BREVETTATA LA VESPA
23 aprile 1946: viene brevettata la Vespa. Questo scooter è stato utilizzato più volte come simbolo del design italiano. Esposto in moltissimi musei, andrà permanentemente in mostra al Moma di New York.
Lo scooter era già stato presentato il 29 marzo dello stesso anno. A prima vista, si presentava come un minuscolo e stravagante veicolo a due ruote, tra bicicletta e auto. Pesava 60 chili, andava a miscela al 5% e aveva dentro un motore da 98cc. che diventeranno ben presto 125. Inizialmente doveva chiamarsi Paperino, ma Enrico Piaggio, vedendola, disse: “Sembra una vespa”. E Vespa sarebbe stata: 80mila lire per un sogno a 60 chilometri orari.
Da alcuni è stata anche odiata, contrapposta al concetto di moto. Non era certo adatta alle “pieghe” in montagna, anche se qualche pazzia l’ha concessa: le “penne” davanti al bar e le tante elaborazioni necessarie a dare un po’ di brio ad un motore di certo non corsaiolo. «Non esiste una Vespa regolare», ci disse un benzinaio toscano; e in effetti tanto si è fatto per spremere il due tempi dell’insetto a motore, tradendo forse l’idea di base.
Negli anni ’70 è arrivata anche la “50”, con quella “special” diventata mito per i genitori dei quattordicenni: “Ti compro la Vespa, non il motorino”, dicevano. I giovani non capivano perché, ma il mezzo (venduto all’inizio in alternativa alla macchina) restituiva agli anziani un senso di sicurezza, per quello che non si sarebbe potuto fare.
Cose d’altri tempi, che vanno ad appannare un’idea vincente: diventata icona dei tempi e del costume. La Vespa è esposta in molti musei del mondo; come dicevamo, anche al MoMa di New York. Tanti fidanzati l’hanno cavalcata, con la donna seduta di lato, come su una panchina; e il ricordo può riaccendersi nei tanti film nei quali lo scooter è stato protagonista.
Questione di tempo passato, ecco tutto; forse anche di nostalgia. Ma è bello ricordare i momenti felici, perché «Come è bello andare in giro per i colli bolognesi, con una Vespa special che ti toglie i problemi …». La canzone è dei Lunapop. Al di là di tutto, però, un giretto ci piacerebbe farlo anche oggi, magari verso il mare; pian pianino però, con il cambio in quarta (o in terza, su certi modelli) e il motore che sussulta appena.
Vespa, star del cinema
La Vespa, come simbolo del costume “italico”, è comparsa in numerosi film. I primi a guidare quello scooter sul grande schermo furono, nel 1953, Audrey Hepburn e Gregory Peck, protagonisti di “Vacanze Romane”. Negli anni ’60, ecco un’altra partecipazione importante: la Vespa recita nel film “La Dolce Vita”, di Federico Fellini. A pilotare lo scooter Piaggio è il Paparazzo, che scorrazza per Via Veneto alla ricerca di personaggi famosi da fotografare. Dino Risi scelse la Vespa come mezzo di trasporto per i protagonisti dei suoi lavori proletari: “Poveri, ma belli” (1956), “Belle, ma povere” (1957). Andando negli USA, a guidare una Vespa GS 160 sono i giovani di “American Graffiti” (1973), la pellicola nella quale George Lucas descrisse i sogni della gioventù americana degli anni ’60.
Finiamo con un cult movie: “Caro Diario”, di Nanni Moretti. Il regista, nel primo episodio del film, attraversa una Roma resa deserta dalle vacanze estive, scoprendo personaggi e luoghi mai visti prima.
L’elenco potrebbe continuare, ma preferiamo non dilungarci. Diciamo solo che tra Vespa e cinema è sempre stato amore, che confidiamo possa continuare.
Chi Vespa mangia le mele
La Vespa è diventata un mito per ragioni storiche e sociali e anche per essere diventata, come abbiamo visto, una star del cinema. Non le è mancata, però, la pubblicità da parte della casa madre, con delle iniziative sempre vicine al target di riferimento.
La Piaggio dà il via dal 1969 in poi, a una delle campagne pubblicitarie italiane con lo slogan più famoso di sempre: “Chi Vespa mangia le mele“, sviluppando così una nuova forma di linguaggio in grado di avvicinare i giovani: il nuovo target per la Vespa.
L’architettura della campagna parte da un neologismo: vespare (declinato nel claim nella prima persona); che veniva usato per definire il giro e la vacanza fatta con lo scooter Piaggio. Ai tempi però, il verbo era diventato sinonimo di “petting”; da qui l’accostamento alla mela, il frutto del peccato e della trasgressione, che rappresentavano da vicino le ambizioni delle giovani generazioni.
L’agenzia artefice di tutto questo era la Leader di Firenze capeggiata da Gilberto Filippetti, art e copy della campagna. Lui si disse sorpreso che avessero accettato la sua pubblicità, vista l’età media del Consiglio di Amministrazione Piaggio.
Il claim comunque fece scalpore anche altrove, al di fuori delle due ruote. Vasco Rossi, ad esempio, lo cita (e lo canta) nella sua canzone “Bollicine”.
