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NASCE RUGGERO LEONCAVALLO

Musicista italiano, Ruggero Leoncavallo nasce a Napoli il 23 aprile 1857. Compose musica teatrale, di solito su libretti proprî. Si rivelò con l'opera I pagliacci (Milano, 1892), che con Cavalleria rusticana (1890) di Pietro Mascagni, rappresentava una reazione contro Richard Wagner e tutta l'opera romantica italiana. Le due opere di solito nelle stagioni teatrale vengono rappresentate assieme.

Com’è già stato detto, chi scrive, ricorda, tra orgoglio e nostalgia, il padre che metteva sul piatto un vecchio 78 giri: Mattinata di Ruggiero Leoncavallo, cantata da Enrico Caruso, con l’accompagnamento al pianoforte dello stesso compositore. Gli occhi da ragazzo sapevano comprendere la soddisfazione paterna, perché il tenore napoletano era anche per lui un mito già consolidato. La sua voce tenorile, timbrata e penetrante, poteva essere immaginata, per il fatto di essere popolare, sorta tra vicoli e chiese prima di essere formata dallo studio.

Il tempo passa e quel disco è ancora nella biblioteca di casa. Intanto, sempre chi scrive ha frequentato teatri e arene alla ricerca della lirica, la passione di nonni e padri. Quella musica l’ha poi riconosciuta in molti film. Ne “Gli Intoccabili” (The Untouchables del 1987, diretto da Brian De Palma) Robert De Niro, Al Capone nella pellicola, dopo aver dato mandato ai propri scagnozzi di far fuori Sean Connery (Jimmy Malone), proprio mentre si sta consumando l'agguato mortale, se ne sta sul palco reale di un teatro a commuoversi sulle note di Vesti la giubba, più nota come “Ridi, pagliaccio”, celeberrima aria dell'omonima opera di Ruggero Leoncavallo.

Per le scelte fotografiche, non potevamo dimenticare Sean Connery; questo per averlo citato quale protagonista del film “Gli Intoccabili”. Il suo ritratto è firmato da Annie Leibovitz. Abbiamo poi attinto una fotografia di Leoncavallo dal sito dei Beni Culturali della Lombardia Porta la firma di Adolfo Ermini, fotografo attivo a Milano in Corso Venezia 11.

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NASCE LA ISO ISETTA

22 aprile 1953. Al Salone dell'automobile di Torino, viene presentata ufficialmente la ISO ISETTA, la prima automobile a basso consumo prodotta in serie. Si trattava di una micro-vettura che venne prodotta dalla casa automobilistica italiana ISO di Bresso tra il 1953 e il 1956 e su licenza dalla tedesca BMW tra il 1955 e il 1962. E’ stata l'automobile con motore monocilindrico più venduta di tutti i tempi con 161.728 unità vendute.

Una curiosità. Sempre il 22 aprile, ma nel 1967, a Torino la Fiat presentava la 125. Ne abbiamo parlato nel 2020. L’auto era solida, consistente, forse americaneggiante; insomma: piaceva, soprattutto quando il cambio è diventato a cinque marce.
Il suo ricordo ci porta al Cinema, al film “Amici Miei”, uno dei capolavori della commedia all’italiana, diretto da Mario Monicelli. La pellicola viveva delle “zingarate” organizzate dai cinque amici. Per i viaggi veniva usata sempre la macchina del Melandri (Gastone Moschin), una 125 appunto. Su di essa veniva cantata spesso “Bella figlia dell’amore”, la celebre romanza a quattro voci del Rigoletto di Verdi (III° atto).
Ricordiamo gli altri attori: Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Duilio Del Prete, Adolfo Celi; un cast niente male.

A vederla, la piccola ISO ISETTA sembrava un piccolo uovo, con le ruote posteriori più vicine tra loro rispetto a quelle anteriori. Per entrarvi occorreva aprire il grosso portellone anteriore, praticamente il frontale della vettura, che era solidale col piantone dello sterzo: questo per agevolare la seduta. I posti a sedere, solo due, erano costituiti da una panchetta trasversale, dietro la quale trovavano posto il motore e un vano bagagli. La versione tedesca era dotata di un efficace impianto di riscaldamento e dei vetri laterali scorrevoli.

Non potevamo rinunciare alla fotografia d’autore. Avendo trovato Cary Grant vicino alla ISO ISETTA (di autore sconosciuto), abbiamo pensato di utilizzare anche un ritratto dell’attore a firma Irving Penn.

