BOB MARLEY A MILANO
27 giugno del 1980, a San Siro si radunarono in centomila per ascoltare Bob Marley. Erano cambiati i tempi rispetto al 1965, quando i Beatles arrivarono al Vigorelli, che peraltro avrebbero suonato a Roma proprio il 27 giugno dello stesso anno. Di mezzo c’era, oltra alla musica, l’impegno sociale, la protesta contro razzismi e diseguaglianze, il sogno per un mondo più giusto e quindi migliore. L’evento divenne trasversale: una partecipazione così folta fece sì che giovani e meno giovani vivessero le vibrazioni di una musica già nota ai tempi, in un happening di suoni e balli (le persone sul prato) vissuto per la voglia di esserci, anche ideologicamente. Le cronache riportano come nel pomeriggio avesse suonato Pino Daniele, ancora sconosciuto ai più.
Ci piacerebbe poter rivivere quelle sensazioni, ma ovviamente è impossibile. C’erano gli accendini allora (si fumava di più e non esistevano i cellulari) e la fiamma scaldava (oltre a bruciare le dita!) il sentire degli animi.
Bob Marley sarebbe morto l’anno dopo, l’11 maggio, per un male incurabile. Ricevette i funerali di stato.
Ascoltiamo spesso “No Woman, No Cry”. La versione “Live” del ’75 è diventata un’icona musicale. Il suono dell’Hammond accompagna il testo cantato, che sul più bello lascia il posto a un assolo di chitarra gradevole all’ascolto, che s’inserisce bene nell’atmosfera del brano.
Ci viene in mente la Giamaica, che visitammo a inizio millennio, Ne ricordiamo la capitale e la spiaggia di Negril: oggi meta turistica, ma un tempo primo approdo continentale delle navi che trasportavano gli schiavi. La sera, sulla sabbia bianca, dei complessi locali suonavano la musica di Bob Marley, che là è venerato come un profeta. Di certo lo era musicalmente, avendo divulgato un genere dalle sponde caraibiche in tutto il mondo.
Un altro ricordo. Il 27 Giugno 1980, un aereo dell’ITAVIA decollerà dall’Aeroporto di Bologna con due ore di ritardo, destinazione Palermo. In prossimità di Ustica, non darà più traccia di sé; verrà così a realizzarsi uno dei tanti misteri “italici”, fatti di piombo e verità nascoste. Non dobbiamo dimenticare.
Bob Marley, note biografiche
Bob Marley è nato nel 1945 a Nine Mile, St. Ann Parish, Giamaica. Suo padre Norval Sinclair Marley era un inglese bianco che morì quando Bob aveva 10 anni. La madre di Bob, Cedella Malcolm, si è trasferita con lui nel quartiere Trenchtown di Kingston dopo la morte di suo padre. Da giovane Bob Marley fece amicizia con Bunny Wailer e impararono a suonare insieme. A 14 anni, Marley lasciò la scuola per imparare il mestiere di saldatore e trascorse il suo tempo libero suonando con Bunny Wailer e il musicista ska Joe Higgs.
Bob Marley ha registrato i suoi primi due singoli nel 1962, quando era ancora un adolescente; ma nessuno dei due ha raccolto molto interesse all'epoca. Nel 1963, ha fondato una band ska con Bunny Wailer e Peter Tosh, che originariamente si chiamava "The Teenagers". In seguito, la band prese il nome di "The Wailing Rudeboys", poi "The Wailing Wailers" e infine solo "The Wailers". I loro primi successi includevano "Simmer Down" (1964) e "Soul Rebel" (1965), entrambi scritti da Marley.
Marley sposò Rita Anderson nel 1966 e trascorse alcuni mesi vivendo nel Delaware, negli Stati Uniti con sua madre. Quando Marley è tornato in Giamaica, ha iniziato a praticare la fede rastafariana e ha iniziato a coltivare i suoi caratteristici dreadlocks (la tipica pettinatura). "The Rastafari Movement" è una fede abramitica che crede che l'imperatore etiope Haile Selassie fosse la seconda venuta del Messia. I rastafari credono che la cultura occidentale, e la cultura anglosassone in particolare, sia la leggendaria Babilonia, malvagia e oppressiva. In quanto devoto Rasta, Marley partecipava all'uso rituale della marijuana.
I Wailers hanno guadagnato popolarità in Giamaica negli anni '60 con la loro musica influenzata dallo ska e nel 1972 hanno firmato con l'etichetta internazionale Island. Il loro album del 1973 "Catch a Fire" ha suscitato interesse in tutto il mondo. Il loro album del 1974 "Burnin'" conteneva "I Shot The Sheriff" e "Get Up, Stand Up", entrambi i quali hanno raccolto seguaci sia negli Stati Uniti che in Europa.
