IL GIORNALISTA E LA LETTERA 22
Stiamo ricordando Indro Montanelli (deceduto il 22 luglio 2001, a Milano) con un titolo che potrebbe sembrare irriverente. Chiediamo scusa, per questo; ma in noi è nato il desiderio di aggiungere un po’ di leggenda a una vita meravigliosa.
L’Olivetti Lettera 22 ha accompagnato tutta l’esistenza di Indro Montanelli, come se fosse una sua estensione. Addirittura si dice che il ventidue luglio 2001, quando sopraggiunse la morte del giornalista, la sua macchina per scrivere abbia smesso di funzionare. Era uno dei primi modelli, color verde chiaro, e decise di non sopravvivere al suo proprietario. Quella Lettera 22 ha finito per assumere degli elementi da romanzo, continuando a stimolare la fantasia dei lettori, oltre l’aspetto tecnico e meccanico.
Circa l’Indro Montanelli giornalista, condividiamo quanto Ferdinando Scianna ha scritto nel suo “Visti e Scritti” (edizioni Contrasto): «E’ stato un grandissimo giornalista, per la prosa cristallina, la chiarezza delle idee da comunicare, la capacità di sintesi, il coraggio della polemica sanguinosa. Leggerlo è sempre stato un piacere, anche quando faceva infuriare. Non è stato un giornalista qualsiasi, ma un protagonista della scena politica e culturale italiana per più di cinquant’anni. E’ nato fascista, ha continuato antifascista, è stato conservatore tutta la vita e ha finito divinizzato dalla sinistra per meriti antiberlusconiani. Soprattutto è stato “montanellista”.
Indro Montanelli giornalista manca all’informazione, ma anche a tutto il mondo dell’opinione. Sentiamo ancora oggi il bisogno della sua severità, espressa con forza e apprezzata anche quando le nostre idee divergevano dalle sue. Oggi si urla troppo, anche quando non serve; nella convinzione che vince chi fa la voce grossa. Altri tempi, altre persone.
Indro Montanelli, note biografiche
Indro Montanelli nasce il 22 aprile 1909 a Fucecchio da Maddalena Doddoli e Sestilio Montanelli, nel palazzo di proprietà della famiglia della madre. Passa l’infanzia nel paese natale e spesso è ospite alle “Vedute”, presso la villa di Emilio Bassi, sindaco di Fucecchio per quasi un ventennio nei primi anni del Novecento. A Emilio Bassi, che spesso considerò come un “nonno” adottivo, resterà legato tanto da volere che a lui fosse cointitolata la Fondazione costituita nel 1987. Il padre, preside di Liceo, è trasferito prima a Lucca, poi a Nuoro, dove il giovane Indro lo segue. Seguendo ancora gli spostamenti del padre, frequenta il liceo a Rieti. Si iscrive quindi alla facoltà di giurisprudenza a Firenze, ma trascorre periodi in Francia, a Grenoble e a Parigi, dove inizia l’apprendistato giornalistico collaborando a “Paris soir”. Oltre che in Giurisprudenza ottiene anche la laurea in Scienze Politiche.
Nei primi anni Trenta aderisce alle ideologie anticapitalistiche e antiborghesi; entra in contatto con Berto Ricci e collabora con “L’Universale”. In questo periodo conosce Leo Longanesi che riconoscerà sempre come suo maestro di giornalismo.
Nel 1935, nelle edizioni del Selvaggio, esce il suo primo libro “Commiato dal tempo di pace”. Passa in Canada come corrispondente di Paris Soir e per integrare i guadagni tiene conferenze per le comunità italiane locali e fa anche il contabile in una fattoria finché viene assunto dall’Agenzia di New York dell’United Press.
Tra il 1935 e il 1936 partecipa come volontario alla guerra di Etiopia, da dove invia le sue corrispondenze di guerra che saranno raccolte nel volume “Ventesimo battaglione eritreo” (“Sono nato come giornalista nella guerra d’Abissinia”). Sul campo di battaglia guadagna due decorazioni.
Nel 1937 è in Spagna durante la guerra civile, come corrispondente del “Messaggero” di Roma. Il suo servizio sulla battaglia di Santander (“E’ stata una passeggiata militare con un solo nemico: il caldo”) è considerato offensivo per l’onore delle forze armate. Viene rimpatriato per ordine personale di Mussolini e sospeso dal Partito Fascista a cui non aderirà più.
