LA VIANNE DI CHOCOLAT
Noi ricordiamo Juliette Binoche nel film Chocolat, di Lasse Hallström. Siamo in Francia, nel 1959. In una notte ventosa, Vianne e sua figlioletta Anouk giungono nel paesino di Lansquenet-sous-Tannes. Vianne è la donna del mistero e affitta un negozio, dove in un clima raffinato vende del cioccolato.
Vianne ha una sorta di sesto senso per intuire le debolezze di ognuno e per consigliare la pralina giusta per ogni desiderio. In poco tempo il suo negozio diventa il più frequentato. Ognuno può trovare momentaneo rimedio alle proprie difficoltà. Il sindaco non può sopportarlo e chiama a raccolta la popolazione benpensante per boicottare il negozio. Ad aumentare la complessità, un giorno giunge in paese Roux, uno zingaro musicista che decide di stare dalla parte di Vianne. Le cose prenderanno il giusto corso. Il film prende in esame le dinamiche dello scandalo, sotto forma di commedia. La personalità di Binoche irrompe nella trama: è bella, sicura di sé, intraprendente, pur avvolta nel suo mistero. Sarà candidata all’Oscar.
Per le fotografie incontriamo ancora Doisneau, che ritrae l’attrice francese con lo stesso stile col quale raccontò Prévert, per strada. Riprendiamo alcune sue parole: “Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere”. Robert cercava un mondo dedicato a se stesso, ma non per egoismo; semplicemente perché lui aveva bisogno di quello spazio che è tra il vivere soggettivamente e vederlo fare. La sua fotografia (grande, in assoluto) brilla di una ricerca che vive in un confine dove il tempo non conta, ma solo quanto accade davanti l’obiettivo, dopo ore di attesa. Quella linea di demarcazione spesso si sposta in periferia, ma vive anche a Parigi: tra i Bistrot, i negozi, i bambini che giocano, di fronte agli artisti che ha ritratto.
Juliette Binoche, note biografiche
Juliette Binoche è una delle attrici più apprezzate del cinema internazionale. Artista dal temperamento deciso, pluripremiato, gira un film dopo l’altro sin dal suo esordio.
Juliette Binoche è nata il 9 marzo 1964 a Parigi, in una famiglia di artisti dello spettacolo. Una carriera predestinata, lei conduce sin da adolescente non appena lascia il Conservatorio Superiore di Arte Drammatica, a 18 anni. Subito avvistata, Juliette incuriosisce e seduce i registi più navigati (Godard, Doillon, Tavernier). A soli 23 anni (nel 1988), si fa notare dalla critica nella sua interpretazione ne "The Unbearable Lightness of Being" (L'insostenibile leggerezza dell'essere) di Philip Kaufman.
Quattro anni dopo arriva il successo col film di Luis Malle "Il Danno", a fianco di uno straordinario Jeremy Irons. In seguito, Krzysztof Kieslowski la vuole nella sua trilogia dedicata alla bandiera francese: da "Tre colori, Blu", del 1993, "Rosso" del 1994 e "Bianco", ancora del 1994. Un anno dopo Juliette Binoche viene scelta per il film francese "L'Ussaro sul Tetto" (di Jean Paul Rappenau).
L'anno 1996 è quello del suo grande trionfo: accanto a Ralph Fiennes recita nel film di Anthony Minghella, "Il Paziente Inglese". La pellicola fa incetta di premi, tra i quali l'Oscar come miglior attrice non protagonista, che va appunto a Juliette Binoche.
Altre interpretazioni sono: "Alice e Martin" (di André Téchiné, del 1998); "L'amore che non muore" (di Patrice Leconte, 2000) e "Storie" del controverso regista austriaco Michael Haneke.
Con il film "Chocolat" (di Lasse Hallström) riceve una candidatura all'Oscar 2001 quale migliore attrice protagonista.
Tra gli ultimi film ricordiamo "Mary" (2005, di Abel Ferrara), "Complicità e sospetti" (Breaking and Entering, di Anthony Minghella, 2006).
Sul lato privato, Juliette Binoche ha due figli: Raphaël, nata nel 1993 dalla sua unione con André Hallé, e Hannah nata nel 1999 con Benoît Magimel.
La vita di Robert Doisneau
Doisneau nasceva il 14 Aprile 1912, a Gentilly. Lui, poeta della fotografia francese, trascorre l'infanzia a Corréze, per via della madre ammalata di tubercolosi. Quest'ultima si mostrerà autoritaria e rappresenterà per il giovane Robert l'alter ego della propria sensibilità. Lui amava la pesca, che praticava con l'aiuto dello zio o le tante volte nelle quali marinava la scuola. Il padre, a lungo atteso a guerra finita (1918), si rivelerà una delusione. La voglia di una figura teutonica e forte venne delusa. L'infelicità, comunque, era ancora più vicina: perché la madre moriva appena un anno dopo il ritorno della famiglia a Gentilly. Robert prende ancora più le distanze dal mondo, sin dal funerale; lo immaginiamo distratto dietro al carro funebre, ma anche al cimitero, dove il padre conoscerà la sua seconda moglie. Quest'ultima si rivelerà ancor più severa e costrittiva, persino gelosa e punitiva. Il futuro fotografo scoprirà la solitudine, quel non sentirsi appartenente a niente e a nessuno, nemmeno a quella classe “piccolo borghese” che la nuova residenza stava a significare.
Quel bambino timido e goffo inizia a osservare in maniera acuta, particolarmente nelle fughe verso la periferia: segno di disobbedienza, da un lato; ma anche dell'identificazione di quel teatro che, per tutta la vita, rappresenterà il suo territorio di ricerca fotografica.