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SILVANA MANGANO, LA MONDINA DI RISO AMARO

Silvana Mangano nasce a Roma il 21 aprile 1930. Siamo fortunati, perché lo stesso giorno, ma nel 1912, viene al mondo una fotografa che ha ritratto l’attrice: Eve Arnold. Ricorderemo anche lei.

Silvana Mangano entra di prepotenza nella storia del cinema, in un momento di grande cambiamento, soprattutto qui da noi. Dalla fine degli anni Quaranta, in Italia, il neorealismo lascia pian piano il posto alla commedia all'italiana. Le case di produzione reclutano le attrici per il loro aspetto fisico, messo in mostra negli innumerevoli concorsi di bellezza. E’ così che, tra il 1947 e il 1949, Gina Lollobrigida, Silvana Pampanini, Sophia Loren, e poi Silvana Mangano, hanno conquistato il grande schermo.
Silvana Mangano è letteralmente “esplosa” sullo schermo in Riso amaro (1949), film di Giuseppe de Santis, carico d’ideologia, in linea con quanto pensavano i padri fondatori del neorealismo negli anni precedenti. Bisogna riconoscere, però, che è stata giocata anche la carta dell'erotismo. La Mangano, nei suoi improbabili pantaloncini proletari, coscia tornita, sguardo fiero, sedusse l'Italia intera e anche il produttore del film, Dino de Laurentiis, che la sposò lo stesso anno dell'uscita del film, nel 1949.

In seguito, l'attrice è apparsa in produzioni differenti; cantò anche, in Anna di Alberto Lattuada (1951), e ballò, in Mambo dell'americano Robert Rossen (1954). A differenza delle sue rivali, iniziò a chiudersi in una vita privata discreta, evolvendosi verso ruoli drammatici. Alla fine degli anni sessanta, recita nei film a lei proposti da Pier Paolo Pasolini (Edipo re, 1967; Teorema, 1968) e da Luchino Visconti (Morte a Venezia, 1971; Ludwig, 1972; Gruppo di famiglia in un interno, 1974).

Nel 1981, una tragedia privata, la morte del figlio in un incidente aereo in Alaska, sconvolse la sua vita. Lascia il marito e gli Stati Uniti, per stabilirsi a Madrid, con una delle sue figlie. Il suo ultimo ruolo è stato quello della moglie di Marcello Mastroianni in Oci ciornie (1987), diretto a Roma da Nikita Mikhalkov.

Silvana Mangano muore a Madrid 16 dicembre 1989.

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IL CINEMA NON È PIÙ MUTO

20 aprile 1926. Nasce Vitaphone, il primo sistema per aggiungere il sonoro ai film. La macchina da proiezione veniva collegata meccanicamente a un giradischi da 33 giri. Mancava però la parola.

Il cinema muto lo abbiamo visto a tratti: in qualche cineforum o anche in TV. Gli interpreti dei film con la sola musica (spesso suonata dal vivo) erano Charlie Chaplin, Buster Keaton, assieme a Stan Laurel e Oliver Hardy, nelle loro prime apparizioni cinematografiche; tutti attori riconosciuti del genere slapstick, fondato su una comicità elementare e articolato intorno a gag tanto semplici quanto efficaci. A questi andrebbero aggiunti Harold Lloyd e i fratelli Marx.
Le scene delle pellicole senza suono erano accompagnate da pianisti o organisti, qualche volta addirittura da vere e proprie orchestre, che suonavano dal vivo a commento delle immagini che scorrevano sul grande schermo.

Per raggiungere emotivamente il pubblico senza l’ausilio della parola, la recitazione richiedeva enfasi mimica e grande mobilità facciale. Charlie Chaplin era un maestro in tal senso, che comunque aggiungeva al film muto le sue movenze e il modo di camminare. Lui, sicuramente un re del muto, recitò con l’apporto del sonoro solo nel 1940 ne “Il grande dittatore”.
Prima del 1927 (anno di uscita del primo film sonoro, “Il cantante jazz”), con il muto, nasce il fenomeno del divismo. Tra i primi a suscitare nel pubblico reazioni di fanatismo di massa sono stati l’attrice Gloria Swanson e il nostro Rodolfo Valentino (che proponiamo nelle immagini).

Ricordiamo comunque come il primo film muto sia stato Roundhay Garden Scene (1888), ma che i fratelli Auguste e Luois Lumière brevettarono ufficialmente la loro invenzione nel 1895, riprendendo, con la loro rudimentale cinepresa, gli operai che uscivano dalle fabbriche Lumière. Dopo di allora, i filmati senza parola sono rimasti nelle case di molti, ripresi dalle tante cineprese 8 mm e super8 che hanno raccontavano le vicende familiari: 3 minuti che visti oggi quasi appaiono come capolavori.

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