricerca che vive in un confine dove il tempo non conta, ma solo quanto accade davanti l’obiettivo, dopo ore di attesa. Quella linea di demarcazione spesso si sposta in periferia, ma vive anche a Parigi: tra i Bistrot, i negozi, i bambini che giocano, i gatti che attraversano la strada.
Doisneau aspettava il miracolo, come ha confessato in un’intervista rilasciata a Frank Horvat: «Quello che occorreva cogliere al di là della composizione o di altri aspetti tecnici». come testimoniato dalla fotografia che proponiamo.
Il fotografo, Elliott Erwitt
Nato il 26 luglio 1928 a Parigi, Elliott Erwitt ha trascorso l’infanzia a Milano. La sua famiglia tornò a Parigi nel 1938 ed emigrò a New York l'anno successivo, per poi trasferirsi a Los Angeles nel 1941. Il suo interesse per la fotografia iniziò quando era un adolescente che viveva a Hollywood. Nel 1948 Erwitt si trasferì a New York, lì conobbe Edward Steichen, Robert Capa e Roy Stryker. Dopo aver trascorso l'anno 1949 viaggiando in Francia e in Italia, Erwitt tornò a New York e iniziò a lavorare come fotografo professionista. Arruolato nell'esercito nel 1951, continuò a scattare fotografie mentre era di stanza in Germania e Francia.
Elliott Erwitt fu invitato a unirsi a Magnum Photos nel 1953 da Robert Capa. Membro della prestigiosa agenzia da allora, Erwitt ha ricoperto diversi mandati come presidente. Tra le fotografie celebri di questo periodo si ricordano "New York City" (un chihuahua di fianco al piede di una donna), del 1953, "California Kiss" (il bacio di un ragazzo e una ragazza immortalato dallo specchietto retrovisore di una macchina), del 1955, e "Nikita Kruscev and Richard Nixon" (potente e significativa immagine ai tempi della Guerra Fredda), del 1959.
Una delle figure di spicco nel campo competitivo della fotografia, i saggi giornalistici, le illustrazioni e le pubblicità di Erwitt sono presenti nelle pubblicazioni di tutto il mondo, da oltre quarant'anni. Oltre al suo lavoro di fotografo di scena, Erwitt ha iniziato a girare film nel 1970. Ha pubblicato diversi libri e ha tenuto mostre personali in numerosi musei e gallerie in tutto il mondo, tra cui il Museum of Modern Art di New York, la Smithsonian Institution, l’Art Institute of Chicago, il Museum of Modern Art di Parigi e il Kunsthaus di Zurigo.
Elliott Erwitt vive a New York ha sempre viaggiato in modo ossessivo. Gli piacciono i bambini e i cani.
Il fotografo, Robert Doisneau
Robert Doisneau, il poeta della fotografia francese, è nato il 14 Aprile 1912, a Gentilly. Trascorre l'infanzia a Corréze, per via della madre ammalata di tubercolosi. Quest'ultima si mostrerà autoritaria e rappresenterà per il giovane Robert l'alter ego della propria sensibilità. Lui amava la pesca, che praticava con l'aiuto dello zio o le tante volte nelle quali marinava la scuola.
Il padre, a lungo atteso a guerra finita (1918), si rivelerà una delusione. La voglia di una figura teutonica e forte venne delusa. L'infelicità, comunque, era ancora più vicina: perché la madre moriva appena un anno dopo il ritorno della famiglia a Gentilly. Robert prende ancora più le distanze dal mondo, sin dal funerale; lo immaginiamo distratto dietro al carro funebre, ma anche al cimitero, dove il padre conoscerà la sua seconda moglie. Quest'ultima si rivelerà ancor più severa e costrittiva, persino gelosa e punitiva. Il futuro fotografo scoprirà la solitudine, quel non sentirsi appartenente a niente e a nessuno, nemmeno a quella classe “piccolo borghese” che la nuova residenza stava a significare.
Quel bambino timido e goffo inizia a osservare in maniera acuta, particolarmente nelle fughe verso la periferia: segno di disobbedienza, da un lato; ma anche dell'identificazione di quel teatro che, per tutta la vita, rappresenterà il suo territorio di ricerca fotografica.
Nel 1925 viene ammesso, in qualità di allievo incisore – litografo presso la scuola di Etienne, un istituto dedicato alle Arti Grafiche. Gli studi primari erano stati condotti di malavoglia e in maniera irregolare. Doisneau non riceve alcun insegnamento di fotografia, che incontrerà, per la prima volta e alla lontana, quando verrà assunto presso uno studio grafico, dove disegna alcune etichette per dei medicinali. Siamo nel 1929.
Solo frequentando gli atelier di Montparnasse Robert incontrerà la fotografia: questo nei contrasti degli “anni folli” della Parigi del tempo. Inizia così un bisogno compulsivo di fotografare, che lo porta a esplorare inconsapevolmente gli scenari visitati, anni prima, da Atget.
L'incontro con André Vigneau (fu il suo assistente dal 1931) fu fondamentale per Robert, come più volte ha confermato lui stesso: “ … lui mi parla di un'altra filosofia, un'altra pittura, un altro cinema”. Presso lo studio dell'artista Doisneau incontrerà l'avanguardia parigina, tra cui i fratelli Prévert. Sarà il servizio militare ad allontanare il nostro dallo studio di Vigneau ed al ritorno non potrà essere assunto nuovamente, per questioni economiche.
Doisneau troverà lavoro nell'ufficio pubblicitario di Renault, tra il 1934 e il 1939: anni nei quali il fotografo consoliderà la propria vita sentimentale, sposando Pierrette. Ma un luogo chiuso non era per lui, che tra l'altro aveva sempre visitato le periferie anche per disobbedire, per infrangere e regole. Così, quando viene licenziato, siamo alle soglie della Seconda Guerra Mondiale.
Gli anni 50 – 60 saranno per Doisneau quelli della consacrazione. E' una Francia “fotografica” quella che i professionisti si trovavano a disposizione. A parte le varie iniziative culturali (Arlés, ad esempio), vengono sviluppati dei programmi di commesse pubbliche a vantaggio dei fotografi. Negli anni '80 accetterà anche di rivisitare le sue periferie; ma erano diverse da quelli di anni prima. Sarà Sabine Azéma, l'attrice da lui fotografata, a fargli scoprire la Parigi a lei prossima, che ormai lo sommerge di interessi.
Avendo sempre privilegiato il rispetto per l'uomo a scapito della tecnica, è stato definito “fotografo umanista”. Nella sua carriera, ha preso spunto da varie parti: dal costruttivismo, dal surrealismo, dal Cinema Sovietico. Con “il Bacio dell'Hotel de Ville” ha raccontato una storia eterna.
Le fotografie
“Family”, di Elliott Erwitt. Estate 1953
Robert Doisneau, Les chats de Bercy (Parigi, 1974)