Lo stesso anno, tuttavia, i Wailers si sciolsero per intraprendere una carriera da solista. A questo punto, Marley aveva compiuto una transizione completa dallo ska e dal rocksteady a un nuovo stile, che sarebbe stato per sempre chiamato reggae. La parola reggae ha origine da "rege-rege", un termine gergale per vestiti a brandelli ("stracci") e probabilmente si riferisce al suo miscuglio di influenze, tra cui musica giamaicana tradizionale e contemporanea, ska e R&B americano.
Bob Marley ha continuato a girare e registrare come "Bob Marley & the Wailers", sebbene fosse l'unico Wailer originale del gruppo. Nel 1975, "No Woman, No Cry" divenne la prima grande canzone di successo di Bob Marley. In pochi anni, Bob Marley ha prodotto canzoni classiche come "Exodus", "One Love", "Coming in from the Cold", "Jamming" e "Redemption Song".
Bob Marley trascorse gran parte della fine degli anni '70, cercando di promuovere la pace e la comprensione culturale all'interno della Giamaica. Marley è sopravvissuto a un tentato omicidio poco prima di un concerto per la pace nel 1976, attraverso il quale Marley stava cercando di portare una tregua tra le fazioni politiche della Giamaica.
Marley ha anche agito come ambasciatore culturale per il popolo giamaicano e la religione rastafariana. Rimane venerato come un profeta e rimane certamente un'icona religiosa e culturale.
Nel 1977, Marley si accorse di avere una ferita al piede, che credeva fosse un infortunio da calcio. In realtà si scoprì che si trattava di melanoma maligno. I medici hanno raccomandato l'amputazione del dito del piede, ma ha rifiutato il trattamento per motivi religiosi. Il cancro alla fine si è diffuso. Quando finalmente decise di ottenere assistenza medica nel 1980, il cancro era diventato terminale.
Marley voleva morire in Giamaica, ma non poteva affrontare il volo di ritorno e morì a Miami l'11 maggio 1981. Ha ricevuto un funerale di stato. La sua registrazione finale, allo Stanley Theatre di Pittsburgh, è stata pubblicata postuma come "Bob Marley and the Wailers Live Forever".
Guido Harari, la passione e oltre
Molte volte, in fotografia, sentiamo parlare di passione, ma spesso questa scalda, motiva, induce, esalta; non andando oltre. Per molti resta uno spazio invalicabile tra l’esistere e il percepire, come se il sentimento rappresentasse unicamente uno strumento da utilizzare alla bisogna. Per Guido non è così: lui della passione si nutre, vive, opera. Non a caso, le sue idee vanno oltre, anche al di là dello spazio temporale della sua vita. Ci dice che vorrebbe essere nato prima, per trovarsi “in fase” con gli anni ’60. No, non si tratta di un rimpianto, bensì di un riflesso verso uno sguardo allargato: sempre propenso all’oltre, alla scintilla che illumina l’anima.
Per finire, ecco il ritratto: che lui ama sin dal contatto, dall’incontro. Spesso lo chiude con l’inquadratura, perché gli piace esserci, per sentirsi percepito. E allora la forza è tutta lì: tra piccolo e grande, tra dentro e fuori, tra interiore ed esteriore. Lui, Guido, cerca sempre; nutrendosi di passione. Sta a noi cercarlo, magari in un ritratto chiuso: per giunta in B/N. C’è un moto perpetuo nel suo creare, un movimento continuo. Saltiamoci sopra: è meglio.
Guido Harari, note biografiche
Guido Harari nasce al Cairo (Egitto) nel 1952. Nei primi anni Settanta avvia la duplice professione di fotografo e di critico musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico, sino ad allora senza precedenti in Italia. Dagli anni Novanta il suo raggio d'azione contempla anche l'immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale. Dal 1994 sono membro dell'Agenzia Contrasto.
Ha firmato copertine di dischi per Claudio Baglioni, Angelo Branduardi, Kate Bush, Vinicio Capossela, Paolo Conte, David Crosby, Pino Daniele, Bob Dylan, Ivano Fossati, BB King, Ute Lemper, Ligabue, Gianna Nannini, Michael Nyman, Luciano Pavarotti, PFM, Lou Reed, Vasco Rossi, Simple Minds e Frank Zappa, fotografato in chiave semiseria per una storica copertina de «L’Uomo Vogue».
È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André. Ha al suo attivo numerose mostre e libri illustrati tra cui Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori, 2001), Strange Angels (2003), The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori, 2004), Vasco! (Edel, 2006), Wall Of Sound (2007), Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli, 2007).
Di lui ha detto Lou Reed: "Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido”. “So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento”. “Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi”. “Considero Guido un amico, non un semplice fotografo".
Le fotografie
Guido Harari. Bob Marley, Torino, 1980. Wall of Sound Gallery.