Gianni Berengo Gardin, la fotografia come racconto
Narrare con la fotografia, per Berengo, è una questione di vita: forse la missione di un’esistenza. Siamo convinti che il suo pensiero sia sempre lì, nelle storie raccontabili: attorno a quell’uomo comune col quale è possibile costruire anche una “realtà immaginata”. Gli Zingari, i manicomi, la Luzzara di Zavattini (e Paul Strand!), hanno rappresentato solo delle opportunità per un motore già in moto, per una “penna” già avvezza alla scrittura.
Ha sempre desiderato fare libri, il maestro, più di ogni altra cosa. Il racconto è lì, nella costruzione della pubblicazione: narrando una situazione con tutto il tempo necessario.
Comunque è stato fotoamatore per cinque anni. Poi, la passione forte l’ha convinto a diventare professionista. I suoi ideali sono stati i fotografi americani della “Farm Security Administration” (soprattutto Eugene Smith), poi, subito dopo, i francesi. Parigi esercitò un grosso fascino su di lui ed è rimasto là quasi due anni. E’ stato un periodo di grandi incontri: Doisneau, Boubat, Masclet, Willy Ronis, col quale ha stretto una solida amicizia. Da loro ha imparato moltissimo e da lì è partito tutto.
E’ un mondo in B/N quello che ci racconta Berengo, forse (lui ci disse) per una questione di educazione visiva, partita dal cinema e dalla televisione in bianco e nero, continuata poi con i grandi maestri che l’hanno ispirato.
Tutto ciò ci fa riflettere e subito ci vengono in mente i tanti scatti del Maestro diventati icona. In questi non si riconosce unicamente un formalismo di sintassi, ma lo sviluppo di un racconto che prende forma. Non solo, nei suoi libri famosi quasi si nota una generosità di scatti. E’ come se il nostro desiderasse arrivare al soggetto per assonanze successive, con rispetto. La somiglianza col montaggio filmico diviene quasi scontata, anche se a prevalere c’è il desiderio di verità, di narrare a fondo: con rigore.
La gente comune che Berengo ama ritrarre viene descritta nel proprio contesto, come nella scena di un grande teatro. Ci sono le quinte e le comparse, i soggetti principali e gli elementi descrittivi, spesso chi compie un’azione e un altro che guarda, un elemento “centrale” e tanto altro che parla di esso.
Dopo aver immaginato le fotografie di Berengo comprendiamo ancora di più di essere cittadini del mondo. E’ il suo racconto ad accomunarci tutti, perché ognuno di noi può ritrovarsi nei suoi scatti: magari nel proprio tempo e nel luogo che gli appartiene. Complice è la fotografia del maestro, vicina, nel suo fruire, al divenire stesso della vita.
Gianni Berengo Gardin, la vita
Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure nel 1930 e inizia a occuparsi di fotografia dal 1954.
Trascorre l’infanzia in Liguria, poi si trasferisce a Roma. Dopo un lungo periodo a Venezia, mette le radici a Milano, dove comincia la sua professione di fotografo. Collabora con numerose riviste tra cui Il Mondo di Mario Pannunzio e le maggiori testate giornalistiche italiane e straniere, come Epoca e Time. Si dedica in special modo alla realizzazione di libri fotografici: pubblica oltre 250 volumi, dai quali emerge soprattutto il suo interesse per l’indagine sociale. Dal 1966 al 1983, in collaborazione con il Touring Club, pubblica una serie di volumi dedicati all’Italia e ai Paesi europei.
Lavora assiduamente con grandi industrie, tra cui l’Olivetti, per reportage e monografie aziendali. Nel 1979 inizia la collaborazione con Renzo Piano, per il quale documenta le fasi di realizzazione dei progetti architettonici.
Nella sua carriera ha esposto in oltre trecento mostre personali, in Italia e all’estero, tra cui le grandi antologiche di Arles (1987), Milano (1990), Losanna (1991), Parigi (1990), New York e alla Leica Gallery (1999); tra le ultime, alla Städtische Galerie di Iserlohn nel 2000, al Museo Civico di Padova e al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 2001, alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi, alla Fondazione Forma per la Fotografia nel 2005, alla Casa dei Tre Oci di Venezia nel 2012 e a Palazzo Reale a Milano nel 2013.
Nel 1972 la rivista Modern Photography lo inserisce nella lista dei 32 maggiori fotografi al mondo. Nel 2003 è presente tra gli ottanta fotografi scelti da Cartier-Bresson per la mostra “Les choix d’Henri Cartier-Bresson”.
Nel 2013 la Leica Wetzlar lo invita a esporre nella mostra “Eyes Wide Open! One Hundred Years of Leica Photography”.
Nel 2014 e nel 2015, con il Fondo Ambiente Italiano, ha esposto a Milano (Villa Necchi) e a Venezia (Negozio Olivetti) le sue immagini sulle grandi navi a Venezia.
Oltre ai numerosi premi, nel 2008, quale riconoscimento alla carriera, gli viene assegnato il Lucie Award e nel 2009 la laurea honoris causa in Storia e critica dell’arte presso l’Università di Milano. Nel 2012 la città di Milano gli assegna l’Ambrogino d’Oro.
Nel 2015, a Roma, gli viene conferito il titolo di Architetto Onorario dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
Le fotografie
“Vespa Rossa” a Porretta Terme, 2009
Gianni Berengo Gardin, Milano 1960