Nell’impossibilità di svolgere la professione di giornalista, ottiene il posto di direttore dell’Istituto di Cultura di Tallinn e di lettore di letteratura italiana presso l’Università di Dorpat in Estonia, dove resta per circa un anno.
Nel 1938 rientra in Italia dove Aldo Borelli, direttore del “Corriere della Sera”, gli offre un contratto di collaborazione per articoli di viaggi e di letteratura, evitando però temi politici. Viene quindi inviato in Albania per un servizio su quel paese alla vigilia della conquista italiana. Dalle corrispondenze inviate al Corriere nasce il libro “Albania una e mille” (1939).
Nel mese di luglio del 1939 viene inviato dal Corriere in Germania per seguire un gruppo di giovani fascisti che in bicicletta dovevano fare un giro di propaganda. Qui rimane fino allo scoppio della guerra, per spostarsi poi sul fronte dove assiste alla resa della Polonia. Ancora una volta è Mussolini in persona a deplorare gli articoli di Montanelli, che viene quindi costretto a ritirarsi di nuovo in Estonia. Qui viene sorpreso dall’invasione da parte dell’Unione Sovietica e si trasferisce quindi in Finlandia, a Helsinki. Ma anche qui giunge ben presto l’attacco da parte dei Sovietici che viene raccontato in diretta da Montanelli. Ormai, scrisse in “Qui non riposano”, “Tutti cominciarono ad attribuirmi il potere taumaturgico di presentire le catastrofi e di sapermici trovare a tempo nel mezzo”.
Nel 1940 segue la guerra russo-finlandese fino al mese di marzo, quando i Sovietici si ritirano. In aprile si trasferisce a Oslo, ancora una volta mentre sta arrivando l’esercito tedesco. Anche qui le sue corrispondenze lo rendono sgradito sia ai Tedeschi che agli Inglesi di cui critica l’impreparazione. Costretto ad allontanarsi, alterna poi soggiorni in Svezia e in Norvegia.
Tornato a Roma, assiste alla dichiarazione di guerra da parte dell’Italia ed è inviato sul fronte francese; quindi si sposta attraverso Belgrado, Sofia, Bucarest e Budapest. Il 26 ottobre è richiamato a Roma, da dove viene inviato in Grecia a seguire la disastrosa campagna militare italiana. Si porta quindi in Jugoslavia, dove assiste all’indipendenza del Montenegro. Finiscono qui le sue corrispondenze di guerra, anche se continua la sua collaborazione al “Corriere della Sera”: «E così finì la mia carriera di corrispondente di guerra. Ne avevo abbastanza. Rientrando, chiesi al giornale di mettermi da parte».
Il 24 novembre 1942 sposa a Milano Maggie De Colins De Tarsienne. Nel 1943 è ricercato perché accusato di aver scritto un articolo sugli amori del Duce, ma riesce a sfuggire all’arresto dei Fascisti.
Il 5 febbraio 1944 viene catturato dai Tedeschi in Val d’Ossola dove cercava di raggiungere i partigiani del Partito d’Azione. E’ processato, percosso e condannato a morte il 20 febbraio. Anche la moglie Maggie è arrestata e accusata di tradimento, in quanto austriaca, per non aver denunciato il marito. Rimane in carcere per tre mesi a Gallarate e poi a San Vittore, ma la sentenza non viene eseguita grazie all’interessamento del cardinale Schuster la cui mediazione era stata richiesta dal Vaticano su sollecitazione della madre di Indro, infaticabile nel tentare tutte le strade per salvare il figlio. Riuscito a fuggire di prigione, ripara in Svizzera dove rimane fino alle fine della guerra.
Nel 1945 riprende il suo posto al “Corriere della Sera”, a cui collabora con numerosi servizi specialmente sulla terza pagina. Nel dopoguerra escono i suoi libri di carattere satirico e di costume. Inizia poi nel 1957, con la Storia di Roma, la serie di volumi dedicati alla divulgazione storica, che ottengono un grande successo di pubblico, coprendo in oltre quarant’anni di attività tutta la storia d’Italia fino ai giorni nostri.
Nel 1956 è in Ungheria dove, ancora una volta, racconta in diretta un grande evento: la rivoluzione di Budapest e l’arrivo dei carri armati sovietici.
Nel 1973, a novembre, inizia la collaborazione con “Oggi”, prima con la rubrica “La Stanza”, poi con “I Dialoghi” e “Le domande di Oggi – Indro Montanelli risponde al direttore”.
