IL DOPOGUERRA ITALIANO
Il mese scorso abbiamo ricordato la liberazione dell’Italia, il 25 aprile. E’ importante considerare, però, anche il periodo post bellico, che trovava una nazione pronta a cambiare, socialmente soprattutto. La fotografia ne sarà lo specchio, come sempre ha fatto durante i grandi eventi della storia.
Iniziamo però da una notizia sportiva, che non deve essere dimenticata. L’abbiamo riportata anche nel 2020. La FIFA, anni addietro, ha eletto il 4 Maggio quale la giornata mondiale del calcio. Quel giorno, nel ’49, un trimotore FIAT si schiantava su Superga. A bordo del velivolo vi era il “Grande Torino”, una leggenda. L’Italia usciva dalla guerra con le ossa rotte e i Granata (assieme a Bartali e Coppi) contribuirono a ricostruire una credibilità perduta tra le macerie di una penisola distrutta.
“Bacigalupo, Ballarin, Maroso”, così recitava mio padre, riferendosi alla triade difensiva del Grande Torino; così mi emozionavo, convinto com’ero che equivaleva a dire “Zoff, Bergomi, Cabrini” (1982), o “Albertosi, Burgnich, Facchetti” (1970). Per il momento sentiamoci orgogliosi: il giorno eletto dalla FIFA ci riguarda da vicino, anche perché a memoria di un episodio drammatico. A Torino, durante i funerali dei grandi, vi erano cinquecentomila persone e la nazionale italiana del ’50, per i mondiali, decise di andare in Brasile in nave e non in aereo!
Urleremo ancora per la squadra del cuore, ma un ricordo va dedicato a coloro che hanno fatto la storia del Calcio Italiano. “Bacigalupo, Ballarin, Maroso”.
Passiamo alla fotografia, che nel dopoguerra d’Italia si compone di due elementi principali: il fotogiornalismo e il neorealismo. Non si può parlare di entrambi senza prendere in esame gli aspetti culturali. Con gli anni del boom, l’Italia cambia radicalmente. L’economia, prima tipicamente agricola, volge verso l’industrializzazione. Le campagne si svuotano e là rimangono solo anziani e bambini, talvolta le donne. Cambierà il concetto di famiglia ed anche il suo ruolo all’interno della società. La fotografia, quella italiana, sarà lì a documentare tutto questo.
Il cambiamento, però, non andrà ritrovato solo nelle vicende storiche e sociali, ma anche e soprattutto nello sguardo verso le cose. “Ossessione”, il film di Luchino Visconti del 1940, racconta una storia d’amore paradossa, che arriva fino all’omicidio: incomprensibile per un’Italia del tempo.
Insomma, l’Italia cambia e intanto si guarda con occhi divenuti diversi. Cesare Zavattini chiama Paul Strand per la pubblicazione di “Un Paese”, dedicata a Luzzara (il suo paese). L’editore sarà Einaudi, che mostrerà un rinnovato interesse per la fotografia. Il fotografo americano è quello che ha fatto del realismo il dogma della propria fotografia. Questo vuol dire che l’Italia si guarda volentieri, col desiderio di capire le nuove direzioni del dopoguerra.
Cesare Zavattini e il neorealismo
Soggettista, sceneggiatore, pittore e scrittore, Cesare Zavattini è una tra le figure più importanti espresse dalla cultura italiana nel ventesimo secolo. Lui ha saputo precorrere in anticipo i tempi degli ambiti nei quali ha operato. Considerato il maggiore rappresentante del Neorealismo italiano, Zavattini focalizza la propria poetica sulla convinzione in base alla quale per i “vinti”, dolenti e forti nei suoi soggetti cinematografici, (Ladri di Biciclette docet) esista la possibilità di opporsi alla miseria della vita aggrappandosi a quegli aspetti invisibili, eppure meravigliosi, che la realtà è capace di offrire. Da qui l’amore per il suo paese, Luzzara.
Durante la primavera del 1953, Cesare Zavattini convinse il fotografo americano Paul Strand, che allora viveva a Parigi, a trascorrere un periodo a Luzzara, per fotografarne gli abitanti. In sua compagnia vi era anche la moglie Hazel Kingsbury, già fotoreporter in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale. Nacque così il libro “Un Paese”, edito da Einaudi.
Alla base di tutto vi era il concetto di “qualsiasità” di Zavattini, secondo il quale un luogo qualsiasi del nostro pianeta contiene tutto, “ma proprio tutto”. Ecco perché fu scelto un paese della sponda emiliana del Po, ancora profondamente legato alla terra e alla fatica per prendersene cura.
L’opera di Strand risultò troppo poetica, almeno agli occhi di Gianni Berengo Gardin, che venne invitato a scattare lo stesso paese, ma vent’anni dopo. Le fotografie furono raccolte nel volume “Un paese vent’anni dopo”. Finalmente, la fotografia italiana si poneva al fianco di quella statunitense.