Gli studi
Nel 1925 viene ammesso, in qualità di allievo incisore – litografo presso la scuola di Etienne, un istituto dedicato alle Arti Grafiche. Gli studi primari erano stati condotti di malavoglia e in maniera irregolare. Doisneau non riceve alcun insegnamento di fotografia, che incontrerà, per la prima volta e alla lontana, quando verrà assunto presso uno studio grafico, dove disegna alcune etichette per dei medicinali. Siamo nel 1929.
Solo frequentando gli atelier di Montparnasse Robert incontrerà la fotografia: questo nei contrasti degli “anni folli” della Parigi del tempo. Inizia così un bisogno compulsivo di fotografare, che lo porta a esplorare inconsapevolmente gli scenari visitati, anni prima, da Atget.
André Vigneau e l’avanguardia parigina
L'incontro con André Vigneau (fu il suo assistente dal 1931) fu fondamentale per Robert, come più volte ha confermato lui stesso: “ … lui mi parla di un'altra filosofia, un'altra pittura, un altro cinema”. Presso lo studio dell'artista Doisneau incontrerà l'avanguardia parigina, tra cui Prévert. Sarà il servizio militare ad allontanare il nostro dallo studio di Vigneau ed al ritorno non potrà essere assunto nuovamente, per questioni economiche.
Doisneau troverà lavoro nell'ufficio pubblicitario di Renault, tra il 1934 e il 1939: anni nei quali il fotografo consoliderà la propria vita sentimentale, sposando Pierrette. Ma un luogo chiuso non era per lui, che tra l'altro aveva sempre visitato le periferie anche per disobbedire, per infrangere e regole. Così, quando viene licenziato, siamo alle soglie della Seconda Guerra Mondiale.
Il dopoguerra di Doisneau
Gli anni 50 – 60 saranno per Doisneau quelli della consacrazione. E' una Francia “fotografica” quella che i professionisti si trovavano a disposizione. A parte le varie iniziative culturali (Arlés, ad esempio), vengono sviluppati dei programmi di commesse pubbliche a vantaggio dei fotografi. Negli anni '80 accetterà anche di rivisitare le sue periferie; ma erano diverse da quelli di anni prima. Sarà Sabine Azéma, l'attrice da lui fotografata, a fargli scoprire la Parigi a lei prossima. Avendo sempre privilegiato il rispetto per l'uomo a scapito della tecnica, è stato definito “fotografo umanista”. Nella sua carriera, ha preso spunto da varie parti: dal costruttivismo, dal surrealismo, dal Cinema Sovietico. Con “il Bacio dell'Hotel de Ville” ha raccontato una storia eterna.
Lo stile di Robert Doisneau
In un periodo nel quale domina la “Street Photography”, parlando di Doisneau siamo costretti a prenderne le distanze. Lo stile di oggi è troppo rapido e anche i suoi contenuti non ci vengono in aiuto. Robert preferiva le attese, le scoperte, la semplicità. Lui aspettava il miracolo, come ha confessato in un’intervista rilasciata a Frank Horvat: quello che occorreva cogliere al di là della composizione o di altri aspetti tecnici.
“C’è chi guarda”, viene da dire osservando le fotografie del nostro. In quasi tutte le sue immagini accade qualcosa e tanti occhi ne rafforzano il contenuto, connotandolo. Non è così nel famoso bacio (Hotel De Ville), ma lì era necessario, sin dalla committenza. Doisneau costruisce in ogni scatto la scena di un teatro, dove a fianco di un soggetto principale, altre comparse aggiungono un “coro di occhi”. L’intreccio di sguardi che ne consegue porta a una vita sospesa, immobile; a galla tra l’oggi e il domani, dove l’interpretazione dell’autore diventa verità, bella da credersi per dolcezza, ironia, semplicità.
Gli insegnamenti di Robert Doisneau
Gli insegnamenti di Robert Doisneau sono pochi, ma solidi. Al contrario di altri suoi colleghi, lui non usa solo focali corte, anzi. Molto spesso notiamo delle prospettive compresse, tipiche delle lunghe focali; ma è l’attesa a vincere, la perseveranza: l’aspettare quel miracolo suggestivo che diventerà eterno, agli occhi di tutti.
C’è poi il rapporto con i poeti e gli scrittori. Con loro esplorerà Parigi di giorno e di notte. Prévert lo accompagnerà tra “rue” e “bistrot”. Lui soleva dire: “La poesia è ciò che sogniamo, ciò che immaginiamo, ciò che desideriamo e ciò che si compie, spesso”. Con Robert Giraud, Doisneau conoscerà la notte, quella da scovare con tenacia. Ecco cosa dice lo scrittore: “Una luce si spegne, un’altra si accende e la sostituisce”. “La notte a volte ha anche i suoi orari di chiusura; questo è grave”. “Il tutto è da sfruttare al meglio, poi si vedrà”.
Doisneau non ha sfruttato la sua vita, ma ne ha raccontato lo sguardo: quello che cercava la tenerezza dei cuori gentili. Forse l’ha trovata nei bambini, corpus importante del suo lavoro fotografico; quelli da accomunare alla sua infanzia, trascorsa ad aspettare un miracolo mai giunto a destinazione.
«Un centesimo di secondo qui, un centesimo di secondo là... anche se li metti tutti in fila, rimangono solo un secondo, due, forse tre secondi... strappati all'eternità».
(Robert Doisneau)
Doisneau muore il 1° aprile 1994
Le fotografie
Juliette Binoche fotografata da Robert Doisneau, 1991