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FOTOGRAFIA DA VEDERE …

Siamo fortunati, il 3 maggio, come oggi ma nel 1944, a Stoccolma nasce Anders Petersen, l’autore del libro che vogliamo “vedere”. Già, alla rubrica “Fotografia da leggere” ne aggiungiamo un’altra, dove la visione delle fotografie in un libro diventa sostanziale, come fossero righe scritte. A questo punto, però, sorge spontanea una domanda: «Si possono leggere le fotografie alla stessa stregua di un testo?». Ci viene in aiuto Italo Calvino, appena incontrato nell’introduzione del volume “Un tempo, un luogo, Racconti di fotografia” (A cura di Alessandra Mauro, Edizioni Contrasto. Forse ne parleremo lunedì). Nel suo saggio sulla Visibilità, in Lezioni americane, Italo Calvino parla di come le immagini possano far scaturire storie o, al contrario, come le storie possano essere racchiuse in immagini, in un rapporto osmotico tra scrittura e visione. Ecco cosa dice lo scrittore: «Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco dei valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale, il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su pagina bianca, di pensare per immagini».

Eccoci allora al libro che vogliamo vedere oggi: “Café Lehmitz”, di Anders Petersen (Edizioni Schirmer/Mosel), un’opera straordinaria.
Il Café Lehmitz, una birreria alla Reeperbahn, era un punto d'incontro per molti che lavoravano nel quartiere a luci rosse di Amburgo: prostitute, magnaccia, travestiti, lavoratori e piccoli criminali. Anders Petersen aveva 18 anni quando visitò per la prima volta Amburgo nel 1962. Al tempo, s’imbatté nel Café Lehmitz e strinse amicizie che avrebbero avuto un impatto sulla sua vita.

Nascono le fotografie del Café Lehmitz

Petersen nel 1968 tornò ad Amburgo per un motivo preciso: voleva fotografare i suoi amici, quelli conosciuti sei anni prima. Non riuscì a incontrarne neanche uno, anche perché alcuni erano deceduti. «Vivi vite molto brevi nel quartiere», disse Petersen, «soprattutto se fai uso di droghe e bevi troppo. Queste droghe ti fanno dimagrire. Significano che non dormi». Si riferiva al Preludin, una droga stimolante un tempo venduta come soppressore dell'appetito, ma ampiamente abusata negli anni '50 e '60 (anche i Beatles, ad Amburgo, ne furono famosi consumatori nel loro primo periodo).

In quell’occasione vide solo Gertrude, una sua amica, con la quale riavvolse i ricordi proprio al Cafè Lehmitz. Fu lei a consigliargli di tornare a tarda notte, per trarne un reportage. Petersen tornò all’una di notte, nell’ora di punta; e trovò il bar immerso nella musica, tra balli, alcool, voci e grida. Si sedette in un angolo, per non farsi e vedere. Due avventori iniziarono a giocare con la sua fotocamera. Petersen non si scompose, anzi: si unì a loro e chiese di poterli ritrarre. Venne accontentato.
Ecco il racconto del fotografo: «Sono entrato per bere una birra. C’era un juke-box che suonava e mi sono messo a ballare con le ragazze. Ad un certo punto mi sono accorto che stavano giocando con la mia Nikon, che avevo lasciato sul tavolo: se la lanciavano l’un l’altro, scattandosi delle foto, ma era solo un gioco, a cui chiesi anch’io di partecipare per fotografare ed essere fotografato».
Da quella sera il fotografo divenne un cliente abituale del locale, sempre armato di macchina fotografica. Lo frequentò per due anni, ogni volta che aveva l’occasione di tornare ad Amburgo.

Sfogliamo il libro

Petersen ha iniziato a scattare queste foto all'età di 23 anni, mentre studiava fotografia in Svezia. Lavorava costantemente per pagarsi gli studi, per vivere, per permettersi i viaggi in Germania e scattare foto al bar, facendo l'autostop per arrivarci quando poteva. La sua vita in quel momento, disse lui, non era molto diversa da quella dei suoi soggetti.
Nelle fotografie si riconosce il coinvolgimento, che però riguarda anche noi che stiamo osservando le immagini. E’ come se fossimo lì, noi stessi; appoggiati al flipper, ascoltando il rumore dei bicchieri, il crepitio di un accendino, o respirando il fumo denso delle sigarette e non solo.
Ha detto Petersen: «Sono sempre stato interessato a ciò che c'è dietro le porte. M’interessa sapere come vivano le persone e che tipo di relazioni hanno tra loro. Non voglio essere lontano da questo. Desidero essere vicino».
Le fotografie raccontano delle vite ai margini, senza però lavorare sull’estetica. Emergono dei valori, che portano a un perdono logico e sentito. Insieme, i soggetti che vediamo, si stanno salvando a vicenda, raccogliendo ciò che la vita non ha restituito loro fuori dal bar. Sono vulnerabili, questo sì; ma estremamente sinceri: non si vestono per come vorrebbero essere, manifestandosi integralmente, senza ipocrisie.

Rain Dogs, il disco di Tom Waits

Rain Dogs, il disco di Tom Waits, è quello di “Downtown Train” per intenderci. L’incisione vede la partecipazione di Keith Richard alla chitarra.
Nella copertina del disco appaiono un uomo e una donna, Rose e Lily, due avventori del Cafè Lehmitz che si scambiano un po’ di affetto. Straordinaria è la somiglianza tra lui (Rose) e il cantautore. Ecco le parole di Petersen circa il locale: “Le persone al Café Lehmitz avevano una presenza e una sincerità che mi mancava”. “Andava bene essere disperati, teneri, sedersi da soli o condividere le proprie emozioni in compagnia”. “C’era grande calore e tolleranza in quell’ambiente”. Lo spirito delle fotografie ben si adattano al disco di Tom Waits, nato in un sotterraneo di Manhattan. La storia è bella: musica e immagini possono raccontarla bene.

Le fotografie

Copertina del disco Rain Dogs, di Tom Waits
Copertina del libro “Café Lehmitz”, di Anders Petersen (Edizioni Schirmer/Mosel).

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