Nel 1974 lascia il Corriere della Sera per incompatibilità con la linea politica seguita dal direttore Piero Ottone. Fonda il “Giornale nuovo” (il primo numero esce il 25 giugno).
Nel 1974, 6 settembre, sposa Colette Rosselli.
Nel 1977, il 2 giugno, subisce a Milano un attentato da parte delle Brigate rosse. Gli attentatori otterranno in seguito il perdono di Montanelli.
Nel 1987, viene costituita a Fucecchio la Fondazione Montanelli Bassi.
Nel 1994, l’11 gennaio, dopo mesi di contrasto con l’editore Berlusconi, che nel frattempo ha annunziato l’intenzione di scendere in politica, Montanelli insieme ad altri redattori lascia il Giornale e fonda “La Voce”, il cui primo numero esce il 22 marzo.
Nel 1995, il 12 aprile, “La Voce”, a corto di capitali e di pubblicità, è costretta a chiudere. Montanelli torna al “Corriere della Sera”, per il quale firma editoriali e tiene giornalmente una “Stanza” rispondendo alle domande dei lettori. Continuano intanto a uscire i volumi sulla “Storia d’Italia”, curati insieme a Mario Cervi.
2001, il 22 luglio, Indro Montanelli muore a Milano. L’urna con le sue ceneri è deposta accanto alla tomba della madre nella cappella di famiglia a Fucecchio. Il suo studio romano e quello milanese sono trasferiti presso la Fondazione Montanelli Bassi.
(Fonte: Fondazione Montanelli Bassi)
Il fotografo Mauro Galligani, la lucidità del vero
Incontriamo Galligani presso il suo studio: bello, moderno, di legno e vetro. Parliamo a lungo, io e lui, divagando quanto più si può: su episodi, storie, curiosità, fotografia. E’ difficile però comprendere il senso di tutte le sue parole, perché spesso diventano troppo facili, soprattutto per noi che ci siamo nutriti di attimi fuggenti o anche di “furto” del tempo. La sincerità è la prima dote che emerge dal colloquio con Mauro: “Non si può costruire una fotografia”, ci dice, “E nemmeno estrapolarla da uno scatto”. “Il bordo pellicola deve raccontare ciò che si è visto, e nulla più”.
Lasciamo parlare chi abbiamo di fronte, poggiamo anche la penna. Dobbiamo riflettere, adesso, subito: è il momento propizio per farlo. Davanti ci passa la storia di una vita, ma anche la responsabilità dedicata nel farla propria. Le fotografie di Galligani vivono di due variabili: tempo e racconto, con capo e coda. Poi si può dire tutto, perché il nostro è curioso, osmotico, attento, informato; riuscendo anche a non buttare via niente di ciò che ha visto, continuando così a imparare. Le ottiche fisse, la pellicola, il bordo nero del fotogramma, non sono vezzi stilistici, bensì punti d’arrivo di una disciplina tenace e rigorosa, perseguita come dogma fuori dalla mischia, al di là dell’abilità dei modernismi. La verità deve venir fuori senza retorica, trascritta come con carta e penna. E la lucidità del vero, e qui sta il merito. Giusto così.
Mauro Galligani, note biografiche
Mauro Galligani nasce a Farnetella, comune di Sinalunga (SI). Trasferitosi a Roma, frequenta la Scuola di Cinematografia, al termine della quale diviene direttore della fotografia. La storia del cinema e i maestri del neorealismo formano la qualità filmica dei suoi reportage. Nel 1964 viene assunto come fotoreporter dal quotidiano Il Giorno, entrando così a contatto con la migliore scuola di giornalismo italiano, che da allora segna la coerenza e lo stile di ogni suo servizio. Nel 1971 passa alla Mondadori. Dal 1975 al 1997 lavora per Epoca, non solo come fotografo ma anche come picture editor. È qui che vive il periodo d’oro del fotogiornalismo, in una delle più prestigiose redazioni al mondo. Per questa testata, Mauro Galligani segue i grandi avvenimenti della cronaca internazionale, dalle guerre in America Centrale, in Africa e in Medio Oriente, alla vita nell’Unione Sovietica, paese di cui segue da trent’anni ogni cambiamento. Dopo la chiusura di questo storico settimanale, il 25 gennaio del 1997, continua a svolgere la propria attività come freelance. Ha collaborato con alcune delle più importanti testate al mondo, fra le quali Life magazine.
(Biografia fonte FIAF)
Le fotografie
Una Olivetti Lettera 22, colore verde chiaro
Indro Montanelli fotografato da Mauro Galligani