Luzzara divenne un paese perlustrato da numerosi fotografi: Olivo Barbieri, Luigi Ghirri, Stephen Shore e tanti altri.
L’importanza di circoli, la stampa
A Venezia la Gondola diventa un punto di riferimento per i fotoamatori, così come il Misa per le Marche. Sulla laguna si parlava diffusamente della mostra The Family of Man, esposta al MoMa nel 1955; la stessa arrivò a Milano nel 1959.
Anche le riviste ebbero un ruolo fondamentale per definire e rafforzare il linguaggio fotografico di casa nostra. Tra queste citiamo “Ferrania”. La sua storia ebbe inizio nel 1940 come Notiziario Fotografico e nel 1947 venne acquistata dall’omonima industria fotografica ligure. Ferrania, “Rivista mensile di fotografia, cinematografia e arti figurative” fu diretta per vent’anni, fino al 1967, da uno storico della letteratura italiana Guido Bezzola. Accolse interventi e dibattiti di critici e fotografi importanti, quali G. Cavalli, L.Veronesi, F.Vender, G. Turroni, P.Donzelli. Collaborò con la testata anche Alfredo Ornano, fotografo raffinatissimo.
Tra le riviste importanti, ricordiamo “Progresso Fotografico”: condotta dagli eredi di Rodolfo Namias, il chimico fondatore (1894).
In Friuli nasce un gruppo importante “Per una nuova fotografia”, per merito di Italo Zannier, con il contributo di Fulvio Roiter. Del primo ricordiamo la viva partecipazione nell’organizzazione di mostre ed eventi legate all’immagine, questo nell’arco di cinquant’anni. Per una nuova fotografia viveva anche del respiro di Gianni Berengo Gardin. Di lui si è detto tutto, ma le parole scritte sino ad oggi non riescono a spiegarne il valore per intero. E’ stato attivo nel circolo “La Gondola” e anche nel gruppo “Per una nuova fotografia”; ha collaborato con il Mondo, il Telegraph e Epoca. E’ stato l’autore del volume (Einaudi) “Un paese vent’anni dopo”, dedicato alla Luzzara di Zavattini.
Ancora oggi “Un paese vent’anni dopo” ha un significato importante. Innanzitutto parliamo di due decenni dopo P. Strand, il che sta a significare una sfida importante (bravo Berengo); ma poi, per la prima volta, si realizza un anello di congiunzione tra la fotografia italiana (troppo spesso malata di provincialismo) e quella internazionale.
Osservare ancora oggi le immagini del fotografo ligure rappresenta un privilegio unico, perché costituiscono un punto di riferimento obbligato nella costruzione dell’iconografia italiana degli ultimi cinquant’anni.
Il fotogiornalismo
“Epoca”, fondata da Alberto Mondadori nel 1950, ha giocato un ruolo di grande interesse nel panorama fotografico italiano. La pubblicazione era redatta sul modello dei grandi magazine americani. Tra i nomi di coloro che hanno collaborato alla rivista ricordiamo Mario De Biasi, Giorgio Lotti, Mario Galligani. Come sempre è accaduto in quegli anni (in Italia o all’estero) è stata anche l’informazione a fungere da elemento trainante.
Proprio qui desideriamo fermarci; perché per una storia, quella della fotografia italiana, che prenderà la via del paparazzismo e della contestazione, occorrerà riflettere sull’eredità ricevuta. La notizia dovrà vivere ancora della (e sulla) fotografia. Un’immagine stampata rappresenta un dono fatto al futuro, che peraltro acquista valore passando di mano in mano. Senza nulla togliere alla TV o a altri mezzi mediatici (una fortuna poterli avere), l’immagine fotografica non urla, ma racconta; e poi non è avvezza ai clamori propagandistici. C’è tanto bisogno di fotografia: per capire il passato, ma anche per interpretare il presente.
Chi scrive, si è recato a Luzzara, così: per curiosità. Là ha trovato un ambiente diverso, ma anche un aspetto curioso: tanti pakistani guardavano una partita di Cricket. Non c’erano più Don Camillo o Peppone (Brescello è lì vicino), ma gente diversa, dalla lingua sconosciuta. Tutto bello, per carità; ma occorrerebbe parlarne, farne un racconto: perché là vi era una storia di vita, dimenticata dai “www” o dalla velocità della “Freccia Rossa”. Un paese era cambiato, ecco tutto; ma in silenzio. Con la fotografia sarebbe potuto diventare mondo.
Le fotografie
Il Grande Torino, fotografia dell’epoca
Copertina del libro “Un Paese”, di Cesare Zavattini e Paul Strand. Einaudi, edizione del 2021.